Le requisizioni d’urgenza

Le requisizioni d’urgenza

Come auspicato da decenni, il nuovo T.U. delle espropriazioni, ha finalmente posto ordine alla stratificazione di norme che si era venuta a formare in questa materia, ricostruendo un modello unitario di procedimento espropriativo.  La nuova disciplina delle espropriazioni, non può che riflettersi, quindi, anche su tutti gli altri atti ablatori e in particolare sulle requisizioni che, essendo prive di una propria regolamentazione, hanno mediato, per l’intervento della Giurisprudenza, la disciplina procedimentale delle espropriazioni e in parte quella delle occupazioni d’urgenza [1].

Le requisizioni sono, per loro natura dei provvedimenti eccezionali, contemplati dall’ordinamento per cercare di contrastare eventi imprevisti, e forse anche imprevedibili. La requisizione deve rappresentare per la Pubblica Amministrazione, uno strumento che le consenta di agire efficacemente anche in quelle situazioni in cui altrimenti si troverebbe paralizzata tra l’inerzia e l’abuso, giungendo ad imporre il sacrificio definitivo o in via temporanea, del diritto di proprietà di un soggetto privato, per il soddisfacimento immediato di un interesse pubblico.

Il potere di requisire, che, secondo la disposizione dell’art. 835 c.c., dovrebbe essere sottoposto, al pari delle espropriazioni, a riserva di legge, nel corso dell’ultimo secolo è stato frequentemente usato attraverso l’emanazione di Ordinanze contingibili ed urgenti, che trovano il loro fondamento nell’art. 7 l. 2248/1865 all. E, abolitrice del contenzioso amministrativo.

A ragione parte della dottrina distingue i due procedimenti di requisizione aggiungendo alle requisizioni disposte ex art. 7, la qualificazione “d’urgenza” per differenziarle dalle altre, tuttavia questa distinzione potrebbe essere fuorviante giacchè tutte le requisizioni devono sempre essere motivate da ragioni eccezionali ed urgenti.  Tuttavia, le ordinanze ex art. 7 l. 2248/1865 all. E uniscono in sé le caratterisitice formali delle ordinanze di necessità con gli effetti degli atti ablatori.  La duplice natura di queste requisizioni, che si potrebbero definire sostanziali, in contrapposizione alle requisizioni formali, ordinate attraverso provvedimenti legislativi, deve essere tenuta presente nella ricostruzione di una normativa ad esse applicabile, che colmi le lacune dell’art. 7, giacché tale norma non regola né il procedimento, né i presupposti, né la competenza ad emanare tali ordinanze.

Pur constatando che la componente ablatoria di questi atti risulta essere prevalente rispetto a quella di necessità, giacché le requisizioni sostanziali producono effetti analoghi a quelli delle requisizioni formali, nondimeno permane la questione se, in assenza di indicazioni dell’art. 7 l. 2248/1865 all. E, debbano essere ritenute competenti le Autorità Amministrative che hanno il potere di disporre espropriazioni e occupazioni, oppure le Amministrazioni Statali a fini generali che siano competenti a emanare provvedimenti contingibili ed urgenti.

La lunga “consuetudine interpretativa”, nata dall’elaborazione giurisprudenziale, che ha portato a individuare nel Prefetto l’unico soggetto competente in via primaria ad emanare le requisizioni ex art. 7 e che ha attribuito al Sindaco solo una competenza sussidiaria, ha da tempo subito progressive erosioni, dovute a pronunce che si sono spinte verso il riconoscimento di un autonomo potere del Sindaco, all’interno delle materie per legge rientranti nei suoi fini istituzionali [2].

Tuttavia, l’esistenza di una competenza primaria del Sindaco a disporre ordinanze in tutte le materie che gli sono delegate, non comporta automaticamente che in queste materie, tra cui la sanità e l’igiene, l’edilizia, la polizia locale, lo smaltimento dei rifiuti, il Sindaco possa disporre anche della proprietà privata con un atto ablatorio.

Il nuovo T.U. dell’espropriazioni non ha posto fine a queste problematiche, ma anzi ha acuito il problema con un apparente rimando integrale alla disciplina delle occupazioni, anche in materia di competenza e non solo di procedimento.

L’art. 49, ultimo comma, del T.U. prevede, infatti,  che a tutti i provvedimenti con cui si utilizzino beni altrui per urgenti ragioni di pubblica utilità, si applichino le disposizioni previste per le occupazioni nei precedenti commi dell’art. 49.  Atteso, quindi, nel primo comma di questa norma il potere di disporre occupazioni  è attribuito “all’Autorità espropriante”, non è chiaro se la norma implicitamente demandi alle medesime autorità esproprianti sia  il potere di disporre le occupazioni  un tempo previste dall’art. 64 l. 22359/1865, sia le requisizioni disposte mediante ordinanza contingibile ed urgente.  Ne consegue che, non solo il T.U. non diminuisce le incertezze sulla competenza ad emanare tali ordinanze ma pare addirittura che requisizioni ex art. 7 possano essere disposte non più solamente da Prefetto e Sindaco ma da tutti gli Enti quali Regioni, Provincie e Comuni che hanno il potere di compiere espropriazioni.

Profili di illegittimità costituzionale dell’art. 7 l. 2248/1865 all. E

L’art. 7 l. 2248/1865 all. E, per la sua formulazione indeterminata, è una norma inadeguata a dettare la disciplina di un istituto fortemente incisivo sui diritti del privato come può essere la requisizione, e suscita per tale motivo, fondati dubbi di legittimità.

Le critiche rivolte alle requisizioni ex art. 7 non investono l’istituto della requisizione in quanto tale, ma contestano che questa norma, qualora venisse considerata sostanziale, possa legittimare un potere ablatorio extra ordinem che permetta di emanare atti aventi lo stesso contenuto delle requisizioni, anche al di fuori dei casi legislativamente previsti, colmando le eventuali lacune dell’ordinamento.

Dal punto di vista formale la naturale debolezza della riserva di legge prevista dall’art. 42 Cost., che appunto si tende a definire come una riserva di legge relativa, trova soddisfacimento nel fatto che la previsione in questione sia contenuta in un articolo di legge.

Inoltre, l’art. 7 l.2248/1865 all. E rispetta il minimum di tutela del diritto di proprietà costituzionalmente garantito giacché il potere di disporre della proprietà privata in essa previsto risulta delimitato da una parte dall’obbligo di indennizzo e dall’altra dal rispetto dei motivi di grave necessità pubblica, che sono una specificazione dell’espressione usata nella Costituzione e, quindi, in essa ricompresi.  Tuttavia il rispetto di questi parametri non può che configurarsi inadeguato ad espletare la funzione che la riserva di legge dovrebbe svolgere.  L’elaborazione dottrinale del concetto di riserva di legge relativa è diretta a permettere, nell’emanazione di atti normativi ed amministrativi,  l’esercizio elastico della discrezionalità della P.A., garantendo al contempo che tale esercizio non si trasformi in arbitrio imponendone i limiti attraverso la  preventiva disciplina della norma legislativa.  Ciò non può significare però che la legge possa limitarsi, a sua volta, ad attribuire la regolamentazione a fonti diverse, senza fornire alcuna disciplina della materia e trasformandosi invece in mera attribuzione di competenza (Corte Cost. 2 giugno 1961 n. 35).

L’art. 7 non solo non indica cosa si intenda per disporre della proprietà privata sicchè in nome di tale norma si sono emanati provvedimenti che spaziano dalla compressione del diritto di proprietà o di altri diritti reali, fino ai rapporti derivanti da concessioni amministrative o all’imposizione di vincoli, ma tale norma non permette nemmeno di individuare quali siano le gravi necessità pubbliche che assurgono a una rilevanza tale da permettere di sacrificare la proprietà privata.

Inoltre il principale difetto dell’art. 7, l. 2248/1865 all. E si riscontra nel fatto che si riferisce in modo del tutto generico ed indeterminato a delle Autorità amministrative, e che per tale ragione non è in grado nemmeno di svolgere la funzione di norma attributiva di competenza.

 E ovvio che l’indeterminatezza della norma non può essere risolta in una sua valenza generalizzata e diffusa in contrasto con le altre previsioni di legge, quasi che si volesse legalizzare la violazione della riserva di legge.

 Per cercare, quindi, di temperare la natura di potere capace di contraddire la legge, alcune sentenze [3] si sono spinte ad accogliere una visione intermedia in cui l’art. 7 avrebbe la funzione di norma di chiusura operando “ultra legem” e non extra ordinem.  La norma adatterebbe all’emergenza i poteri garantiti dalla legge rendendoli più elastici e permettendo una loro applicazione anche al di fuori dei loro limiti. Secondo questa impostazione l’art. 7 estenderebbe gli effetti degli altri atti ablatori, come le espropriazioni o le occupazioni, oltre i limiti previsti dalla legge.  Non è chi non veda che in realtà questa impostazione ricade in un circolo vizioso che  verrebbe a legittimare una violazione della riserva di legge.

Più correttamente si deve ritenere che l’art. 7 si limiti a conferire alle autorità amministrative, che in base ad altre norme sono già titolari del potere di ordinanza, la facoltà di disporre anche della proprietà privata. Come affermato all’inizio di questa breve riflessione sulle requisizioni, i provvedimenti emanati ai sensi dell’art. 7 . 2248/1865 all. E sono per loro natura atti di necessità che producono effetti consustanziali a quelli degli atti ablatori.   Per poter quindi ammettere la costituzionalità delle requisizioni disposte mediante ordinanze contingibili ed urgenti, non resterà che considerare tale norma, una previsione priva di una propria autonomia, l’enunciazione quasi superflua di uno dei tanti possibili oggetti delle ordinanze di necessità[4].

Occupazioni d’urgenza e requisizioni

La requisizione in uso di immobili e l’occupazione d’urgenza sono due istituti molto simili, che consistono entrambi in una privazione temporanea del godimento del bene causata da una situazione di urgenza.  L’obbligo di rispettare la temporaneità e la reversibilità dell’utilizzo del bene sono presupposti inderogabili in entrambe le fattispecie, che le rendono omogenee, se non per alcuni aspetti coincidenti.  Fino ad oggi, la distinzione tra requisizioni e occupazioni veniva individuata nella diversa finalità dei due istituti: l’occupazione sarebbe stata preordinata direttamente alla realizzazione di un’opera pubblica o comunque ausiliaria e strumentale al suo compimento, mentre la requisizione avrebbe usato del bene nello stato in cui si trova e per la sua intrinseca utilità, senza che normalmente fossero necessari altri interventi.

Alla luce del nuovo T.U. delle espropriazioni che ha destituito di ogni fondamento la figura dell’occupazione esclusivamente preordinata all’esproprio che era stata elaborata da dottrina e giurisprudenza, si è invece concretizzata un’assimilazione dei due istituti.

Il caso di utilizzazione di aree per l’installazione di insediamenti abitativi, per dare ricovero a coloro che sono rimasti senza tetto a seguito di calamità naturali offre lo spunto per puntualizzare le differenze tra queste fattispecie.

Non si può condividere la tesi che le considera, infatti, delle occupazioni d’urgenza (ex art. 71 prima parte del primo comma della legge sulle espropriazioni del 1865, ora ultimo comma art. 49 T.U.) le quali si riferirebbero all’acquisizione di aree allo scopo di garantire interventi di ripristino e di restauro in seguito alle calamità naturali; ma nemmeno si possono ritenere applicazioni dell’art. 64 della stessa legge (ora primo comma dell’art. 49 T.U.) che prevede l’occupazione di aree di cantiere.  Infatti la mera prospettiva che si ricostruiscano nuove case o si restaurino quelle danneggiate, per consegnarle poi alle persone che momentaneamente usufruiscono delle abitazioni provvisorie, non costituisce un rapporto teleologico tra l’occupazione delle aree e le nuove edificazioni.   Pertanto, quando la Pubblica Amministrazione si appropria di aree per instaurarvi insediamenti provvisori in seguito a calamità, è preferibile qualificare tali atti come requisizioni, anche se sorgono alcuni problemi relativamente ai limiti dell’uso che si può fare del fondo in oggetto [5].  Anche in questo caso la requisizione instaura un rapporto di gestione diretta dell’emergenza che comporta l’assunzione in prima persona delle responsabilità ed obbligazioni derivanti dalle situazioni di necessità, mentre non vi è alcuna subordinazione funzionale al compimento di una attività di terzi.

Cosa potrebbe accadere qualora, in pendenza di una requisizione di aree per insediamenti abitativi provvisori, avvenisse una radicale trasformazione del bene, tale che fosse contraria ad equità una sua mera restituzione al proprietario o se addirittura il bene stesso fosse stato utilizzato, al di fuori delle originarie previsioni per il compimento di un’opera pubblica?

Anche se il T.U. ha cercato di eliminare alla radice la possibilità che si verifichino casi di occupazione acquisitiva o usurpativa, eliminando le occupazioni preordinate all’esproprio, queste ipotesi di requisizione potrebbero parimenti comportare un radicale stravolgimento della cosa che non consenta la sua restituzione al proprietario.

Fino ad ora, l’obbligo di restituire il bene requisito è sempre stato prevalente rispetto alla possibilità di configurare un’acquisizione appropriativa derivante da requisizione.  L’art. 43 T.U. prevede però che in tutti i casi in cui la P.A. utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificandolo in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, la P.A: medesima possa emanare un atto di acquisizione. Tale generica formulazione può ricomprendere anche le modificazioni conseguenti a requisizioni oltre che alle occupazioni d’urgenza.   A seguito della trasformazione quindi, si può ritenere che la P.A. possa in futuro  acquistare le aree modificate, pur risarcendo il proprietario, mentre in precedenza avrebbe dovuto comunque restituire le aree, oltre a risarcire i danni.

[1] Le considerazioni si riferiscono al testo approvato con il d.p.r. del 6.06.01 n. 327, anche se questo testo non può ritenersi definitivo fino a quando il T.U. non entrerà in vigore.

[2] A partire da Cons. di Stato sez. IV 23.04.1958, n. 356; Cons di St. sez. IV 14.07.1967 n. 331 per la competenza esclusiva del Prefetto. Per la competenza del sindaco  Cons. di St. sez. IV n. 605/85;

[3] Cons. di St., sez. IV, 3-3-1987, n. 131, in Cons di St., 1987, I, 281.

[4] Ministero dell’Interno, Direz. Gen. Amm. Civile Enti Locali, Analisi dell’atto di Requisizione 1983, p. 26

[5] A queste conclusioni è giunta la Corte di Cassazione che in tal senso si è pronunciata con la sentenza del 30-7-1996 n. 6880 ha affermato che l’occupazione d’urgenza quale prevista dall’art. 3 del d. l 776/80 convertito in l. 874/80, per l’installazione di abitazioni mobili e elementi componibili, è disposta nell’esercizio del potere di requisizioni ex art. 7 legge abolitrice contenzioso amministrativo