Una nuova categoria di beni culturali: le architetture rurali testimonianza dell’economia agricola tradizionale

di Maurizio De Paolis

L’agricoltura oltre a costituire un’ importante voce nell’economia del Paese ha prodotto nel corso dei secoli una serie imponente di beni culturali identificabili nelle diverse tipologie di manufatti edilizi diffusi in maniera capillare sull’intero territorio nazionale che traggono nuova linfa vitale dal fenomeno dell’agriturismo utile per produrre ricchezza e per valorizzare questa particolare categoria di beni culturali

L’agricoltura sta dimostrando la sua vitalità e forza propulsiva durante questi tempi di grave crisi economica che ha investito e continua a penalizzare tutti i settori economici nazionali. Purtroppo l’attenzione verso il mondo agricolo riservata dai vari governi degli ultimi cinquanta anni è risultata molto contenuta.

La tutela e la valorizzazione dell’agricoltura di pianura, collina  e montagna possono essere attuate anche mediante la protezione accordata alla così detta archeologia rurale che dopo la novella del 2006 coincide con le architetture rurali[1].

Si pensi ai fabbricati agricoli che normalmente circondano ville di campagna, alle masserie, alle fattorie, ai borghi e ai complessi agricoli costruiti nell’Ottocento o durante le grandi bonifiche agrarie degli anni Venti e Trenta dello scorso secolo.

In questo ramo di beni culturali rientrano anche i manufatti edilizi dell’architettura rurale spontanea che non nasce da una specifica pianificazione, ma da consuetudini edificatorie consolidate nel corso di centinaia di anni e che, in quanto tali sono l’espressione di valori tradizionali e culturali del mondo agricolo. Si tratta di costruzioni realizzate con svariati materiali come la terra di facile reperibilità che non richiede particolari tecniche di utilizzo, la pietra con cui sono stati realizzati centinaia di chilometri di muretti a secco senza intonaco (si pensi, ad es., a quelli della Regione Calabria, Sicilia e Sardegna) e il legno. Questo tipo di architettura rappresenta un valido contributo per ricostruire la storia, gli usi e i costumi delle comunità agricole locali.

Si deve prendere in esame anche l’architettura del latifondo che ha rappresentato un fenomeno molto diffuso sino alla nascita del Regno d’Italia soprattutto nel Sud Italia e in particolare in Sicilia con le masserie[2] e i bagli[3] che costellano le campagne siciliane.

Per valorizzare e utilizzare tutti questi immobili interviene l’agriturismo che rappresenta un fenomeno imprenditoriale in netta espansione nel nostro Paese in quanto riesce a coniugare il rapporto qualità-prezzo per una pluralità di servizi erogati agli utenti (ristorazione, ospitalità, sport e così via). E’ merito dell’agriturismo l’aver contribuito a far risorgere attività artigianali, sportive (si pensi al turismo equestre, al trekking), il restauro di locali tipici, il rilancio della gastronomia, le più eterogenee manifestazioni (fiere, feste religiose, sagre di prodotti tipici del luogo).

A proposito dell’agriturismo è opportuno parlare di turismo diffuso in quanto non si concentra in limitati spazi costieri, collinari o di montagna frequentati dal turismo.

[1] Art. 10, comma 4, D. Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, novellato dall’art. 2, comma 1, lett. a), n. 4, D. Lgs. 24 marzo 2006, n. 156.

[2] In epoca romana la massa era un’estesa proprietà terriera con al centro una villa rustica; nel Medioevo la masseria indicava un  metodo di organizzare la produzione agricola; in epoca moderna identifica un  insieme di costruzioni agricole.

[3] Il baglio è un termine che deriva da vallum (luogo fortificato romano) ed aveva una connotazione difensiva costituendo in origine un cortile fortificato e successivamente una corte interna. Verso la metà del millequattrocento (XV secolo) ha finito per indicare l’intero complesso edilizio che ospitava le attività produttive agricole e che proteggeva i contadini dalle frequenti incursioni dei pirati e dei banditi.