I beni culturali nella globalizzazione del diritto Di Maurizio De Paolis, Presidente dell’Associazione Romana di Studi Giuridici

Ormai è chiara la bipartizione dei beni culturali, avvenuta, soprattutto, ad opera del “diritto globale”. Non sembra, dunque, discutibile che i beni culturali si distinguano tra quelli materiali (disciplinati, per quanto concerne la tutela e la valorizzazione, dal Codice del 2004) e quelli immateriali (regolati essenzialmente dalla disciplina Unesco).

Di contro, non vi è accordo se il valore immateriale, presente tanto nei beni culturali immateriali che in quelli materiali, sia un tratto unificante oppure no, tale da arrivare a ritenere che (al di là del Codice) esista una categoria giuridica unitaria, che veda nel bene culturale “una testimonianza di civiltà” a prescindere dall’esistenza o meno di un substrato materiale.

Su questa strada si sono mossi con notevole incertezza coloro che si sono occupati soprattutto dei beni culturali nell’ottica della loro crescente globalizzazione. A tal fine, si è evidenziato che nelle fonti dell’ordinamento internazionale e di quello comunitario si scorgono i segni “di una nozione di patrimonio culturale che non coincide con quella relativa ai beni culturali utilizzata dal nostro Codice, perché sembra superare sia il dato della materialità in senso stretto sia quello della territorialità”[1].

 

[1] A. SERRA, Patrimonio culturale e nuove tecnologie: categorie di interessi e profili giuridici, La globalizzazione dei beni culturali (a cura di L. Casini), Bologna, 2010, 225.