Da qualche anno a questa parte è arrivato il momento di guardare ad una particolare “faccia” dei problemi della giustizia, quelli che investono la vita quotidiana dei cittadini, ma che non suscitano le stesse emozioni conseguenti agli arresti o alle intercettazioni telefoniche di personaggi eccellenti, puntualmente esaltate al massimo livello dagli strumenti mediatici. Intendo riferirmi a materie come l’inefficienza del processo civile ritenuta, a torto, noiosa e di rado in grado di forare lo spesso muro di gomma dell’indifferenza costantemente mostrata dagli organi di informazione. La crisi della giustizia civile rappresenta la crisi di un sistema che appare strutturalmente incapace di assolvere alla propria funzione: si tratta di un apparato che perde continuamente ed inesorabilmente terreno sul piano della risposta di giustizia, in termini di progressivo ed inarrestabile aumento dell’arretrato e dei tempi di definizione delle cause; è un sistema bloccato che finisce per incidere in maniera pesante sulla competitività dell’Italia oltre che sulla qualità della vita della intera collettività. Il livello di democrazia di un Paese si misura anche sulla capacità di rendere effettivamente giustizia, per cui si deve prendere atto che quella della giustizia rappresenta una vera e propria emergenza sociale di cui è indispensabile farsi carico nella giusta dimensione della sua concreta gravità, ponendo in essere tutte le misure idonee ed adeguate a fronteggiarla. La questione della giustizia civile si deve affrontare predisponendo ed attuando in concreto un piano basato su quattro direttrici fondamentali:
- a) La razionalizzazione e la semplificazione dei riti da utilizzare in maniera organica onde evitare difficoltà agli operatori del diritto, magistrati ed avvocati, e per impedire una moltiplicazione di fatto delle procedure processuali; questa particolare tipologia di interventi dovrebbe essere indirizzata ad attuare poche modifiche, di carattere radicale, quale l’unificazione dei termini a difesa, di impugnazione, di reclamo e di opposizione ovvero l’unificazione della forma dell’atto introduttivo dei singoli giudizi di impugnazione con la finalità di pervenire ad un rito base, flessibile e adattabile, con alcune specifiche modifiche, alla materia della famiglia e a quella del lavoro.
- b) La razionalizzazione dell’utilizzo delle risorse umane, finanziarie e tecnologiche esistenti, spesso non utilizzate in modo appropriato, così come dimostrano le esperienze pluriennali di taluni uffici giudiziari il cui cattivo funzionamento determina un evidente squilibrio tra le strutture giudiziarie in cui i tempi processuali appaino ragionevoli e quelli degli uffici giudiziari in cui le lungaggini dei processi implicano l’applicazione sistematica della l. n. 89 del 2001.
- c) Accanto all’impegno di razionalizzare le risorse di cui già si dispone, ci deve essere la consapevolezza che la gravità della crisi in cui versa la giustizia civile richiede anche il reperimento di nuove risorse, essendo soltanto illusorio pensare di fronteggiarla con il migliore utilizzo di quelle già esistenti; pertanto, è indispensabile pensare, oltre che alla integrale copertura degli attuali organici dei magistrati e del personale amministrativo, ad arrestare la tendenza a ridurre gli stanziamenti annuali relativi alla giustizia.
- d) Infine, è di primaria importanza svolgere una attenta riflessione sull’assetto e sul perimetro della giurisdizione onde evitare che l’incertezza sul giudice competente a decidere le controversie determini un ulteriore allungamento dei tempi processuali: 960 giorni per il giudizio civile di primo grado e 1509 giorni per quello di appello.
I tempi della Giustizia amministrativa sono certamente meno drammatici di quelli della giurisdizione civile. Infatti, la corsia preferenziale introdotta dalla l. 21 luglio 2000, n. 205 per alcune categorie di controversie, come quelle sui contratti di appalto pubblico, dimostra di funzionare molto bene: di regola, è sufficiente qualche mese per giungere alla decisione di merito in primo grado. Il contenzioso ordinario potrebbe funzionare parimenti in maniera soddisfacente con le nuove procedure, se non vi fosse l’arretrato accumulatosi prima della riforma del 2000, anche se si tratta di un arretrato apparente, costituito da ricorsi per i quali le parti, a seguito della successiva attività svolta dalla p.a. o per il semplice decorso del tempo, hanno perso un reale interesse, salvo quello derivante dalla applicazione della l. 24 marzo 2001, n. 89. Allo stato attuale, non è ipotizzabile la creazione di Sezioni – stralcio all’interno della Giustizia amministrativa con cui produrre una drastica riduzione del numero dei ricorsi giurisdizionali a tutt’oggi pendenti davanti ai Tribunali Amministrativi Regionali e al Consiglio di Stato, mentre, sulla base del finanziamento proveniente dal gettito prodotto dal contributo unificato, si potrebbe varare a tempi stretti un programma straordinario di smaltimento dell’arretrato basato sulla archiviazione digitalizzata dei fascicoli più vecchi e sulla trattazione informatica delle cause amministrative, attraverso una sorta di spoglio preventivo, svolto all’interno di ogni Sezione giurisdizionale, dal personale di magistratura, affiancato da quello di segreteria, con l’introduzione di meccanismi premianti per il predetto personale. Queste innovazioni sono indispensabili ed urgenti a fronte di un arretrato che vede pendenti 32.249 ricorsi davanti al Consiglio di Stato e ben 646.441 innanzi ai Tribunali amministrativi regionali.
Una tutela penale effettiva deve prevedere specifiche riforme che tengano nella giusta considerazione le vere disfunzioni della giustizia penale ad iniziare dalla certezza della pena. E’ ineludibile il rinnovamento di questo rilevante settore della magistratura ordinaria per garantire la terzietà del giudice, l’autonomia e l’indipendenza della giurisdizione mediante la separazione delle carriere tra magistrati inquirenti e giudicanti, la separazione della magistratura dalla politica per evitare la contaminazione dell’una dall’altra, la riforma del Consiglio Superiore della Magistratura, la riforma della magistratura onoraria e dei giudici di pace. E’ inaccettabile abnorme e intollerabile che il cittadino debba attendere mediamente 426 giorni per la definizione del giudizio penale di primo grado in presenza di imputati noti e oltre 730 giorni per il grado di appello.
A far data dalla metà degli anni Novanta, un adeguato complesso di riforme strutturali e di norme processuali nel comparto della Giustizia amministrativa – contabile ha contribuito a ridurre l’arretrato nel processo pensionistico come attestano in maniera sintetica e al contempo incontrovertibile i dati statistici: 187.017 ricorsi pendenti presso le Sezioni Regionali della Corte dei Conti alla fine dell’anno 2000 e 74.938 alla fine del 2007.
Per quanto riguarda le Sezioni di appello della Corte dei Conti, l’istituzione del giudice unico delle pensioni ha contribuito a far lievitare il numero degli appelli proprio a causa di una maggiore divaricazione tra gli orientamenti giurisprudenziali elaborati in ambito regionale. In ogni caso, l’arretrato che si è formato negli ultimi anni innanzi ai giudici di secondo grado ammonta a circa 7.000 ricorsi pendenti al 31 dicembre 2007, non risultando affatto patologico, ma rientrando in un fenomeno riconducibile dentro confini sicuramente fisiologici.
Le conclusioni a cui è pervenuta la giurisprudenza della Corte di Cassazione, nonostante talune aperture registrate soprattutto negli ultimi anni, lascia una notevole percentuale di processi tributari totalmente privi della tutela che invece la legge Pinto accorda ad altre tipologie di cause civili, penali e amministrative. Si tratta di una situazione iniqua per centinaia di migliaia di contribuenti coinvolti in giudizi tributari che si protraggono per spazi temporali eccessivi: si pensi, ad es., alla situazione della Commissione tributaria centrale ancora attiva per la gestione del contenzioso pendente davanti ai propri giudici.
E’ fuori discussione che, in presenza di giudizi tributari eccessivamente lunghi, si possano sviluppare per il soggetto interessato (contribuente) situazioni del tutto simili a quelle che nascono dalla lesione di diritti soggettivi o degli interessi legittimi che, nel nostro Paese, rientrano rispettivamente e in linea di massima, nella competenza della giurisdizione ordinaria civile e in quella amministrativa. Di conseguenza, sarebbe veramente arduo negare la natura di danno patrimoniale per le spese sostenute dal contribuente per tutelarsi in sede giudiziaria (onorari dei liberi professionisti, consulenze tecniche ecc.) o per la ritardata erogazione o tardiva restituzione dei rimborsi.
Inoltre, nella pendenza irragionevole dei processi tributari, può prodursi al pari delle altre tipologie di cause un danno non patrimoniale come quello esistenziale (patema d’animo, stress psicologico), quello all’immagine da intendersi come una sorta di ricaduta negativa che la protrazione del procedimento processuale può determinare sulle iniziative finanziarie, economiche o societarie del contribuente.
Attualmente, purtroppo, per tutti questi tipi di danno viene negata dal giudice di legittimità qualsiasi forma di equa riparazione in nome di una presunta coerenza simmetrica della giurisprudenza della stessa Corte di Cassazione con la giurisprudenza della Corte di Strasburgo. Tutto questo non è sufficiente a giustificare una grave discriminazione che viene posta a carico di un elevato numero di cittadini italiani coinvolti a vario titolo in processi tributari. Il Legislatore nazionale, assicurando l’equa riparazione del danno anche per l’irragionevole durata del processo tributario, non solo darebbe integrale attuazione ai principi di cui all’art. 111 cost., co. 2°, ma colmerebbe anche una grave lacuna, impedendo la consumazione di ingiustificabili discriminazioni processuali in palese contrasto con i principi di uguaglianza sostanziale incardinati nell’art. 3 e nell’art. 24, cost..
Non essendovi al momento altra possibilità concreta, è auspicabile l’introduzione di una novella che potrebbe trovare un’adeguata sistemazione all’interno dell’art. 2, l. 24 marzo 2001, n. 89 con cui estendere la tutela accordata dalla stessa legge anche alla irragionevole durata del processo tributario.
Parallelamente è indispensabile un rinnovamento da parte dell’avvocatura al fine di assicurare un’ elevata qualità della prestazione e della qualificazione professionale dell’avvocato del libero foro: l’accesso alla professione forense, la formazione, l’aggiornamento, la specializzazione sono i cardini di una riforma che tenga conto delle esigenze di modernità e di tutela dei diritti di libertà e di difesa del cittadino con un occhio particolarmente attento all’area sovrannazionale in modo da avvicinare la professione dell’avvocato italiano a quella che si svolge in altri Stati aderenti all’Unione Europea.
Questo libro si inserisce in una situazione della giustizia nazionale certamente non idilliaca che vede il nostro Paese occupare una posizione elevata nella classifica degli Stati meno virtuosi stilata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali con sede a Strasburgo presso i cui giudici risultano pendenti, alla data del 31 dicembre 2008, ben 4.200 ricorsi a carico dell’Italia di cui 2.600 riguardanti l’eccessiva durata dei processi.
Per la prima volta nel panorama editoriale giuridico un’opera offre l’analisi sistematica ed interdisciplinare, analizzando partitamente tutte le complesse e articolate questioni inerenti l’applicazione della l. 24 marzo 2001, n. 89 alle diverse tipologie di processo, indicando al lettore (magistrato e avvocato) lo strumento operativo e funzionale più idoneo per adottare le decisioni giudiziali e per scegliere le più opportune strategie processuali.
Ampio spazio viene dedicato ai principi informatori della l. 24 marzo 2001, n. 89, commentata articolo per articolo, con approfondimenti sulle diverse responsabilità che possono investire il personale di magistratura, gli ausiliari del giudice, il personale di segreteria degli uffici giudiziari (responsabilità per danno erariale, responsabilità dirigenziale, responsabilità disciplinare). Una opportuna finestra viene aperta sul danno esistenziale alla luce delle recenti sentenze della Corte di Cassazione.
Nella parte terza del volume si analizzano le questioni applicative della l. n. 89 del 2001 riguardanti il processo civile con un’analisi in merito anche alla lite temeraria, alle persone giuridiche e alla recente riforma del giudizio davanti alla Corte di Cassazione, introdotta dalla d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, con marcate connotazioni deflative del contenzioso e con significativi profili di semplificazione del procedimento processuale davanti alla Suprema Corte.
Nella parte quarta viene esposto il risarcimento del danno per l’irragionevole durata del processo amministrativo con approfondimenti riguardanti: il rapporto tra l’arretrato nella Giustizia amministrativa e il giudizio cautelare; la funzione della domanda di fissazione e l’istanza di prelievo rispetto all’applicazione della l. 24 marzo 2001, n. 89; il nuovo fenomeno dei ricorsi collettivi davanti alla Corte di appello; l’individuazione della Corte di appello competente; la rilevanza dell’attività svolta dalla p.a. rispetto al processo per l’equo risarcimento del danno per irragionevole durata del processo; l’applicabilità del principio del giusto processo al contenzioso nel pubblico impiego; gli strumenti processuali previsti dal d.l. 25 giugno 2008, n. 112 per contenere e ridurre l’arretrato delle cause.
Nella parte quinta del volume si analizzano le questioni che investono l’applicazione della l. n. 89 del 2001 al processo penale
con un’attenzione particolare rivolta alle modalità e ai criteri per calcolare il termine per l’irragionevole durata del giudizio, al danno risarcibile e ai limiti sulla rilevanza dell’esito del processo sulla concessione dell’equo indennizzo.
Nella parte sesta del libro vengono esaminati i rapporti tra giudizio contabile davanti alla Corte dei Conti e l. 24 marzo 2001, n. 89: giusto processo contabile; equo risarcimento del danno per irragionevole durata del processo pensionistico.
Infine, nella parte settima della pubblicazione si prende in considerazione il processo tributario di cui si esamina l’ordinamento in cui si inserisce e la posizione della giurisprudenza europea e nazionale, mettendosi in evidenza la necessità di una rapida modifica alla l. 24 marzo 2001, n. 89 per consentire una integrale risarcibilità del danno causato dalle lungaggini giudiziali che purtroppo nel nostro Paese investono anche la giustizia tributaria.
L’opera editoriale viene pubblicata nel momento in cui, a seguito della applicazione della l. 24 marzo 2001, n. 89, nell’intervallo temporale compreso tra la sua entrata in vigore e il 31 dicembre 2008, sono stati emessi complessivamente 37.903 decreti dalle rispettive Corti di appello con un esborso complessivo per il pubblico erario pari a ottantuno milioni di euro. Questo tipo di contenzioso costituisce una consistente percentuale di cause gravanti sulla già immobile giurisdizione ordinaria civile e un ingente volume di lavoro per gli avvocati del libero foro, ma al contempo non allinea l’Italia agli altri Paesi esteri.
Purtroppo sono veramente lontani i tempi in cui la giustizia era il cuore dello Stato, quando, come in Roma antica, gli imperatori, arrestavano interi eserciti in marcia per amministrare la giustizia richiesta da un anonimo cittadino di una sperduta provincia dell’Impero.