L’architettura del latifondo di Maurizio De Paolis, Presidente dell’Associazione Romana di Studi Giuridici

Negli anni Cinquanta dello scorso secolo il latifondo caratterizzava vaste aree del nostro Paese ed era concentrato soprattutto nelle regioni meridionali[1].

Si trattava di proprietà agricole strutturate su decine di migliaia di ettari di terreno gestite in maniera estensiva, con investimenti minimali, che sfruttando in termini unitari piccole rendite, moltiplicate per decine di migliaia di volte, diventavano rendite consistenti per i proprietari latifondisti[2].

Visti da una prospettiva economica generale, i latifondi rappresentavano un uso inefficiente delle risorse disponibili. Tanto meno accettabile in un contesto economico-sociale dove la proprietà contadina era fortemente frammentata, il numero di bocce da sfamare in ogni piccolissima azienda era elevato e tale da generare situazioni di estremo disagio.

La riforma agraria dell’anno 1950, finanziata in parte con i fondi del Piano Marshall lanciato dagli Stati Uniti d’America, attraverso l’esproprio coatto favorì la distribuzione delle terre ai braccianti agricoli trasformandoli in piccoli proprietari[3]. Purtroppo, accanto a questo effetto benefico, generò una serie di nuove aziende agricole dalle dimensioni estremamente ridotte impossibilitate a trasformarsi in soggetti imprenditoriali avanzati e in quanto tali estremamente competitivi. Il predetto aspetto negativo venne in parte compensato dalle diverse forme di cooperazione che, programmando le produzioni e centralizzando la vendita dei prodotti, hanno dato all’agricoltura quel carattere imprenditoriale che era venuto meno con la divisione delle terre[4].

Nella categoria delle architetture rurali rientrano a pieno titolo i manufatti edilizi della così detta “architettura del latifondo” che ha rappresentato un fenomeno molto diffuso sino alla nascita del Regno d’Italia soprattutto nel sud Italia e in particolare in Sicilia dove si concentravano per la maggior parte le aziende latifondistiche.

Esempi tipici della predetta architettura sono:

– le masserie ampiamente diffuse nella campagne dell’entroterra centrale della Sicilia[5];

– i bagli classificabili in padronali (risalenti al milleseicento) e contadini (risalenti al milleottocento) a seconda che ospitassero i proprietari dei terreni circostanti o i contadini addetti alla loro coltivazione[6].

(Per maggiori notizie sull’edilizia rurale e beni culturali si consulti il sito www.arsg.it, Focus Patrimonio culturale nazionale ove sono pubblicati i seguenti articoli di Maurizio DE PAOLIS: Le architetture rurali spontanee innovativa categoria di beni culturali; Le costruzioni rurali sarde; Le case rurali della Toscana; Le cascine della Valle Padana).

 

 

[1] A. CHECCO, Le campagne siciliane degli anni venti, in Archivio storico per la Sicilia orientale, 1978, 2-3, 645-703.

[2] A. CARROZZA, La “riabilitazione” del latifondo, in Rivista di diritto agrario, 1988, 2, II, 214.

[3] F. CIAPPARONI, La solidarietà nel dopoguerra. La riforma agraria del 1950, in Iustitia, 2011, 4 424; A. GRASSO, Ancora sui terreni della riforma agraria e sul vincolo d’indivisibilità, in Diritto e giurisprudenza agraria alimentare e dell’ambiente, 2007, 3, II, 166; E. BECCHETTI, Riforma agraria: regime differenziato della proprietà fondiaria e limiti di infrazionabilità ed indivisibilità dei fondo oggetto di assegnazione, in Rivista del notariato, 2002, 3, I, 643 – 661; A. GRAZIANI, L’economia italiana dal 1945 ai nostri giorni, Bologna, 1979.

[4] C. NARDONE, Gli enti di sviluppo agricolo, la federconsorzi e la cooperazione agricola, in Nuovo diritto agrario, 1978, 1, I, 29-50.

[5] In epoca romana antica la massa era una estesa proprietà terriera con al centro una villa rustica; nel Medioevo la masseria indicava un metodo di organizzare la produzione agricola; in epoca moderna ha assunto il significato di insieme di costruzioni agricole.

[6] Il baglio è un termine che deriva da vocabolo latino vallum (luogo fortificato romano) ed aveva una connotazione difensiva costituendo in origine un cortile fortificato e successivamente una corte interna. Verso la metà del millequattrocento ha finito per indicare l’intero complesso edilizio che ospitava le attività produttive agricole e che proteggeva i contadini dalle frequenti incursioni dei pirati e dei banditi.