LA RESPONSABILITA’ AMMINISTRATIVA DELLE PERSONE GIURIDICHE NELL’ATTIVITA’ CONTRATTUALE CON LA P.A.

dell’Avv. Alessandra MARTINI

 Sommario: I. Il contesto normativo di riferimento; II. I presupposti della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche; III. Le sanzioni ; IV In particolare la sanzione interdittiva del divieto a contrarre con la Pubblica Amministrazione; IV. 1. Ambito oggettivo di applicazione; IV. 2. Ambito soggettivo di applicazione; IV. 3. La nozione di Pubblica Amministrazione cui la norma si riferisce.

  1. Il contesto normativo di riferimento.

La materia della responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato è disciplinata dal D. Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 – Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica,[1] nei limiti e con l’osservanza dei principi e criteri direttivi indicati nella legge delega 29 settembre 2000 n. 300 (art. 11).

Con la legge delega, a sua volta, l’Italia ha provveduto a ratificare ed eseguire la Convenzione sulla tutela degli interessi finanziari della C.E. (Bruxelles, 26 luglio 1995), nonché la Convenzione OCSE e quella relativa alla lotta alla corruzione nella quale sono coinvolti funzionari della C.E. o degli Stati membri dell’Unione (Bruxelles, 26 maggio 1997).

Successivamente, in attuazione dell’art. 85 del D. Lgs. n. 231/2001, il Ministro della Giustizia ha emanato il D.M. 26 giugno 2003, n. 201 contenente le disposizioni regolamentari atte a definire le norme procedurali applicabili alla materia.

In particolare, le disposizioni regolamentari relative al procedimento di accertamento dell’illecito amministrativo concernono le modalità di formazione e tenuta dei fascicoli degli uffici giudiziari, [i compiti e il funzionamento dell’Anagrafe nazionale delle sanzioni amministrative][2], e tutte le altre attività ritenute necessarie per l’attuazione della normativa.

Il D.Lgs. n. 231/2001 ha concepito un illecito amministrativo a natura complessa, ovverosia un sistema punitivo che “coniuga i tratti essenziali  del sistema penale e di quello amministrativo, nel tentativo di contemperare le ragioni dell’efficacia preventiva con quelle non eludibili della massima garanzia”.[3]

La necessità di introdurre una responsabilità che consentisse di coinvolgere, attraverso lo strumento sanzionatorio, i centri di potere volitivo e decisionale delle persone giuridiche è sorta nel momento in cui era crescente il fenomeno della criminalità economica.

Attraverso lo strumento sanzionatorio, di natura pecuniaria e interdittiva, introdotto con la normativa in esame, si può oggi incidere (seppur indirettamente) sul capitale dell’ente e sulla sua possibilità di operare sul mercato.

E’ necessario tuttavia tenere presente che, in ogni caso, la responsabilità dell’ente è aggiuntiva e non sostitutiva di quella delle persone fisiche, che resta regolata dal diritto penale comune.

Ciò consente di salvaguardare l’efficacia del sistema sanzionatorio complessivo.

Con la medesima finalità, la norma dispone che le vicende modificative dell’Ente (artt. 28 e ss.) non possono tradursi in strumenti elusivi dell’ipotesi penalistica.

Occorre tenere presente che il fondamento della responsabilità in capo alla persona giuridica risiede nella commissione di uno dei reati previsti dal decreto in esame da parte di una persona fisica che sia legata all’ente da un rapporto funzionale e che commetta il reato nell’interesse o a vantaggio dell’ente (non proprio o di terzi).

Che da tale responsabilità l’ente può esimersi  adottando modelli di organizzazione e di gestione finalizzati alla prevenzione di tali reati. In tale eventualità, l’elusione fraudolenta del meccanismo di monitoraggio da parte del reo non annulla l’efficacia dell’esimente, purchè l’ente sia in grado di dimostrare di aver fatto tutto il possibile per la prevenzione dei reati (cd. Inversione dell’onere della prova) e purchè si dimostri che il modello stesso sia stato efficacemente attuato.

 

  1. I presupposti della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche.

Il decreto legislativo si applica a tutti gli Enti forniti di personalità giuridica, alle Società e alle Associazioni, anche prive di personalità giuridica.

Al tempo stesso, con una previsione di carattere negativo, vengono esclusi lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli altri enti pubblici non economici nonché enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale (art. 1).

Sono altresì esclusi gli enti cd. Misti, ossia quelli che, ad esempio in seguito ad un processo di privatizzazione, agiscono iure privatorum pur continuando a svolgere una funzione di pubblica utilità (ad es. università pubbliche, aziende ospedaliere, aziende private che erogano un pubblico servizio, etc.).

Infine, in virtù della sentenza della Corte di Cassazione Penale, sez. VI, 22 aprile 2004, n. 18941, non sono comprese nel novero dei destinatari le ditte individuali, nei confronti delle quali sarebbe incoerente riconoscere una “carenza organizzativa colposa” che è il nucleo della nuova responsabilità.

La responsabilità si configura in capo all’ente in occasione del compimento di determinati reati da parte del vertice aziendale, dei dipendenti e di quanti sono sottoposti alla direzione o alla vigilanza dello stesso (soggetti con cui vi è un rapporto di immedesimazione organica o di subordinazione).

In particolare, i soggetti elencati all’art. 5:

–         qualsiasi soggetto  che all’interno dell’Ente riveste funzioni di rappresentanza,  di amministrazione  o  di  direzione;-         qualsiasi soggetto che all’interno di una unità organizzativa dell’Ente stesso, dotata di autonomia finanziaria e funzionale, riveste funzioni di rappresentanza,  di amministrazione  o  di  direzione;-          qualsiasi soggetto  che  esercita,  anche di fatto, la gestione e il controllo dell’Ente;-          persone  sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei precedenti soggetti.Ovviamente la responsabilità dell’Ente è esclusa nelle ipotesi in cui i soggetti indicati hanno agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi.

L’ente stesso, tuttavia, ha la facoltà di dotarsi di “strumenti” idonei ad escludere la sua responsabilità anche al verificarsi di fattispecie di reato poste in essere dai soggetti citati.

In particolare il combinato disposto degli artt. 6 e 7 contiene prescrizioni dalla cui ottemperanza discende l’esclusione della responsabilità dell’Ente.

L’ente deve adottare ed attuare efficacemente modelli organizzativo-gestionali idonei a prevenire i reati in questione e deve attuare una idonea politica di vigilanza sulla effettiva osservanza di tali modelli; l’organizzazione così realizzata deve essere tale da non poter essere aggirata se non fraudolentemente e, rispettate tutte queste esigenze,  deve rispondere alle seguenti esigenze la responsabilità dell’ente sarà esclusa.

Le fattispecie di reato che devono essere integrate dai soggetti individuati nell’art. 5, per fare insorgere la responsabilità amministrativa della società, ai sensi degli artt. 24 e ss., sono i seguenti:

  1. Reati contro la Pubblica Amministrazione: corruzione, concussione, malversazione, truffa ai danni dello Stato, frode informatica, indebita percezione di erogazioni/finanziamenti pubblici;
  2. Reati societari perseguibili: false comunicazioni sociali, falso in prospetto, impedito controllo, formazione fittizia di capitale, indebita restituzione dei conferimenti, illegale ripartizione degli utili e delle riserve.
  3. Altre ipotesi di reato: delitti con finalità di terrorismo o di eversione dell’Ordine Democratico, delitti contro la personalità individuale e falsità in monete e valori.

Perché sia configurabile la responsabilità è necessario che tali condotte criminose siano commesse a vantaggio dell’ente.

III. Le Sanzioni.

Il D. Lgs. n. 231/01 prevede diverse sanzioni che vengono comminate direttamente all’ente – persona giuridica.

Esse possono essere sia di natura pecuniaria, consistenti nel pagamento di una somma pari ad un certo numero di quote individuato dalla legge, sia di natura interdittiva, e possono essere aggravate nel caso in cui l’ente dalla commissione del reato abbia ricavato un profitto di rilevante entità.

Inoltre, è prevista la confisca del prezzo e del profitto del reato e la pubblicazione della sentenza (nell’ipotesi in cui è applicata una sanzione interdittiva).

La sanzione pecuniaria è indefettibile, quindi viene applicata sempre. Quelle interdittive, invece, alla luce della loro particolare afflittività, solo nei casi di particolare gravità.

A norma dell’art. 9, comma 2, le sanzioni interdittive sono:

– l’interdizione all’esercizio dell’attività;

– la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito;

– il divieto di contrattare con la PA, salvo che per ottenere prestazioni di pubblico servizio;

– l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi;

– il divieto di pubblicizzare beni o servizi.

Sono sanzioni che, limitando significativamente la libertà di azione degli enti, sono in grado di incidere negativamente sulla loro attività e, di conseguenza, minacciano concretamente lo svolgimento e le future prospettive della realtà aziendale.

  1. In particolare, la sanzione interdettiva del divieto di contrarre con la PA.

L’art. 9, comma 2, del D.Lgs. n. 231 del 2001 prevede, tra le sanzioni interdittive per illeciti amministrativi dipendenti da reato, “il divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione, salvo che per ottenere prestazioni di un pubblico servizio”.

Tale sanzione interdittiva presenta i seguenti caratteri generali, comuni a tutte le sanzioni interdittive.

In primo luogo,  tale divieto è diretto verso l’Ente destinatario della misura, ma anche nei confronti di tutti gli amministratori pubblici, che devono evitare di stipulare con esso contratti invalidi.[4]

In secondo luogo, la sanzione interdittiva in esame si applica esclusivamente in relazione ai reati per i quali la stessa è espressamente prevista (ad esempio non si applica ai reati societari ex art. 25 ter) e laddove ricorra almeno una delle seguenti condizioni:

a) l’ente ha tratto dal reato un profitto di rilevante entita’ e il reato e’ stato commesso da soggetti in posizione apicale ovvero da soggetti  sottoposti  all’altrui direzione quando, in questo caso, la commissione  del reato e’ stata determinata o agevolata da gravi carenze organizzative;b) in caso di reiterazione degli illeciti (art. 13).[5]In altri termini, stante la particolare afflittività delle sanzioni interdittive, queste vengono applicate solo nei casi di particolare gravità.[6]Infine, essa può avere una durata non inferiore a tre mesi e non superiore a due anni, salvo il caso in cui l’ente sia già stato condannato alla stessa sanzione almeno tre volte negli ultimi sette anni. In tal caso la sanzione del divieto di contrarre con la PA può essere applicata in via definitiva (art. 16). Inoltre, il divieto a contrarre con la PA non è indirizzato genericamente a tutte le attività dell’ente ma, al contrario, ha ad oggetto la specifica attività cui si riferisce l’illecito posto in essere.In particolare, può anche essere limitato a determinati tipi di contratto o a determinate amministrazioni (art. 14).E’ giusti il caso di rilevare che il divieto a contrarre con la Pubblica Amministrazione può essere applicato anche quale misura cautelare, nelle ipotesi in cui sussistono gravi indizi per ritenere la sussistenza della responsabilità dell’ente e vi sono fondati motivi per ritenere concreto il pericolo che vengano commessi illeciti della stessa indole di quello per cui si procede (artt. 45 e ss.).Poste queste doverose premesse, non si può prescindere dal considerare che le società, e le persone giuridiche in genere, che abitualmente svolgono attività al servizio della Pubblica Amministrazione forniscono servizi di interesse pubblico. Pertanto, nel caso in cui uno di questi enti sia soggetto passivo dell’applicazione della sanzione interdittiva del divieto a contrarre con la PA (o, più in generale, di una sanzione interdittiva che determina l’interruzione dell’attività dell’ente), si potrebbe determinare un grave pregiudizio dell’interesse pubblico che l’Amministrazione stessa persegue, attraverso le attività e/o i servizi forniti dall’ente medesimo.Per ovviare a tale problema il decreto in esame contempla una specifica disposizione che prevede che nelle ipotesi in cui l’Ente svolge un pubblico servizio o un servizio di pubblica necessità, la cui interruzione potrebbe provocare un grave pregiudizio alla collettività, il giudice deve disporre la prosecuzione dell’attività e nominare un commissario per un periodo pari alla durata della pena interdittiva che sarebbe stata applicata (art. 15)[7].La portata dei compiti e dei poteri riconosciuti in capo al commissario è determinata dallo stesso giudice ma, in ogni caso, il commissario “non può compiere atti di straordinaria amministrazione senza autorizzazione del giudice”.Questa circostanza non è priva di conseguenze in materia di contrattazione con la Pubblica Amministrazione da parte delle imprese sottoposte a “commissariamento”.Più precisamente, con riferimento alla fase di evidenza pubblica, che precede la fase propriamente contrattuale, si profila il problema relativo a quale natura abbia l’attività di impresa volta alla partecipazione ad una procedura di evidenza pubblica.In particolare, se si ritiene che la partecipazione ad una procedura di gara da parte di una impresa sia atto di straordinaria amministrazione, sarebbe necessaria una specifica autorizzazione del giudice; se, al contrario, si ritiene sia atto di ordinaria amministrazione l’impresa, ancorché sottoposta a commissariamento, potrebbe continuare a svolgere la sua attività senza bisogno di alcuna specifica autorizzazione.In tal senso la giurisprudenza ha rilevato che, in tema di attività di impresa, il criterio per distinguere gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione non può essere quello del carattere conservativo o meno dell’atto posto in essere, in quanto l’attività imprenditoriale è attività che presuppone necessariamente il compimento di atti di disposizione di beni, con la conseguenza che l’indicata distinzione va fondata sulla relazione in cui l’atto si pone con la gestione “normale”, e quindi “ordinaria”, del tipo di impresa di cui si tratta ed alle dimensioni in cui essa viene esercitata.[8]Pertanto, l’impresa sottoposta a “commissariamento” non ha l’onere di possedere l’autorizzazione giudiziale per poter partecipare a procedure di evidenza pubblica.Addirittura, non sussistono previsioni specifiche idonee ad impedire ad una impresa che si trovi nella situazione individuata dall’art. 15 del D. Lgs. n. 231/2001 di partecipare a gare pubbliche, pertanto la mancata ammissione alla gara da parte dell’amministrazione nei confronti di un concorrente che si trovi in “commissariamento” è illegittima, in quanto priva di elementi di logicità e lesivo della concorrenza.[9].Entrando ora nel merito della questione oggetto della presente trattazione, tenteremo di individuare l’esatta portata della misura interdittiva (e cautelare) del divieto a contrarre con la Pubblica Amministrazione  di cui al decreto legislativo n. 231 del 2001.In materia, di fondamentale importanza è il parere rilasciato dal Consiglio di Stato in sede consultiva, adunanza generale, III sezione,  del 11 gennaio 2005.Il citato parere era stato richiesto dal Ministero per le Attività Produttive al fine di ottenere chiarimenti in materia di applicazione delle misure interdittive cautelari previste dagli articoli 45 e seguenti del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231.In particolare, l’Amministrazione segnalava alcune questioni esegetiche che si erano poste in relazione ad una fattispecie che interessava una società – capofila di un gruppo industriale operante principalmente nel settore dell’energia con attività sia manifatturiere sia di servizi – nei cui confronti era stata applicata la misura cautelare del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione per un periodo di un anno limitatamente ad un particolare ambito di attività negoziale.Il quesito sottoposto ha consentito al Consiglio di Stato di definire la portata della misura cautelare interdittiva del divieto a contrarre con la pubblica amministrazione e di identificare, da un lato, l’ambito oggettivo e soggettivo di applicazione di detta misura e, dall’altro, la nozione di Pubblica Amministrazione cui la norma si riferisce. IV. 1. Ambito oggettivo di applicazione Il primo problema posto all’attenzione del Consiglio di Stato concerneva l’individuazione del tipo di attività preclusa dalla sanzione interdittiva del “divieto di contrarre con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere prestazioni di un pubblico servizio”, prevista dall’art. 9, co. 2, lett. c) del d. lgs. n. 231/2001 ed irrogabile, ai sensi dell’art. 45, c. 1, dello stesso decreto, anche quale misura cautelare.In particolare, la questione era la seguente. Gli effetti interdettivi previsti dall’art. 9, co. 2, lett. c) del D. Lgs. n. 231/01 sono applicabili ai soli eventuali nuovi appalti ai quali la società (colpita da misura interdettale) potrebbe partecipare, o colpisce anche gli appalti già affidati alla stessa ed attualmente in corso di esecuzione?In altri termini, la società nei confronti della quale è stata emanata una sentenza che le vieta di contrattare con la PA non può più partecipare alle nuove gare indette da Pubbliche amministrazioni o non può neanche svolgere attività per le quali la fase selettiva è già stata perfezionata?Sul punto il Consiglio di Stato, prendendo le mosse dalla ratio dell’istituto della misura cautelare, ha ritenuto che, la misura cautelare è preordinata a prevenire il rischio di commissione di illeciti della stessa indole (art. 45, co. 1, decreto legislativo n. 231/2001), pertanto, il divieto non può che riguardare la futura attività negoziale che il soggetto intenda porre in essere dopo l’adozione del provvedimento interdittivo. Apparirebbe, invece, estranea alla ratio della norma un’estensione del divieto anche all’esecuzione di contratti già conclusi prima della misura cautelare.Pertanto, nel caso di misura cautelare il “divieto di contrarre” si colloca come divieto di stipulare nuovi contratti, e non come divieto di portare ad esecuzione, o ad ulteriore esecuzione, contratti già precedentemente perfezionati.[10]Ovviamente, resta impregiudicata, in capo alla P.A., la possibilità di procedere all’annullamento in via di autotutela dei pregressi atti di aggiudicazione, ove ne ricorrano gli specifici presupposti.[11].IV. 2. Ambito soggettivo di applicazione 

Il decreto legislativo 231 del 2001 si applica a tutti gli Enti forniti di personalità giuridica, alle Società e alle Associazioni, anche prive di personalità giuridica, come espressamente previsto dall’art. 1.

Al tempo stesso, con una previsione di carattere negativo, vengono esclusi lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli altri enti pubblici non economici, nonché enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale[12].

Per quanto concerne specificamente l’irrogazione delle misure cautelari, il legislatore opera un rinvio alle disposizioni del codice di procedura penale.In particolare, ai sensi dell’art. 45, comma 2, del D. Lgs. n. 231/2001, il contenuto dell’ordinanza che irroga le misure cautelari in esame è disciplinato dall’art. 292 c.p.p.; ovvero: l’ordinanza o sentenza con cui viene irrogata la misura interdittiva deve indicare specificamente “le generalità dell’imputato e quanto altro valga ad identificarlo”.In ragione di tale rinvio il soggetto passivo (o i soggetti passivi) della misura cautelare viene individuato con efficacia vincolante per tutte le pubbliche amministrazioni che, nel caso in cui violino il divieto di contrattazione con quello specifico soggetto, incorrono nella responsabilità di cui all’art. 23, co. 1, del D. Lgs. n. 231/01.Anche relativamente a questo aspetto ha avuto occasione di pronunciarsi l’Adunanza della III Sezione del Consiglio di Stato in sede consultiva con specifico riferimento all’ipotesi di gruppi societari.In particolare, la questione sottoposta all’esame del Consiglio di Stato riguardava il caso di una società capogruppo che era stata colpita da misura interdettale. Si domandava se una società diversa da quella colpita da misura interdettale, ma da quest’ultima controllata (o partecipata), potesse anch’essa subire gli effetti dei provvedimenti nei confronti della società capogruppo.Sul punto il Consiglio così pronunciava: “nel caso di gruppi societari ove il provvedimento che irroga la misura cautelare faccia riferimento alla sola società capogruppo, il divieto di contrattare con la PA riguarda esclusivamente la società nei cui confronti è stata applicata la misura interdittiva e non le società partecipate e controllate”.A tale conclusione il Collegio giunge sulla base delle seguenti argomentazioni.1. “va in primo luogo evidenziato che la complessiva ratio della disciplina in materia di responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato (…) è quella di sanzionare quegli enti che non si siano previamente dotati di metodi organizzativi e di controllo tali da prevenire la commissione dei reati che si sono, in concreto, verificati” (artt. 6 e 7 del d.lgs. n. 231/01).In altri termini, non si tratta di una ipotesi di responsabilità oggettiva degli enti per reati commessi da propri vertici o dipendenti, ma si tratta di un illecito amministrativo che, pur avendo il suo presupposto nella commissione di un reato da parte di uno dei soggetti indicati all’art. 5 nell’interesse o a vantaggio dell’ente, trova la sua giustificazione nel fatto proprio imputabile all’Ente, che ha consentito o agevolato la commissione del reato a causa delle proprie carenze organizzative o direttive aziendali.[13]2. Inoltre, “l’esistenza di aggregazioni societarie non determina di per sé un mutamento delle posizioni di garanzia – che competono solo in capo ai singoli amministratori di ciascuna società che lo compone – dovendosi escludere che dal mero collegamento societario derivi, in capo agli amministratori di una società del gruppo, l’obbligo di impedire la commissione di reati nell’ambito di un’altra società del medesimo”.[14] Pertanto, la responsabilità di altre società del gruppo può ipotizzarsi solo nelle ipotesi in cui sia dimostrato che i rispettivi soggetti in posizione apicale o i rispettivi dipendenti hanno contribuito alla commissione del reato in concorso con quelli della capogruppo, e sempre che la singola società non possa produrre la prova liberatoria prevista dal comma 1, dell’art. 6 del d. lgs. n. 231/01.[15]3. Il Collegio conclude richiamando numerose disposizioni del citato decreto legislativo, nonché i principi fondamentali in tema di sanzioni amministrative, ad ulteriore conferma del suo convincimento.Le norme:- l’ art. 14, co. 1, d.lgs. n. 231/01 afferma chiaramente che “le sanzioni interdittive hanno ad oggetto la specifica attività alla quale si riferisce l’illecito dell’Ente”;– art. 30, co. 3, d.lgs. n. 231/01: nel caso di scissione dell’ente prevede per l’applicazione delle sanzioni interdittive – per reati societari commessi anteriormente alla data nella quale la scissione ha avuto effetto – a carico solo degli “enti cui è rimasto o è stato trasferito, anche in parte, il ramo di attività nell’ambito del quale il reato è stato commesso”;– art. 45 del d.lgs. 231/01 l’applicazione cautelare di misure interdittive trova la sua espressa motivazione nel concreto pericolo “che vengano commessi illeciti della stessa indole di quello per cui si procede”.In altri termini, ad avviso del Collegio, la norma ricollega la responsabilità ad un particolare ambito di attività di un determinato ente e, di conseguenza, non è prospettabile una automatica estensione della responsabilità della società capogruppo ad altre società del gruppo, che possono anche operare in settori economici del tutto diversi. I principi:- il principio di tassatività (richiamato dall’art. 2 d.lgs. n. 231/01) che esclude la possibilità di estendere le sanzioni e le relative misure cautelari a fattispecie diverse da quelle “espressamente previste” dalla legge;- il principio di personalità della responsabilità penale (art. 27 cost), esteso anche alla materia delle sanzioni amministrative (artt. 3 e 7 l. n.  689/1981).[16]Concludendo, la responsabilità amministrativa discendente da reato si ingenera solo ed esclusivamente nei confronti della sola società nei cui confronti si sono realizzati i relativi presupposti.La conseguenza è che le altre società appartenenti al gruppo, non essendo assoggettate alla misura interdittiva, possono stipulare individualmente contratti con pubbliche amministrazioni.IV. 3. La nozione di pubblica amministrazione cui la norma si riferisce.La questione si pone relativamente alla applicabilità, o meno, della nozione di “Pubblica Amministrazione” propria delle norme che disciplinano i contratti pubblici.Queste ultime, infatti, ricomprendono nella nozione anche le società a partecipazione pubblica, gli organismi di diritto pubblico, le società private concessionarie di pubblici servizi e i soggetti aggiudicatori di appalti pubblici.Tuttavia, queste norme hanno il precipuo scopo di individuare quali siano i soggetti tenuti ad esperire procedure di evidenza pubblica per l’affidamento di servizi, lavori e forniture, ma non partecipano delle finalità di prevenzione dei reati connessi all’attività degli Enti che sono a fondamento dell’intervento di riforma in materia di responsabilità di tali soggetti giuridici.Pertanto, nell’individuazione di cosa debba intendersi per Pubblica amministrazione ai fini che in questa sede interessa, non si può prescindere dalla specifica norma di riferimento, ovverosia il decreto legislativo n. 231 del 2001.In particolare, l’art. 13, co. 1, del d. lgs. n. 231/2001 sancisce che le sanzioni interdittive non si applicano per qualunque reato connesso all’azione dell’Ente, ma solo “in relazione ai reati per i quali sono espressamente previste” dal decreto stesso (che sono i reati indicati nella sezione III del decreto).L’ambito di applicazione della norma deve essere sufficiente a coprire tutte le tipologie di reati ivi previste – diversamente opinando le finalità preventive della disciplina introdotta con il decreto in esame sarebbero irrimediabilmente frustrate.In proposito va evidenziato che la commissione dei reati di concussione e corruzione e disciplinata dal Codice Penale, capo I, Titolo II, Libro II, dedicato ai “delitti contro la PA”. (art. 32 quater c.p.)Secondo costante giurisprudenza, elemento determinante degli stessi è rappresentato dal fatto che si versi nell’esercizio di pubbliche funzioni “le quali non cessano di essere tali per il solo fatto che sono esercitate da un soggetto giuridico privato”.Quindi, la nozione di Pubblica Amministrazione rilevante ai fini dell’applicazione della sanzione interdittiva in parola sembra debba intendersi in senso ampio e tale da ricomprendere l’insieme di tutti i soggetti, ivi compresi i privati concessionari di pubblici servizi, le imprese pubbliche e gli organismi di diritto pubblico, che sono chiamati ad operare, in relazione all’ambito di attività considerato, nell’esercizio di una pubblica funzione.Pertanto, la stessa potrebbe avere portata ben più ampia dell’art. 2 del d. lgs. n. 158/95.[17].

[1] In Gazzetta Ufficiale n. 140 del 19 giugno 2001.

[2] Disposizione abrogata dal DPR 14.11.2002 n. 313, art. 52.

[3] Relazione allo schema di decreto legislativo recante: “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica”. Maggio 2001.

[4] Si veda in proposito l’art. 23 del D. Lgs. 231/01, che recita: Chiunque, nello svolgimento dell’attività dell’ente a cui è stata applicata una sanzione o una misura cautelare interdittiva trasgredisce agli obblighi o ai divieti inerenti a tali sanzioni o misure, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni”.

[5] In ogni caso, la sanzione interdittiva in esame non si applica nei casi previsti dall’art. 12, co. 1:

  1. l’autore del reato ha commesso il fatto nel prevalente interesse proprio o di terzi e l’ente non ne ha ricavato vantaggio o ne ha ricavato un vantaggio minimo;
  2. il danno patrimoniale cagionato è di particolare tenuità.

[6] Diversamente da quanto accade per le sanzioni pecuniarie che sono indefettibili e, quindi, vengono applicate sempre.

[7] La portata della disposizione è in realtà più ampia e ricomprende, oltre all’ipotesi che si sta esaminando, anche tutte le ulteriori ipotesi in cui l’ente svolge un pubblico servizio o un servizio di pubblica necessità la cui interruzione può provocare un grave pregiudizio alla collettività; nonchè quelle in cui l’interruzione dell’attività dell’ente può provocare rilevanti ripercussioni sull’occupazione (art. 15, co. 1)

[8] Cass. Civ., sez. I, 18 ottobre 1997, n. 10229; Cass. Civile, sez. I, 4 maggio 1995, n. 4856; Cass. Civile, sez. I, 9 novembre 1994, n. 9296.

[9] In tal senso, cfr. Cons. Stato, sez. V, 13 luglio 2006, n. 4415, in materia di idoneità a partecipare ad una trattativa privata da parte di una impresa nei cui confronti erano state applicate misure di interdizione ex art. 15 D. Lgs. 231/01: “Il Collegio osserva, anzitutto, che la circostanza della sottoposizione a procedimento penale non è ostativa, di per sé, per gli operatori economici, alla partecipazione a procedure di gara, visto, tra l’altro, che l’art. 12 del d. lgs. 157/95 prevede, tra le cause generali di esclusione dalle gare,  soltanto l’emissione di una sentenza di condanna passata in giudicato, ovvero di una sentenza di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per qualsiasi reato che incide sulla loro moralità professionale o per delitti finanziari.   

Ne deriva che, non sussistendo previsioni specifiche idonee ad impedire ad una impresa versante nella situazione individuata dall’art. 15 del d. lgs. 231/2001 di partecipare a gare pubbliche, il mancato invito da parte dell’amministrazione nei confronti della ricorrente alla trattativa privata per l’affidamento del servizio già espletato dalla stessa società con il contratto precedente, si rivela illegittimo, in quanto privo di elementi di logicità e lesivo della concorrenza, anche in considerazione della già provata idoneità della stessa impresa alla gestione del servizio”.

 

[10] Il MdAP chiedeva, inoltre, chiarimenti in ordine alla tipologia di contratti la cui stipulazione è vietata dalla cennata misura interdittiva, in particolare  domandando se il divieto si estenda anche alla stipulazione di contratti aventi ad oggetto attività accessorie (di tipo “service”) rispetto all’oggetto del contratto principale vietato.

A tale riguardo il Consiglio di Stato così pronunciava:  “occorre premettere che il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, ai sensi dell’articolo 14, comma 2, del d.lg. n. 231/2001, “può anche essere limitato a determinati tipi di contratto o a determinate amministrazioni”.

Nel caso in cui l’ordinanza che irroga la sanzione interdittiva contenga una siffatta limitazione (come nella fattispecie in esame, ove si interpreti il dispositivo dell’ordinanza integrativa del 5 maggio 2004 tenendo conto anche dell’ultima parte della motivazione del provvedimento) e circoscriva il divieto di stipulazione solo ad un determinato tipo di contratto, deve, tuttavia, ritenersi che il divieto si estenda implicitamente anche alla conclusione di nuovi contratti accessori rispetto al negozio principale vietato (es. contratti di manutenzione di un bene oggetto di un nuovo contratto di fornitura vietato).

In tal senso va rilevato, per un verso, che il contratto accessorio è legato da un nesso di collegamento funzionale con il contratto principale e, per altro verso, che il contratto principale stipulato in contrasto con il divieto di contrattazione con la pubblica amministrazione è da qualificare come invalido, ed in particolare come affetto da nullità ai sensi dell’articolo 1418, comma 1, del codice civile.

Da tali premesse discende, in conformità ai consolidati orientamenti della giurisprudenza in materia di collegamento negoziale funzionale, che la nullità del contratto principale si estende anche ai suoi contratti accessori, che sono, quindi,anch’essi colpiti dal divieto di stipulazione.

Occorre, tuttavia, precisare che il divieto di contrattazione e la sanzione della nullità concerne solo i nuovi contratti accessori legati da un nesso di collegamento funzionale rispetto a nuovi contratti principali vietati, e non preclude alla società destinataria della misura interdittiva l’ulteriore esecuzione di contratti accessori conclusi prima dell’applicazione della misura cautelare. Inoltre sembra lecito ritenere che la società destinataria del divieto, ove il provvedimento cautelare non lo vieti espressamente, possa stipulare con la pubblica amministrazione nuovi contratti accessori, quando questi siano collegati con nuovi contratti principali validi perché conclusi dall’amministrazione con un’altra società, non colpita dalla misura interdittiva (es. nuovi contratti di manutenzione di un bene fornito da un’altra società, non assoggettata al divieto di fornitura), oppure siano collegati a vecchi contratti principali validi perché conclusi prima dell’irrogazione del divieto(es. nuovi contratti di manutenzione di beni forniti in esecuzione di contratti di fornitura precedenti al divieto)”.

[11] Secondo il consolidato orientamento interpretativo del Consiglio di Stato, oggi consacrato anche nell’art. 21 octies della legge 241/90 s.m.i., i presupposti essenziali dell’annullamento in autotutela da parte dell’Amministrazione sono i seguenti:

  • l’accertamento dell’invalidità di un atto per la sussistenza di uno dei vizi di legittimità;
  • la verifica della presenza di un interesse pubblico, diverso ed ulteriore rispetto a quello originario, che prevalga sull’interesse del destinatario alla conservazione dell’atto e ne importi la rimozione (a titolo esemplificativo: St., sez. VI, 10 gennaio 2006, n. 26; Cons. St., 27 febbraio 2006, n. 846).

[12] In virtù della sentenza della Corte di Cassazione Penale, sez. VI, 22 aprile 2004, n. 18941, non sono comprese nel novero dei destinatari le ditte individuali, nei confronti delle quali sarebbe incoerente riconoscere una “carenza organizzativa colposa” che è il nucleo della nuova responsabilità.

[13] “Poiché la responsabilità amministrativa è correlata all’inidoneità dei sistemi di organizzazione e vigilanza adottati dalla specifica società i cui vertici o dipendenti hanno commesso il reato, e, quindi, a presupposto oggettivi riferibili ad una particolare realtà aziendale, deve escludersi che, nel caso di reati commessi nell’ambito di una delle soicietà appartenenti ad un gruppo societario, le relative sanzioni o misure cautelari siano genericamente estendibili a tutte le società appartenenti al gruppo”.  (Consiglio di Stato, adunanza generale, III sezione, 11 gennaio 2005)

[14] Corte d’Appello penale di Roma, 28 marzo 1995.

[15] Consiglio di Stato, adunanza generale, III sezione, 11 gennaio 2005.

[16] I gruppi societari, pur composti da società legate da forme di collegamento e controllo, sono tuttavia costituiti da soggetti giuridici distinti che rappresentano altrettanti centri di imputazione di situazioni giuridiche soggettive e, quindi, la responsabilità amministrativa riconosciuta in capo ad uno di detti enti non può estendersi automaticamente ad un altro, ancorché appartenente al medesimo gruppo societario, rispetto al quale non si è direttamente realizzato i presupposti indicati dal citato decreto, ed in particolare i cui organi di vertice e dipendenti siano rimasti estranei alla commissione del reato.

[17] “Sono soggetti aggiudicatori: a) le amministrazioni dello Stato, le regioni, le province autonome di Trento e Bolzano, gli enti territoriali e locali, gli altri enti pubblici non economici, gli organismi di diritto pubblico comunque denominati e loro associazioni; b) le imprese pubbliche; c) i soggetti privati che per l’esercizio delle attività di cui agli articoli da 3 a 6 si avvalgono di diritti speciali o esclusivi. 2. Si considerano imprese pubbliche le imprese sulle quali i soggetti di cui al comma 1, lettera a) possono esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza dominante perché ne hanno la proprietà, o hanno in esse una partecipazione finanziaria, oppure in conseguenza delle norme che disciplinano le imprese in questione; l’influenza dominante su un’impresa è presunta quando, rispetto ad essa, i soggetti anzidetti, direttamente o indirettamente, ne detengono la maggioranza del capitale sottoscritto, oppure controllano la maggioranza dei voti cui danno diritto le azioni emesse dall’impresa, o hanno il diritto di nominare più della metà dei membri del consiglio d’amministrazione, del comitato esecutivo o del collegio sindacale della stessa”. (art. 2, d. lgs. 158/95).