Il contenzioso penale nell’attività edilizia su aree vincolate

dell’Avv. Gerardo Russillo

 

  1. Introduzione
La materia edilizia ed urbanistica presenta una molteplicità di tecnicismi giuridici che non richiedono solo esperienza nel settore, ma anche specifiche competenze normative. Con il mio intervento approfondirò la tutela penale riconosciuta dal nostro ordinamento in materia edilizia, ai vincoli paesaggistici-ambientali, cercando di chiarire le differenze tra gli abusi urbanistici di cui al Testo Unico n. 380/2001 e quelli ambientali ex d. lgs. n. 42/2004[1]. Mentre la prima normativa è finalizzata a regolamentare l’attività edilizia, individuando tre diverse fattispecie di reato (art. 44 lett. a), b), e c) del T.U. 380/2001), la secondo mira alla tutela dell’ambiente e del paesaggio, pur mantenendo elementi di continuità ed interferenza con l’attività edilizia.

Le prime due leggi emanate a tutela dei beni d’interesse storico, artistico, archeologico e paesaggistico risalgono al 1939[2]. Entrambe poi sono state in parte recepite nel T.U n. 490/1999 e in parte sostituite dalla c.d. legge Galasso, ovvero il d.l. n. 312/1985 poi convertito nella legge n. 431/1985. Tale bipartizione normativa fu poi ricomposta con il Testo Unico in materia di beni culturali e ambientali successivamente abrogato da quella che oggi rappresenta la principale legge regolatrice della materia, ovvero il d.lgs. n. 42/2004, conosciuto come “Codice dei beni culturali e del paesaggio”. La normativa del Codice ha la finalità di tutelare il patrimonio culturale ricomponendo sotto questa dicitura, almeno sul piano terminologico, la distinzione che in passato intercorreva tra beni culturali e paesaggistici[3].

Nonostante lo sforzo di equiparazione, la diversa natura dei beni, oggetto di disciplina, ha imposto al legislatore una distinta trattazione che in questa sede riporterò analizzando prima la disciplina dei beni culturali per poi approfondire la tutela dei beni paesaggistici.

  1. La tutela dei beni culturali

Al fine di una compiuta analisi dei vincoli artistici e paesaggistici, la prima tipologia di beni che appare opportuno esaminare, nonostante vi sia una scarsa rilevanza in rapporto all’attività edilizia, è quella dei beni culturali.

Gli artt. 10 e 11 del d. lgs. n. 42/2004 distinguono tre diverse tipologie di beni culturali:

  • nel primo gruppo rientrano i beni mobili ed immobili di proprietà dello Stato, delle Regioni e degli altri enti pubblici territoriali che “presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico”. Per tale categoria il procedimento d’inclusione tra i beni culturali implica la verifica preventiva, di cui all’art. 12, effettuata dagli organi competenti;
  • nel secondo gruppo rientrano beni culturali per destinazione, ovvero raccolte di musei, pinacoteche, gallerie d’arte, archivi, raccolte librarie, singoli documenti appartenenti allo Stato, alle Regioni o ad altri enti ed istituti pubblici. Tali beni restano soggetti a tutela nonostante vi sia una modifica della natura giuridica dell’ente a cui appartengono;
  • nel terzo gruppo rientrano: a) i beni d’interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico di cui al primo gruppo appartenenti però a soggetti diversi; b) gli archivi, le collezioni o singoli documenti appartenenti a privati; c) raccolte librarie private, di eccezionale interesse culturale, nonché collezione e serie di oggetti a chiunque appartenenti, non ricomprese fra quelle indicate nel secondo gruppo. Per questi beni il riconoscimento di beni culturali richiede una un’apposita dichiarazione che, ai sensi degli artt. 13 e 14 del Codice, è adottata dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali al fine di accertarne l’interesse pubblico alla sua tutela.

Il vincolo culturale che caratterizza i beni sopra indicati, o meglio la loro tutela, impone  a chiunque sia interessato a compiere una qualsiasi attività, nonché di disporre del bene, l’obbligo di una preventiva autorizzazione finalizzata a rendere legittima l’opera sul bene stesso. L’art. 21 del d.lgs. n. 42/2004 individua in modo analitico le molteplici attività d’intervento sui beni culturali che necessitano dell’autorizzazione del Ministero[4], mentre gli artt. 22 e ss regolano le fasi procedimentali per il rilascio dell’autorizzazione, da parte del soprintendente, per gli interventi di natura edilizia[5]. A norma dell’art. 22 l’autorizzazione deve essere rilasciata entro il termine di centoventi giorni dalla ricezione della richiesta, da parte della soprintendenza[6]. Nel caso in cui gli interventi necessitino anche del titolo abilitativo in materia edilizia l’interessato dovrà depositare anche la denuncia d’inizio attività presso il comune competente. In tale sede la denuncia dovrà essere corredata dall’autorizzazione precedentemente conseguita e dal relativo progetto. L’unica eccezione al preventivo rilascio dell’autorizzazione, prevista dall’art. 27, concerne le ipotesi di assoluta urgenza, ovvero l’esecuzione d’interventi provvisori indispensabili per evitare danni al bene tutelato, purché ne sia data immediata comunicazione. L’art. 28 riconosce al soprintendente poteri di vigilanza, o meglio, il compito di sospendere eventuali interventi iniziati in assenza di un’autorizzazione o realizzati in difformità della stessa[7].

Oltre a disciplinare in modo analitico le modalità e le procedure d’intervento degli organi competenti, il d. lgs. n. 42/2004 dispone una serie di sanzioni amministrative[8] e penali[9] a fronte della violazione dei precetti normativi volti a garantire la tutela dei beni. La sanzione amministrativa che merita menzione in questa sede è certamente l’ordine di reintegrazione previsto dall’art. 160 del d.lgs. n. 42/2004.  La norma dispone che se per effetto della violazione degli obblighi di protezione e conservazione stabiliti dalla legge, il bene culturale subisce un danno, il Ministero ordina al responsabile l’esecuzione, a sue spese, delle opere necessarie per la sua reintegrazione[10]. Nell’ipotesi di inottemperanza il Ministero è legittimato a provvedere d’ufficio all’esecuzione dell’opera a spese dell’obbligato.

Sul piano penalistico la disciplina di riferimento è contenuta negli artt. 169 e ss del D. Lgs. n. 42/2004 il quale prevede che “è punito con l’arresto da sei mesi ad un anno e con l’ammenda da euro 775 a euro 38.734,50:

  1. a) chiunque, senza autorizzazione, demolisce, rimuove, modifica e restaura ovvero esegue opere di qualunque genere sui beni culturali indicati dall’art. 10;
  2. b) chiunque, senza l’autorizzazione del soprintendente, procede al distacco di affreschi, stemmi, graffiti, iscrizioni, tabernacoli ed altri ornamenti di edifici, esposti o non alla pubblica vista, anche se non vi sia stata la dichiarazione prevista dall’art. 13;
  3. c) chiunque esegue, nei casi di assoluta urgenza, lavori provvisori indispensabili per evitare danni notevoli ai beni indicati dall’art. 10, senza darne immediata comunicazione alla soprintendenza ovvero senza inviare, nel più breve tempo, i progetti dei lavori definitivi per l’autorizzazione.

 La stessa pena si applica in caso d’inosservanza dell’ordine di sospensione dei lavori impartito dal soprintendente ai sensi dell’art. 28”.

Di fatto tale  norma sanziona qualsiasi attività idonea ad incidere sull’integrità fisica del bene culturale; si tratta infatti di un reato di pericolo poiché ciò che viene ad essere sanzionata non è la lesione al bene, bensì il solo fatto di aver agito in assenza o in difformità dell’autorizzazione preventiva. Vi è quindi un’anticipazione della soglia di tutela dal momento che il reato si perfeziona senza la presenza necessaria di un evento dannoso. Pur trattandosi di un reato di pericolo la Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi in materia di beni culturali, ha precisato la necessità di rilevare, nella condotta del soggetto agente, un minimo di idoneità offensiva che ne giustifichi la rilevanza penale[11]. Quello previsto dall’art. 169 del Codice è un reato a valenza permanente, poiché la sua consumazione si protrae fino al compimento dell’attività abusiva, ovvero fin quando non interviene un evento che impedisce la prosecuzione dei lavori[12]. Il soggetto agente può essere chiunque, non solo il proprietario, ma ogni altro soggetto che entra in rapporto con il bene oggetto di tutela.

Lo stesso art. 169, nella seconda parte, sanziona la mancata ottemperanza dell’ordine di sospensione dei lavori disposto dal soprintendente. Quale reato di pericolo astratto tale fattispecie può ben concorrere con la contravvenzione di cui all’art. 733 c.p. concernente il reato di “Danneggiamento al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale”. Le due fattispecie, infatti, hanno una differente oggettività giuridica e mentre il primo è un reato di pura condotta, il secondo integra l’ipotesi di un reato di evento[13]. Le stesse considerazioni valgono per il delitto di danneggiamento di cui all’art. 635 del c.p.

Altre ipotesi sanzionate penalmente dal Codice dei beni culturali e paesaggistici sono indicate dall’art. 171 che punisce con l’arresto da sei mesi ad un anno e con l’ammenda da 775 euro a 38.734,50 euro: – chiunque omette di fissare al luogo di destinazione, i beni culturali appartenenti ai soggetti indicati nell’art. 10 comma 1; – il detentore che omette di dare notizia alla soprintendenza dello spostamento dei beni culturali, ovvero non rispetta le prescrizioni da essa imposte per evitare che i beni medesimi subiscano danni nei trasferimenti.

Data la molteplicità dei beni culturali è possibile affermare che non tutte le condotte penalmente rilevanti indicate dal d. lgs. n. 42/2004 hanno anche un valenza sul piano edilizio. In senso lato potrebbe parlarsi di abuso edilizio rispetto alla fattispecie di cui all’art. 170 del Codice , ovvero l’ipotesi di uso illecito del bene culturale. Tale norma, infatti, prevede la pena dell’arresto da sei mesi ad un anno e l’ammenda da euro 775 a euro 38.734,50 per chiunque destina i beni culturali indicati nell’art. 10 ad un uso incompatibile con il loro carattere storico-artistico, o pregiudizievole per la loro conservazione o integrità[14].

Nell’esame delle disposizioni a garanzia dei bei culturali è opportuno rilevare il potere riconosciuto al Ministero d’impartire una serie di prescrizioni volte ad evitare la messa in pericolo dei beni culturali immobiliari, nonché l’alterazione delle loro condizioni di ambiente e decoro, di prospettiva e di luce. L’art. 45 del d. lgs n. 42/2004, di fatto, prescrive una forma di tutela indiretta poiché il provvedimento di prescrizione incide su beni diversi da quelli tutelati, ma con la finalità di garantirne la conservazione. Il procedimento si attiva su istanza del soprintendente che comunica la presenza di pericoli all’integrità del bene; la comunicazione comporta, in via cautelare, l’immodificabilità dell’immobile, limitatamente agli aspetti a cui si riferiscono le prescrizioni contenute nella comunicazione stessa. La violazione sia delle prescrizioni definitive che di quelle provvisorie, adottate in sede cautelare, assume rilevanza penale. Mentre la prima è sanzionata ex art. 172 del Codice dei beni culturali con la pena dell’arresto da sei mesi ad un anno e l’ammenda da euro 775 a euro 38.734,50, l’inosservanza delle misure cautelari è punita con le pene previste dall’art. 650 del c.p[15].

Infine, il Codice dei beni culturali e del paesaggio prevede, oltre a quelle già descritte, un’ ulteriore serie di condotte illecite non direttamente riconducibili all’attività edilizia. Una prima categoria è riconducibile ai vincoli di inalienabilità previsti dall’art. 53 e sanzionati ex art. 173  del Codice. Una seconda categoria discende dal principio di conservazione del patrimonio culturale che implica una limitazione alla possibilità di uscita dei bei dal territorio nazionale punita ex art. 174 del Codice. Una disciplina specifica è prevista in materia di ricerche archeologiche finalizzata ad evitare l’illecita appropriazione dei beni ritrovati, punita ex art. 175 del Codice. Mentre l’art. 176 sanziona l’illecito impossessamento dei beni culturali di cui all’art. 10, appartenenti allo Stato, l’art. 178  punisce l’attività di contraffazione – falsificazione delle opere la cui genuinità non viene occultata. Quale norma di chiusura l’art. 180 del Codice[16], applicando le pene di cui all’art. 650 c.p., sanziona la violazione degli ordini impartiti dall’autorità preposta alla tutela dei beni culturali.

  

  1. La tutela dei beni paesaggistici

Se la disciplina concernente la tutela dei beni culturali, contenuta nel d. lgs n. 42/2004, solo in via residuale coinvolge l’attività edilizia, ben più ampia è la connessione che lega la normativa edile-urbanistica e quella che attiene i vincoli paesaggistici-ambientali[17].

Quest’ultima è finalizzata alla tutela del territorio che, per le sue caratteristiche, risulta essere  meritevole di protezione da eventuali abusi e illecite fruizioni. È proprio codesta finalità che funge da raccordo con tutte le altre normative volte a garantire l’ambiente, tra le quale vi è certamente la disciplina in materia edilizia. Se ad esempio un soggetto costruisce in assenza di permesso, in una zona vincolata, egli sarà tenuto a rispondere non solo ai sensi del T.U. 380/2001, ma anche ex d.lgs. n. 42/2004.

Prima di procedere all’esame della disciplina relativa agli abusi paesaggistici, appare opportuno precisare quali sono i beni oggetto di tutela. Se la normativa del ’39 distingueva le “bellezze individue” dalle “bellezze di insieme”, il Codice del 2004, individua tre diverse categorie di beni paesaggistici:

  1. beni di cui all’art. 136 del Codice, tutelati solo in seguito della loro inclusione in un apposito elenco predisposto dalle regioni per il quale è richiesta una specifica procedura amministrativa[18]. Questa è disciplinata in modo dettagliato dal Codice che agli artt. 137 e 138 specifica il procedimento per l’imposizione dei vincoli il quale si conclude con la dichiarazione di notevole interesse pubblico, da parte della regione stessa;
  2. beni indicati dall’art. 142 del Codice[19] e garantiti per legge in virtù di specifiche caratteristiche previste dal legislatore in modo oggettivo. Si tratta di aree tutelate ex lege, o meglio di zone soggette a vincolo a partire dalla legge Galasso;
  3. beni tutelati dai piani paesaggistici[20] di cui agli artt. 143 – 156 del Codice. A norma dell’art 143 comma 4 del Codice, il piano può prevedere sia l’individuazione di aree soggette a tutela ex art. 142, nelle quali la realizzazione degl’interventi richiede il previo accertamento di conformità alle previsioni del piano paesaggistico e urbanistico comunale, sia l’individuazione di aree ampiamente pregiudicate, nelle quali la realizzazione degl’interventi di recupero non richiede il rilascio dell’autorizzazione preventiva di cui all’art. 146 del Codice.

La scelta del legislatore di individuare tre categorie di beni paesaggistici mira a delimitare l’oggetto della tutela che, in quanto tale, è sottoposto ad un regime vincolato la cui funzione non è quella di precludere qualsiasi intervento sul bene, bensì di regolarne le forme di utilizzo preservando il suo “notevole interesse pubblico”. Di fatto, la presenza del vincolo impone che ogni attività sul bene sia preceduta da un provvedimento autorizzativo (o nulla-osta), fatta eccezione per le ipotesi di urgenza che devono essere ratificate a posteriori, nonché le ipotesi di cui all’art. 143 comma 4 concernenti le aree gravemente compromesse di cui si dirà in seguito.

Il procedimento per il rilascio dell’autorizzazione, disciplinato dall’art. 146 del Codice, mira a garantire coerenza e congruità tra il progetto prospettato dal soggetto richiedente ed il regime pubblicistico di tutela del bene, mediante un controllo preventivo. I proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili o aree d’interesse paesaggistico non possono quindi compiere alcuna attività idonea a pregiudicare il valore se non preventivamente autorizzati.

Questi, infatti, hanno l’obbligo di presentare presso la Regione il prospetto degli interventi e attendere la pronuncia dell’amministrazione che, entro 20 giorni dalla ricezione del parere positivo del soprintendente, rilascia l’autorizzazione paesaggistica [21]. Relativamente a tale atto  l’art. 146 comma 4 del Codice precisa che esso ha valenza di atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento edilizio. L’autorizzazione paesaggistica infatti ha natura diversa dai titoli richiesti dal T.U. n. 380/2001 e in quanto tale non può sostituirsi ad essi né legittimare interventi urbanistici compiuti in violazione della normativa di settore. Non solo, nelle ipotesi espressamente previste l’autorizzazione è atto presupposto, o meglio è condizione necessaria per rendere efficace i titoli edilizi eventualmente rilasciati. Inoltre, fuori dai casi di cui all’art. 167 commi 4 e 5, l’autorizzazione non può essere rilasciata in sanatoria, ovvero in seguito alla realizzazione, anche parziale, degli interventi.

Il nulla-osta paesaggistico ha una validità quinquennale, pertanto una volta scaduto il termine, il progetto non ancora eseguito, deve essere sottoposto a nuova autorizzazione.

In materia si segnala anche il d.P.R. n. 139/2010[22] che, modificando l’art. 149 comma 9 del d.lgs. n. 42/2004, ha semplificato le procedure per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica per interventi ritenuti di “lieve entità” da realizzarsi su aree od immobili sottoposti alle norme di tutela del Codice. Con la nuova procedura semplificata il procedimento di autorizzazione deve concludersi entro 60 giorni dal ricevimento della domanda presentata per via telematica al comune o al diverso ente competente per il rilascio dell’autorizzazione stessa. Il regolamento, infatti,  ha disposto sia una semplificazione documentale, poiché l’istanza deve essere corredata da una relazione paesaggistica meno dettagliata, sia una semplificazione procedurale, basata su tre diverse tipologie di verifiche (1. l’assoggettabilità alla procedura semplificata; 2. la conformità dell’interevento alla disciplina urbanistica ed edilizia; 3. la conformità paesaggistica dell’intervento)[23] .

3.1 Le violazioni amministrative e il reato di violazione di vincoli paesaggistici.

L’art. 167 del Codice[24] dispone che la violazione degli obblighi e degli ordini previsti dal Titolo I della parte terza è sanzionata in via amministrativa con l’obbligo per il trasgressore di rimessione in pristino a proprie spese, salvo l’accertamento di compatibilità paesaggistica in sanatoria di cui al comma 4. Così come è previsto nel T.U. n. 380/2001 anche in questo caso la sanzione amministrativa è del tutto indipendente rispetto all’applicazione di eventuali sanzioni penali[25] che si andranno a sommare a  quelle amministrative.

Particolarmente rilevante è il nuovo strumento di sanatoria amministrativa introdotto con il d. lgs. n. 157/2006, originariamente non previsto dal Codice, per mezzo del quale è stato possibile coordinare la legge n. 308/2004 nota come “condono ambientale” e la precedente disciplina a tutela del paesaggio che escludeva la possibilità di un’autorizzazione paesaggistica ex post ( cfr. precedente art. 146 del Codice) .

A seguito della riforma del 2006 il nuovo 4 comma dell’art. 167 del Codice dispone che l’autorità amministrativa competente accerta la compatibilità paesaggistica nei seguenti casi: a) per lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazioni di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; b) per l’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica; c) per lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell’art. 3 del d. P.R. 380/2001.

Al fine di ottenere tale accertamento il proprietario, il possessore o il detentore a qualsiasi titolo è tenuto a presentare un’apposita domanda all’autorità preposta alla gestione del vincolo che si pronuncerà entro il termine perentorio di 180 giorni. Nel caso di esito positivo, il trasgressore è tenuto al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione. Viceversa, nel caso di rigetto della domanda si applicherà la sanzione demolitoria.

Sembra opportuno precisare che, qualora venga constatata un’attività edilizia abusiva che contrasta, non solo con la disciplina paesaggistica ex D. Lgs. n. 42/2004, ma anche il T.U. n. 380/2001 in materia urbanistica, le sanzioni amministrative previste dal Codice si sommano a quelle previste in materia edilizia, e a queste potranno eventualmente aggiungersi quelle penali, se nel caso concreto ne sussistono i presupposti.

La normativa penale in materia di vincoli paesaggistici ha come norma di riferimento l’art. 181 del Codice, il quale al 1 comma vieta l’esecuzione di lavori di qualsiasi genere su beni paesaggistici in assenza di autorizzazione o in difformità da quella rilasciata[26].

Il reato previsto da tale norma è un tipico reato commissivo a forma libera, assumendo rilevanza penale qualsiasi attività modificativa, anche non edilizia[27]. Si tratta di un reato di pericolo astratto con carattere permanente[28], poiché ai fini della sua consumazione è sufficiente la sola realizzazione dei lavori idonei ad incidere negativamente sul paesaggio, non anche un danno concreto allo stesso. La natura permanente è data dal fatto che la sua consumazione si protrae fino al compimento dell’opera abusiva, ovvero fino al verificarsi di un evento impeditivo della prosecuzione dei lavori come la sentenza di condanna in primo grado, o il sequestro dell’opera. Pertanto una eventuale prosecuzione dell’attività implica una nuova violazione di legge.

Mediante questa previsione normativa, il legislatore ha imposto l’obbligo dell’autorizzazione preventiva, garantendo alla PA sia la possibilità di esercitare un vero e proprio potere di controllo su ogni intervento in grado di incidere sull’ambiente, sia la tutela del paesaggio stesso. Nel concreto la salvaguardia del bene viene anticipata mediante l’imposizione di adempimenti formali finalizzati a garantirne la tutela sostanziale.

La giurisprudenza che si è affermata negli ultimi anni  ha optato per un’interpretazione meno estensiva della fattispecie di reato. O meglio, a seguito delle rilettura costituzionalmente orientata dei reati di pericolo[29] si è ritenuto che la tutela penale non può costituire lo strumento mediante il quale garantire alla PA il potere di controllo del territorio, essendo invece necessaria la presenza di un pericolo a un bene giuridico costituzionalmente garantito, come l’ambiente nella sua più ampia accezione[30]. Quale reato di pericolo, tale fattispecie mantiene la sua caratteristica di tutela anticipata, pertanto l’offesa richiesta per la sua configurazione non coincide con la lesione del bene, bensì con una mera messa in pericolo, anche solo potenziale, del bene protetto[31]. In pratica deve essere esclusa la rilevanza penale solo con riguardo a quelle condotte non idonee a compromettere il valore del paesaggio, come nel caso di lavori edili compiuti all’interno dell’edificio, ovvero interventi esterni di minima entità[32].  Il compimento di lavori interni, infatti, neppure astrattamente mette in pericolo il bene ambientale e l’autorità amministrativa tutoria non ha alcun interesse a controllare preventivamente interventi ontologicamente estranei al paesaggio.

Con riguardo alle condotte penalmente rilevanti ciò che appare fondamentale per la consumazione del reato è la violazione dell’obbligo di ottenere l’autorizzazione preventiva dall’autorità competente. Tale obbligo sussiste in tutte le ipotesi in cui il soggetto agente compie un’alterazione dello stato fisico dei luoghi o degli immobili soggetti a tutela, anche quando i lavori non hanno valenza edilizia e purché siano astrattamente idonei a pregiudicare l’ambiente[33]. Sul piano fattuale appare evidente che tutte le opere edilizie e i lavori urbanistici, intesi come costruzioni, implicano un’alterazione rilevante del territorio, soggetta ad autorizzazione preventiva. Pertanto le violazioni dei vincoli ambientali che assumono anche i connotati di un abuso edilizio, integrano sia il reato di cui all’art. 44 T.U. 380/2001 sia quello previsto dall’art. 181 del Codice dei beni culturali e paesaggistici. Al contrario non può dirsi che un’opera non soggetta a permesso di costruire, è necessariamente soggetta al nulla-osta preventivo.

A parere della giurisprudenza l’illecito in oggetto sussiste anche se le modifiche allo stato dei luoghi a valenza temporanea, così come è stato ribadito dalla Suprema Corte la quale ha precisato che “il difetto della preventiva autorizzazione determina la commissione dei reati […] indipendentemente dalla temporaneità della modificazione apportata allo stato dei luoghi e dalla realizzazione in via definitiva delle opere stabilite, […] perché anche dalle modifiche temporanee dello stato dei luoghi deriva un pregiudizio ambientale[34].

L’art. 149 del Codice individua specificatamente le ipotesi di esonero dall’obbligo di chiedere il nulla-osta ambientale ricomprendendo i casi di:

  1. interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria, di consolidamento e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi, nonché l’estetica dell’edificio;
  2. opere attinenti attività agro-silvo-pastorale che non comportino alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edili e opere civili, trattandosi di opere che non alterino l’assetto idrogeologico del territorio;
  3. il taglio colturale, la forestazione, la riforestazione, le bonifiche, attività antincendio e di conservazione presso boschi e foreste di cui all’art. 142 comma 1 lett. g), purché rispettose della normativa in materia.

Relativamente alle ipotesi di cui alle lettere b) e c) la giurisprudenza ha più volte ribadito l’obbligo di autorizzazione preventiva qualora tali attività comportino un’alterazione permanente dello stato dei luoghi o dell’assetto idrogeologico del territorio, a prescindere dalla presenza o meno di opere edilizie; permanente è infatti un’alterazione a carattere duraturo che impedisce il celere ripristino del patrimonio ambientale[35]. Nel 2004, chiamata a pronunciarsi in tema di rati ambientale, la Suprema Corte ha infatti rilevato la sussistenza del reato di cui all’art. 181 del Codice nella realizzazione, in zona paesaggistica vincolata, di opere costituite dal collegamento tra due piste da sci preesistenti, mediante livellamento dei terreni e scorticamento del manto erboso[36].

Sul piano sanzionatorio tale fattispecie di reato rinvia alle pene previste dall’art. 44, lettera c) del TU 380/2001[37]. È questa una novità legislativa introdotta con il d.lgs. n. 63/2008[38] che ha posto fine alle difficoltà interpretative che caratterizzavano il precedente testo[39]. Con la sentenza di condanna il giudice, oltre a comminare la pena, dispone l’ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi a spese del condannato, ordine che assume valenza di sanzione amministrativa. Copia della sentenza viene poi trasmessa alla regione e al comune presso i quali è avvenuta l’attività illecita. L’attività necessaria per procedere al ripristino dei luoghi, in ottemperanza della sentenza, non necessita dell’autorizzazione preventiva, salvo le ipotesi in cui l’ambiente abbia subito una irreversibile modifica. In tale circostanza, infatti, il condannato dovrà ottenere un’autorizzazione ambientale in quanto occorrerà procedere ad una differente sistemazione dell’ambiente circostante.

Un’ulteriore modifica al testo originario della norma è stata introdotta con la legge n. 308/2004 sul condono ambientale. Questa ha inserito all’art. 181 del Codice il nuovo comma 1-bis il quale sanziona più severamente (con pena diversa e più inflittiva) ipotesi abusive di particolare gravità. Infatti, mentre l’art. 181, nell’originaria versione si limitava a punire qualsiasi modifica del territorio paesaggisticamente vincolato senza nulla-osta o in sua difformità, il nuovo comma 1-bis, ha previsto la pena della reclusione da 1 a 4 anni[40]: a) per il compimento di lavori abusivi concernenti immobili o aree dichiarate di notevole interesse pubblico in una fase antecedente alla realizzazione dei lavori stessi, ovvero b) attività che ricadono su immobili o aree tutelate ex art. 142 del Codice e che abbiano comportato un aumento dei manufatti superiore al 30% rispetto alla volumetria originaria o in alternativa, un ampliamento superiore a 750 metri cubi, oppure la realizzazione di una nuova costruzione con una volumetria superiore a 1000 metri cubi.

  1. Violazione paesaggistica e abuso edilizo-urbanistico, rapporti tra autorizzazione preventiva e permesso di costruire

Già da una prima lettura del primo comma dell’art. 181 del Codice che rinvia alle sanzioni di cui all’art. 44 lett. c) del TU n. 380/2001, emerge l’interconnessione che lega la disciplina edilizia con quella posta a tutela dei beni paesaggistici e ambientali. Tale norma, ovvero l’art. 44 lett. c), richiamata per fini sanzionatori, configura due diverse fattispecie di reato: le lottizzazioni abusive e la realizzazione di “interventi edilizi effettuati in zone sottoposte a vincolo storico, artistico, archeologico o paesaggistico – ambientale, in variazione essenziale, in totale difformità ovvero in assenza del permesso di costruire”.

Se la prima fattispecie non pone alcun problema in termini di connessione con la disciplina a tutela dell’ambiente, inserita nel Codice, per cui si avrà sia il reato di lottizzazione che quello di violazione ex art. 181 comma 1, più problematica è  l’ipotesi in cui un immobile abusivo venga realizzato in zona vincolata senza autorizzazione paesaggistica. In tale caso, infatti, la medesima condotta è sanzionata da due diverse fattispecie, apparentemente simili: quella che punisce l’intervento edilizio abusivo di cui all’art. 44 lett. c) del TU n. 380/2001 e quella che sanziona la violazione del vincolo paesaggistico ex art. 181 comma 1 Codice. Occorre quindi capire in che termini le due norme operano, ovvero, se la prima fattispecie assorbe la seconda, oppure se tra i due reati ( art. 44 lett. c) e art. 181 d.lgs n.42/2004) vi sia autonomia, nonostante le relazioni che intercorrono sul piano amministrativo tra il titolo abilitativo edilizio e l’autorizzazione paesaggistica.

Analizzando le due disposizioni, o meglio, i beni giuridici che queste mirano a tutelare, emerge che le due fattispecie configurano due reati distinti, ognuno con la propria oggettività giuridica, rispetto ai quali è configurabile un’ipotesi di concorso[41].

La violazione del vincolo paesaggistico-ambientale deve essere oggetto di un’autonoma valutazione, poiché la lesione dell’interesse protetto da tale disciplina, non è in alcun modo legata alla concessione edilizia. Può infatti verificarsi che un certo intervento sul territorio non sia tale da richiedere un titolo abilitativo edilizio (a norma del TU 380/2001), senza poter escludere a priori la configurazione di un reato ambientale[42].

L’interrelazione tra il permesso di costruire e l’autorizzazione paesaggistica ha pertanto natura residuale. O meglio, i due titoli amministrativi sono tra loro autonomi, e il nulla-osta paesaggistico assume valore in sede urbanistica solo con riferimento a quei casi in cui l’intervento edilizio incide in zone sottoposte a vincolo per cui, al fine di ottenere un’abilitazione edilizia efficace, il richiedente è tenuto a depositare la propria istanza accompagnata con la documentazione paesaggistica ottenuta in via preventiva dall’ente di competenza. È principio consolidato in giurisprudenza che due titoli siano autonomi e distinti[43], infatti hanno diversi oggetti di tutela, criteri procedimentali e di valutazione, così come diverse sono le finalità che perseguono[44].

L’autonomia strutturale dei due procedimenti non consente di considerare il nulla-osta paesaggistico come presupposto necessario per il rilascio della concessione edilizia, neppure per opere su aree vincolate[45] (Cons. Stato, sez VI, sent. n. 3242/2001). Secondo un orientamento giurisprudenziale, infatti, la mancanza del nulla-osta paesaggistico non preclude la concessione edilizia, ma ne determina l’inefficacia[46]. Pertanto nel caso in cui vi sia stata una trasformazione dei beni protetti, prima del rilascio dell’autorizzazione ambientale, si configurano sia il reato di cui all’art. 181 d.lgs. n.42/2004, sia quello di cui all’art. 44 lett. c), TU 380/2001.

Questa interpretazione giurisprudenziale è stata poi confermata dal legislatore che nel 2008, modificando il comma 4 dell’art. 146 del Codice[47], ha precisato che l’autorizzazione paesaggistica costituisce un atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento edilizio.

  

  1. Il condono ambientale

In materia di reati ambientali e di sanatoria paesaggistica, la disciplina di riferimento è contenuta nella legge n. 308/2004, nota con il nome di “condono ambientale”, sebbene il legislatore non abbia mai utilizzato questo termine, preferendo quello di “permesso in sanatoria”.

In via del tutto generale è possibile affermare che questa legge presenta sia disposizioni transitorie autonomamente applicabili, sia interventi sostanziali sull’art. 181 del d.lgs. n. 42/2004, individuando tre possibilità di sanatoria dei reati paesaggistici, a cui si aggiunge la disciplina del condono edilizio in zone sottoposte a vincolo.

Due di queste ipotesi in sanatoria, travasate all’interno dell’art. 181 del Codice, oggi costituiscono istituti definitivi a carattere generale e sono:

l’accertamento di compatibilità paesaggistica (art. 181 comma 1 ter e 1 quatere del d.lgs. n. 42/2004);

la rimessione in pristino (art. 181 comma 1 quinquies del d.lgs. n. 42/2004),

mentre la terza, modellata alla stregua del “condono edilizio” con termini tassativi e il pagamento di una sanzione, riguarda l’accertamento di compatibilità paesaggistica per i lavori compiuti entro e non oltre il 30 settembre 2004 (art. 1 comma 37 della legge 308/2004).

Nel dettaglio, il comma 37 dell’art. 1 della legge 308/2004, disponeva la possibilità di sanare gli abusi compiuti entro detta data, ovvero interventi edilizi eseguiti in assenza o in difformità dell’autorizzazione paesaggistica, purché le opere realizzate e i diversi materiali utilizzati, rientrino tra quelli previsti dagli strumenti di pianificazione paesaggistica, ove vigenti, o comunque giudicati compatibili con il contesto paesaggistico, ed inoltre che i trasgressori abbiano preventivamente pagato la sanzione pecuniaria di cui all’art. 167 del T.U. in materia di beni culturali di cui al D.Lgs. n. 42/2004 (il maggiore importo, determinato tramite perizia di stima, tra il danno arrecato ed il profitto conseguito dalla trasgressione) maggiorata da un terzo alla metà, oltre ad una sanzione pecuniaria aggiuntiva che va da un minimo di euro 3.000,00 ad un massimo di euro 50.000,00.

Pertanto per fruire di tale sanatoria era necessario presentare, entro il 31 gennaio 2005, un’apposita domanda all’autorità preposta alla gestione del vincolo (la Regione o, più spesso, il comune), finalizzata al conseguimento del parere di compatibilità paesaggistica. L’accertamento di compatibilità determinava l’estinzione del reato previsto dall’art. 181 comma 1, d.lgs. n. 42/2004 e di ogni altro reato in materia paesaggistica, ivi compreso l’art. 734 c.p[48]. . La norma non indicava alcun limite alle tipologie edilizie ammesse alla sanatoria, ricomprendendo apparentemente l’estinzione di qualunque intervento edilizio (anche gli interventi di nuova costruzione e di ristrutturazione) realizzato entro il 30.9.2004, di conseguenza anche le opere realizzate su beni vincolati sarebbero state astrattamente condonabili dal punto di vista paesaggistico e non condonabili su piano edilizio. In altre parole si verificherebbe l’estinzione del reato di cui all’art. 181 del d.lgs. n. 42/2004 e la sopravvivenza del reato di cui all’art. 44 lett. c) del TU 380/2001, il quale sopravviverebbe non tanto per l’abuso edilizio in sé, quanto più perché è avvenuto all’interno di un’area paesaggistica.

La Suprema Corte è stata più volte chiamata a rispondere in merito a tale questione ovvero sull’applicabilità o meno, al condono paesaggistico, dei limiti previsti per il condono edilizio che, nelle aree sottoposte a vincoli, è circoscritto ai soli interventi di minore rilevanza.

Sul punto  della giurisprudenza di legittimità non è univoca.

Un orientamento minoritario, infatti, ritiene che la mancata previsione di limiti abbia una propria logica, riconducibile alla natura eccezionale dell’intervento normativo. A riguardo si afferma che il legislatore, dopo avere introdotto per le zone vincolate, un regime di sanatoria limitato agli abusi minori, ha voluto consentire, in via eccezionale, una sanatoria ad amplissimo raggio[49].

Secondo la giurisprudenza maggioritaria[50], invece, la disciplina del condono paesaggistico presenta gli stessi limiti previsti, in materia edilizia, dall’art. 32 comma 2 lett. a) del d.l. n. 269/2003. In caso contrario, infatti, si arriverebbe ad una conseguenza paradossale, ovvero che, in merito agli interventi abusivi eseguiti in zona vincolata, si avrebbe l’estinzione dei reati paesaggistici e la sopravvivenza di quelli urbanistici con le relative sanzioni demolitorie.

Non vi sono invece contrasti all’interno della giurisprudenza nel ritenere che tale condono ambientale, introdotto dall’art. 1, commi 37, 38 e 39 l. n. 308 del 2004, estingue, per espressa disposizione della norma, esclusivamente il reato di cui all’art. 181 comma 1 d.lgs. n. 42 del 2004 e gli altri reati paesaggistici, non estendendosi pertanto al reato edilizio, data la carenza di norme di coordinamento. Ugualmente è pacifico che la presentazione dell’istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica per gli abusi commessi entro il 30 settembre 2004 (art. 1, comma trentasettesimo, L. 15 dicembre 2004, n. 308) non determina la sospensione del procedimento penale per mancanza di un’espressa previsione legislativa; non potendosi nemmeno estendere alla disciplina del condono paesaggistico l’effetto sospensivo previsto dalla disciplina del condono edilizio introdotta dal d.l. n. 269 del 2003, attesa l’assenza di un collegamento tra le due discipline.

Accanto a tale sanatoria prevista per gli abusi commessi sino al 30 settembre 2004, il legislatore italiano ha introdotto anche un regime agevolato per gli abusi di minore gravità, commessi successivamente. Ai sensi dell’art. 181, comma 1 ter del d.Lgs. 42/2004[51] – comma aggiunto dalla legge 308/2004 – oggi è possibile inoltrare una domanda di accertamento di compatibilità paesaggistica al fine di sanare i seguenti abusi minori:

  1. a) lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;
  2. b) per l’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica;
  3. c) lavori configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell’art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380.

È questa una novità normativa tenuto conto che, in passato, le autorizzazioni in sanatoria, ovvero ex post, non avevano alcun effetto sanante. Mediante questa previsione il legislatore a voluto escludere la responsabilità penale di coloro che, avendo compiuto abusi paesaggistici di lieve entità, di fatto, non hanno compromesso la tutela dell’ambiente, né i valori paesaggistici, il cui rispetto è stato valutato ex post dall’ente competente. Pertanto, se l’autorità amministrativa accerta la compatibilità paesaggistica, decade la rilevanza penale dell’intervento, residuando però l’applicabilità delle sanzioni amministrative e pecuniarie.

Dunque l’ipotesi di cui alla lett. a),  ricorrerà in caso d’interventi ex novo o su strutture esistenti, non conformi o in assenza di autorizzazione, purché non abbiano inciso in termini di superficie e/o cubatura[52]. La seconda ipotesi di sanatoria ex lett. b) riguarda interventi edificatori compiuti mediante l’utilizzo di materiali diversi da quelli autorizzati[53]. La lett. c), invece, fa riferimento a lavori edili riconducibili alle due figure di manutenzione ordinaria e straordinaria, ovvero opere che intervengono in modo poco incisivo su patrimoni edilizi già esistenti.

Ex art. 181 comma 1 quater, in tali ipotesi il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell’immobile o dell’area interessata dagli interventi di cui sopra, presenta apposita domanda all’autorità preposta alla gestione del vincolo, ai fini dell’accertamento della compatibilità paesaggistica degli interventi medesimi. L’autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di 180 giorni, previo parere vincolante della soprintendenza, da rendersi entro il termine perentorio di 90 giorni.

Chiamata a pronunciarsi su tale istituto la Suprema Corte ha precisato che l’accertamento di compatibilità paesaggistica, di cui all’art. 181 comma 1 ter e 1 quater, non ha natura di condono e in quanto tale non può essere applicato in fase esecutiva, ovvero dopo che sia intervenuta una sentenza di condanna[54].

Il vuoto normativo concernente l’istituto dell’accertamento di compatibilità paesaggistica, creatosi a seguito della legge 308/2004 è stato colmato con il d.lgs. 157/2006, così come anticipato in precedenza. La legge sul c.d. “condono ambientale”, infatti, introducendo la possibilità di un accertamento ex post,  non era intervenuta sull’art. 146 comma 10 lett. c) del Codice, che vietava esplicitamente l’ipotesi di un’autorizzazione postuma. Oggi, invece il comma 4 dell’art. 167 del Codice riconosce espressamente questo potere della P.A. competente, con riguardo ai medesimi casi in cui è ammessa l’accertamento di compatibilità in sanatoria di cui all’art. 181 comma 1 ter del d.lgs. n. 42/2004[55].

L’autorità competente si pronuncia sulla domanda previo il parere vincolante del soprintendente. Accertata la compatibilità, il trasgressore è tenuto al pagamento di una somma equivalente al maggior importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito. Di fatto si tratta di un’estensione, ai fini amministrativi, dei casi di accertamento postumo di cui all’art. 181 comma 1 ter del d.lgs. n. 42/2004. Ciò è confermato dal 5 comma dell’art. 167 il quale dispone che la domanda di accertamento della compatibilità paesaggistica presentata ex art. 181 comma 1  quater del d.lgs. n. 42/2004, si intende presentata anche ai sensi e per gli effetti di natura amministrativa.

La terza ipotesi di sanatoria del reato ambientale, prevista dall’art. 181 comma 1 quinquies del Codice, introdotto dalla legge n. 308/2004, consiste nella rimessione in pristino delle aree ed immobili soggetti a vincolo, prima che intervenga una sentenza di condanna penale ovvero prima che tale ordine sia disposto, d’ufficio, dall’autorità amministrativa competente. È questa un’importante novità legislativa che fa estinguere il reato paesaggistico posto in essere dal soggetto agente di cui al comma 1, ma non anche quello edilizio eventualmente compiuto, né quello paesaggistico aggravato di cui al comma 1 bis. . O meglio, l’art. 181 comma 1 quinquies del Codice individua un importante istituto premiale con il quale lo Stato rinuncia a perseguire il reato nei casi di immediato ravvedimento dell’autore. Mentre in passato l’eliminazione dell’opera abusiva assumeva rilevanza solo ai fine dell’applicazione dell’attenuante, oggi ne determina l’estinzione.

  1. Condono edilizio in zone sottoposte a vincolo

Per completare l’analisi della disciplina concernente la sanabilità dei reati ambientali è necessario procedere all’esame dell’ultimo condono edilizio (ex d.l. n. 269/2003 poi convertito in legge n. 326/2003)[56] relativamente agli abusi commessi in aree vincolate per motivi paesaggistico/ambientali.

Con riguardo alla normativa del condono edilizio, va detto che il comma 26 dell’articolo 32 del d.l. n. 269/2003 individua sei categorie di abusi edilizi sanabili, mentre il comma 27, rinviando agli artt. 32 e 33 della legge n. 47/1985, contiene l’elencazione delle opere non sanabili[57]. Tali esclusioni si giustificano non solo per la natura degli interventi, ma anche per la tipologia delle zone nelle quali insistono, aventi carattere vincolate.

Tenuto conto  della premessa di cui al comma 27fatto salvo quanto previsto dagli artt. 32 e 33 della legge n. 47/1985”, al fine di comprende l’incidenza della tutela paesaggistica sul condono edilizio, occorre partire dall’esame di queste due norme.

L’art. 33 della l. n. 47/1985, esclude la sanatoria per le opere in contrasto con i vincoli specificatamente decritti dallo stresso articolo[58], in presenza di due requisiti, ovvero che i vincoli paesaggistici del luogo in cui è stato compiuto l’intervento edilizio:

– diano origine ad una inedificabilità assoluta[59];

– siano stati imposti prima dell’esecuzione dell’opere stesse.

L’attuale testo normativo dell’art. 32, invece, dispone che il rilascio del titolo abilitativio edilizio in sanatoria, su immobili sottoposti a vincolo, è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso. L’omessa formulazione del parere, entro 180 giorni dalla data di ricevimento della richiesta costituisce silenzio-rifiuto, impugnabile dal richiedente[60].

Premesso quanto detto fino ad ora in termini di limiti all’applicabilità del terzo condono edilizio, va precisato che nelle ipotesi di abusi edilizi compiuti in aree vincolate, non per ragioni urbanistiche ma per motivi ambientali, le norme di riferimento sono il comma 26, lett. a) e 27 lett. b) dell’art. 32 del d.l. n. 269/2003[61].

La prima disposizione ammette la possibilità di ottenere la sanatoria solo per gli interventi edilizi di minore rilevanza, ovvero gli illeciti di cui ai commi n. 4, 5 e 6 dell’Allegato 1 alla legge 326/2003, previo parere favorevole da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo.

Il comma 27, lett. d)[62], invece, rinviando alle esclusioni di cui agli artt. 32 e 33 della legge n. 47/1985, preclude la sanabilità degli abusi realizzati su immobili soggetti a vincoli imposti da leggi statali e regionali a tutela d’interessi idrogeologici, dei beni ambientali e paesaggistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali. Tale insanabilità è però subordinata alla presenza di due condizioni:

  • che i vincoli siano stati istituiti prima della esecuzione di dette opere;
  • che le opere, eseguite in assenza o in difformità del titolo edilizio, non siano conformi alle norme urbanistiche vigenti.
  • Da ciò deriva che le opere realizzati in zone vincolate, prima dell’apposizione del vincolo e conformi alla disciplina urbanistica e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, sono, in quanto tali sanabili. È questa una figura di condono che presenta notevoli similitudini con quella di cui all’art. 36 del TU n. 380/2001[63], da cui differisce per il fatto di non richiedere la “doppia” conformità. In assenza di queste due condizioni, gli interventi maggiori ( di cui ai n. 1, 2, 3 dell’Allegato I) , tra cui le nuove costruzioni, non potranno essere sanate. È questa un’interpretazione restrittiva della norma in esame che trova conforto in diverse sentenze della Suprema Corte[64].
  1. Il reato di distruzione o deturpazione di bellezze naturali ex art. 734 c.p.

L’art. 734 del c.p.[65], per diversi anni, ha rappresentato l’unico strumento di tutela penale previsto dal nostro ordinamento a favore delle bellezze naturali.

A differenza del reato ambientale di cui all’art. 181 comma 1 del d.lgs. n. 42/2004, tale fattispecie è un reato di danno che si perfeziona qualora, attraverso la condotta del soggetto agente (“costruzioni, demolizioni, o in qualsiasi altro modo”), si verifica l’evento prescritto, ovvero la distruzione o la deturpazione delle bellezze naturali tutelate dalla legge. Quale reato di danno a forma libera, qualsiasi condotta è idonea a configurare la fattispecie, purché essa sia condizione casuale dell’evento prescritto. Affinché il danno si possa considerare configurato non è sufficiente una mera alterazione ambientale dei luoghi, ma è necessario un grave danno all’ambiente. Si tratta poi di un reato istantaneo ad effetti permanenti che si perfeziona nel momento in cui viene compiuta l’opera dannosa.

Un problema che è stato a lungo affrontato dalla giurisprudenza riguarda la rilevanza del nulla-osta o dell’atto amministrativo autorizzativo ai fini della configurabilità del reato. Sul punto la Suprema Corte ha prospettato diversi orientamenti. Mentre un primo indirizzo riteneva che il rilascio del provvedimento amministrativo non incidesse in sede penale e quindi il reato si configurava anche in presenza del nulla-osta, un secondo indirizzo riteneva che il rilascio dell’autorizzazione amministrativa escludeva la sussistenza del reato, salvo il potere del giudice penale di sindacare la legittimità del provvedimento e di disapplicarlo ove illegittimo.

A fronte di questi due opposti orientamenti le SS.UU. della Corte, con la sentenza n. 248 del 1992, si sono pronunciate affermando che , ai fini dell’applicazione dell’art 734 c.p., è il giudice penale che deve accertare la sussistenza della distruzione ambientale dei luoghi soggetti a protezione, indipendentemente da ogni valutazione compiuta in sede amministrativa. Questa, ove presente, non potrà essere ignorata, ma considerata  in sede motivazionale[66]. Nonostante l’intervento delle SS.UU la questione non sembra essere stata risolta in via definitiva, poiché in molteplici pronunce la giurisprudenza di legittimità si è discostata da tale ricostruzione ribadendo che il giudice penale non può sindacare la valutazione ambientale compiuta in sede amministrativa, ma può soltanto accertare la configurazione del reato in presenza di un provvedimento autorizzatorio illegittimo.

avv.Gerardo Russillo

[1] Tale normativa è stata oggetto di numerose modifiche che si sono susseguite negli anni ovvero la legge 308/2004 (il c.d. Condono ambientale), d. lgs. n. 156/2006, n. 157/2006, n. 62/2008, n. 63/2008.

[2] La prima ad entrare in vigore fu la Legge Bottai n. 1089/1939 che tutelava il patrimonio storico ed artistico, mentre  la seconda fu la Legge n. 1497/1939 tesa alla tutela dei beni paesaggistici.

[3] L’ambiente, infatti, nel Codice assume valenza di bene comune da garantire e preservare  poiché da esso dipende la stessa vita umana. Al riguardo va precisato che l’art. 2 prevede che il patrimonio culturale è costituito sia da beni culturali (ovvero cose immobili e mobili caratterizzate da interesse artistico, archeologico, bibliografico, nonché altri beni individuati dalla legge) che da beni paesaggistici (ovvero immobili e le aree di valore storico, culturale, naturale, morfologico ed estetico). La disciplina comune contenuta nei primi 9 articoli concerne due aree funzionali di tutela e di valorizzazione dei beni. Il Codice, infatti, entrando in vigore dopo la riforma del titolo V della Costituzione che ha modificato il riparto delle competenze tra Stato e regioni, ha conferito allo Stato il potere di legiferare, in via esclusiva, sulla tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei bei culturali, mentre alle regioni ha riconosciuto la potestà legislativa concorrente in tema di governo del territorio, infrastrutture di trasporto e valorizzazione dei beni culturali e ambientali.

[4] Ai sensi dell’art. 21 del d.lgs. n. 42/2004 richiedono la preventiva autorizzazione del Ministero: la rimozione o la demolizione dei beni culturali, lo spostamento anche temporaneo dei beni culturali mobili, il loro smembramento, lo scarto dei documenti dagli archivi pubblici o privati, nonché il trasferimento ad altri soggetti giuridici

[5] Mentre l’esecuzione di opere e lavori di qualunque genere, sui beni culturali, diversi da quelli di cui all’art. 21 è soggetta ad autorizzazione della soprintendenza del bene stesso, il mutamento di destinazione d’uso del bene culturale deve essere solo comunicato.

[6] Nell’ipotesi in cui la soprintendenza ritenga opportuno ricevere integrazioni documentali e chiarimenti, il termine rimane sospeso per un periodo non superiore a trenta giorni. Decorso inutilmente il termine, il richiedente è tenuto ad inviare una diffida all’amministrazione e qualora questa non provveda nei trenta giorni successivi, egli è legittimato ad agire in giudizio  avanti al TAR.

[7] La tutela dei beni culturali, prevista dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, non ha solo una valenza negativa, ma prevede anche una serie d’interventi volti ad assicurare la conservazione delle opere ed evitarne il deterioramento; in tema di tutela e conservazione il d.lgs. 42/2004 contempla la facoltà per il Ministero, per la regione e per tutti gli atri enti pubblici territoriali interessati, di un diritto di prelazione in caso di vendita dell’opera, imponendo un obbligo di denuncia degli atti di trasferimento in capo al proprietario.

[8] Cfr. artt. 160-166 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.

[9] Cfr. artt. 169-180 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.

[10] È questa una disposizione di ampia portata poiché per violazione degli obblighi di protezione s’intendono non solo gli interventi effettuati sul bene, ma anche l’eventuale omissione di manutenzione e restauro conservativo.

[11] Cfr. Cassazione Penale, sez. III, sent. 2733 del 26 novembre del 1999: “ […] è un reato di pericolo astratto o presunto, ma per la sua configurabilità in concreto occorre un minimo di idoneità offensiva della condotta posta in essere, ossia che tale condotta sia in concreto idonea a ledere il bene giuridico tutelato dalla norma […]”.

[12] Cfr. Cassazione Penale, sezione III, sent. n. 11275 del 17 gennaio 2002.

[13] Cfr. Cassazione Penale, sez. III, sent. n. 4052/1996: “ […] tra le due ipotesi perciò può esservi concorso formale dal momento che esse regolano due fattispecie diverse che solo parzialmente coincidono”.

[14] Il danno implicito nel reato in oggetto può assumere le vesti di una diminuzione del godimento estetico del bene dovuto alla presenza di opere non compatibili. Tale norma, ad esempio è stata utilizzata per sanzionare l’utilizzo delle terme di Caracalla come deposito permanente di attrezzature e strumenti, utilizzati come allestimento per opere teatrali autorizzate.

[15]Art. 650 c.p.- Inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità. Chiunque non osserva un provvedimento legalmente datodall’autorità per ragioni di giustizia o di sicurezza, o d’ordine pubblico o d’igiene, è punito, se il fatto non costituisce più grave reato, con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a euro 206.

[16] La norma di cui all’art. 180 del Codice ha valenza sussidiaria, trova applicazione solo se il fatto non configura un’altra condotta espressamente prevista e sanzionata.

[17] Come già anticipato, in origine, tale materia era disciplinata dalla legge 1497/1939. Negli anni ottanta tale normativa fu sostituita con il d.l. 312/1985 poi convertito nella c.d. legge Galasso che, all’art. 1-sexies, prevedeva  gli abusi penalmente rilevanti. Questo articolo, di fatto è stato trascritto nell’art. 181 del d.lgs. 42/2004 per poi essere parzialmente modificato con la legge n.308/2004, il c.d. condono ambientale.

[18] Relativamente alla prima categoria sono beni paesaggistici, ex art. 136, dato il loro interesse pubblico:a) beni immobili con spiccata bellezza naturale o geologica, ovvero memoria storica; b) giardini, ville, parchi, non tutelati dalla disciplina contenuta nella seconda parte del Codice; c)complessi di beni immobili aventi un ampio valore estetico, inclusi i centri storici; d) bellezze panoramiche, belvedere accessibili al pubblico.

[19] Ex art. 142 Codice, sono “comunque” d’interesse paesaggistico: a) le coste fino a 300 m. dalla battigia, anche per territori collinari o montuosi; b) i territori circostanti i laghi per una fascia di 300 m.; c) i fiumi, i torrenti, i corsi d’acqua iscritti negli elenchi previsti dal Testo Unico approvato con r.d. 1775/1933 con le relative sponde e argini per una fascia di 150 m.; d) gli altopiani per la parte superiore a 1.600 m. dal livello del mare, per la catena alpina e 1.200 m. dal livello del mare per gli appennini e le isole; e) i ghiacciai; f) parchi e riserve nazionali o regionali; g) territori boschivi e foreste, anche se danneggiati dal fuoco; h) zone riservate alle università agrarie o ad usi civici; i) le zone umide di cui al d.P.R. 448/1976; m) le zone d’interesse archeologico. Resta comunque ferma la disciplina derivante dagli atti e provvedimenti di cui all’art. 157.

[20] L’elaborazione del piano paesaggistico si articola in una molteplicità di fasi che vanno dalla ricognizione del territorio, all’analisi delle dinamiche di trasformazione, dall’individuazione degl’interventi di recupero alla scelta delle misure necessarie per il corretto inserimento. Le regioni, il Ministero e il Ministro dell’ambiente possono stipulare intese per la definizione dei piani paesaggistici, individuando il termine entro il quale il piano deve essere concluso.  Questo è poi oggetto di un apposito accordo tra le Pubbliche Amministrazioni, ex art. 15 della L. 241/1990, il quale stabilisce i presupposti, i tempi e le modalità per la revisione del piano. Il piano è approvato con delibera regionale entro il termine fissato nell’accordo; se tale termine decorre inutilmente, i beni paesaggistici di cui alle lettere b), c), d) è approvato in via sostitutiva con decreto del Ministro.

[21] Ricevuta l’istanza, la regione è tenuta ad acquisire il parere vincolante del soprintendente al quale viene inviata la documentazione e il progetto degl’interventi richiesti. Il parere del soprintendente, concernente la compatibilità paesaggistica dell’intervento nel suo complesso, viene reso entro il termine di 45 giorni dalla ricezione degli atti. L’autorizzazione paesaggistica diventa efficace dopo 30 giorni dal suo rilascio.

[22] D.P.R. del 9 luglio 2010, n. 139Regolamento recante procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per interventi di lieve entità, a norma dell’art. 146 comma 9 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni”.

[23] In primo luogo, quindi, l’amministrazione competente al rilascio dell’autorizzazione verifica se l’istanza sia assoggettabile al regime semplificato o a quello ordinario. Compiuta la prima verifica l’ente procede all’accertamento della conformità edilizia dell’intervento di lieve entità. Se la verifica ha esito negativo dichiarerà la domanda improcedibile, in caso inverso passerà alla valutazione della conformità paesaggistica. Anche in questo caso l’esito potrà essere duplice: se negativo, la PA rigetterà la domanda, se positivo trasmetterà la documentazione al soprintendente la cui ulteriore valutazione ha valore vincolante per l’amministrazione. Infatti, in caso di valutazione negativa sarà lo stesso sovrintendente a rigettare la domanda.

[24]Articolo 167 del d.lgs. 42/2004 – Ordine di remissione in pristino o di versamento di indennità pecuniaria-  1. In caso di violazione degli obblighi e degli ordini previsti dal Titolo I della Parte terza, il trasgressore e’ sempre tenuto alla rimessione in pristino a proprie spese, fatto salvo quanto previsto al comma 4.

  1. Con l’ordine di rimessione in pristino e’ assegnato al trasgressore un termine per provvedere. 3. In caso di inottemperanza, l’autorità amministrativa preposta alla tutela paesaggistica provvede d’ufficio per mezzo del prefetto e rende esecutoria la nota delle spese. Laddove l’autorità amministrativa preposta alla tutela paesaggistica non provveda d’ufficio, il direttore regionale competente, su richiesta della medesima autorità amministrativa ovvero, decorsi centottanta giorni dall’accertamento dell’illecito, previa diffida alla suddetta autorita’ competente a provvedervi nei successivi trenta giorni, procede alla demolizione avvalendosi delle modalità operative previste dall’articolo 41 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, a seguito di apposita convenzione che può essere stipulata d’intesa tra il Ministero per i beni e le attività culturali e il Ministero della difesa. 4. L’autorità amministrativa competente accerta la compatibilità paesaggistica, secondo le procedure di cui al comma 5, nei seguenti casi: a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; b) per l’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica; c) per i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380. 5. Il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell’immobile o dell’area interessati dagli interventi di cui al comma 4 presenta apposita domanda all’autorità preposta alla gestione del vincolo ai fini dell’accertamento della compatibilità paesaggistica degli interventi medesimi. L’autorita’ competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni. Qualora venga accertata la compatibilità paesaggistica, il trasgressore e’ tenuto al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione […].

[25] Con l’ordine di rimessione l’autorità amministrativa preposta alla tutela paesaggistica assegna un termine per provvedere. In caso d’inottemperanza questa provvede d’ufficio per mezzo del prefetto e rende esecutoria la nota spese.

[26] Art. 181 del d.lgs. n. 42/2004 – Chiunque, senza la prescritta autorizzazione o in difformità di essa, esegue lavori di qualsiasi genere su beni paesaggistici è punito con le pene previste dall’art. 44, lettera c), del d.P.R. 380/2001. La scelta terminologica “lavori” implica che, ai fini dell’applicazione di tale norma è necessario l’accertamento di un’attività concreta, o meglio l’irrilevanza penale della mera violazione dell’autorizzazione paesaggistica non seguita dal compimento di un’opera.

[27] Cassazione Penale, sez. III, sent. del 28 febbraio 2003, n. 19790: “[…] alla tutela del vincolo storico-artistico o paesaggistico-ambientale, vengono sottoposti alla preventiva autorizzazione non soltanto i lavori edilizi compiuti in zone vincolate, ma i lavori di qualsiasi genere su beni ambientali, secondo una dizione ampia che il giudice di merito deve adeguare al caso concreto”; in tal senso anche le sent. n. 45072/2008 e 23980/2004 della III sezione.

[28] Cassazione Penale, sez. III, sent. del 30 aprile 2003, n. 28338: “ […] ha natura permanente e si consuma con l’esaurimento totale dell’attività o con la cessazione della condotta per qualsiasi motivo”.

[29] Cfr. Corte Costituzionale, sent. n. 62 del 1986.

[30] Cassazione Penale, sez. III, del 7 febbraio 2003, n. 14461: “[…] la fattispecie incriminatrice … è rivolta a tutelare sia direttamente l’ambiente, sia l’interesse a che la pubblica amministrazione preposta al controllo venga posta in condizione di esercitare efficacemente e tempestivamente tale funzione; ne consegue che l’offensività del reato deve essere in primis correlata al rispetto del bene intermedio stante la situazione di astratta idoneità lesiva della condotta rispetto al bene finale (ambiente)”.

[31] Cassazione Penale, sez. III, dell’11 gennaio 2005, n. 5766: “in tema di tutela delle zone di particolare interesse ambientale, è necessaria l’autorizzazione per effettuare un interevento in zone protette, salvo che esso sia di irrilevante entità e tale da non incidere neppure in astratto sull’ambiente”. Cassazione Penale, sez III, sent. del 6 febbraio 2003, n. 14457: “in materia paesaggistica la rilevanza del principio di offensività va intesa non in termini di concreto apprezzamento del danno ambientale, bensì nell’attitudine della condotta a porre in pericolo il bene protetto, con valutazione ex ante”.

[32] Cassazione Penale, sezione III, del 23 giugno 2004, n. 36045: “il reato di esecuzione dei lavori senza autorizzazione in zone sottoposte a vincolo ambientale […]  pur essendo reato di pericolo, richiede che le opere eseguite abbiano una minima attitudine offensiva e non può quindi essere ravvisato in quelle ipotesi marginali che non modificano l’assetto dei luoghi sottoposti a tutela, anche se poste in essere in violazione della normativa urbanistica”. In tale senso anche le sent. n. 38051/2004 e 16713/2004 della III Sezione Penale.

[33] La giurisprudenza ha ritenuto necessaria l’autorizzazione: – per la costruzione di una rampa esterna ( Cass. Pen. Sent. n. 7941/1998); – per l’asfaltatura di un piazzale (Cass. Pen. Sent. n. 10924/1995); – per la realizzazione di una serra (Consiglio di Stato sez. IV, sent. n. 511/1983) e un campo da tennis (Cass. Pen. Sent. n. 9222/2000); – varianti di opere munite di nulla-osta (Cass. Pen. Sent. n. 35527/2001).

[34] Cassazione Penale, Sez. III, sent. del 15 ottobre 1999, n. 13716.

[35] In tale senso è si è espressa la Suprema Corte rilevando l’obbligo di autorizzazione, per alterazione permanente dello stato di luoghi, in molteplici ipotesi: – taglio colturale di tutte le piante e non di una sola parte di esse (Cass. Penale sent. n. 10964/1992); totale disboscamento e livellamento del territorio, ovvero trasformazione dell’area boschiva in porto (Cass. Pen. Sent. n. 2704/1992); – consistente abbattimento di alberi idoneo a compromettere i valori del paesaggio (Cass. Pen. Sent. n. 2398/2002);

[36] Cassazione Penale, sez. III, sent. del 24 febbraio 2004, n. 21022.

[37] Fattispecie punita con l’arresto fino a 2 anni e l’ammenda da 5.164 euro a 51.645 euro.

[38] L’art. 3 comma 1 del d.lgs 63/2008, modificando l’art. 181 comma 1 ha sostituito le parole “dall’art. 20 della legge n. 47/1985” con le seguenti “all’articolo 44, lettera c), del dPR 380/2001”.

[39] L’originaria scelta sanzionatoria del primo comma dell’art. 181 poneva molteplici difficoltà interpretative poiché l’art. 20 della legge n. 47/1985, a cui rinviava, di fatto prevedeva tre differenti fattispecie con tre diverse previsioni sanzonatorie. Questo aveva favorito molteplici dibattiti in dottrina e giurisprudenza che, sul punto, non avevano posizioni uniformi.

[40] Prevedendo la sanzione della reclusione e non quella dell’arresto, il comma 1-bis dell’art. 181 del Codice configura un’ipotesi di delitto e non di mera contravvenzione.

[41] Il fatto che i due reati, sebbene fanno riferimento a due precetti normativi diversi, sono sanzionate dalla stessa norma penale (art. 44 lett. c) TU 380/2001) nulla pregiudica in termini di autonomia giuridica. Cfr Cass. Pen. sent. n.1131/1987. 

[42] Cassazione Penale, sent. del 23 giugno 2004, n, 36094: “non integra il reato edilizio […] la realizzazione  di un impianto sportivo ( nella specie un campo da basket) senza creazione di volumetria accessoria, in quanto tale tipo di costruzione è soggetto al semplice obbligo di denuncia di inizio attività e non al regime di rilascio di concessione edilizia, fermo restando la realizzazione dell’illecito 163, d.lgs. 490/1999, qualora l’intervento sia stato effettuato, senza la prescritta autorizzazione, in area sottoposta a vincolo paesaggistico”.

[43] Cassazione Penale, sent. del 22 aprile del 2004, n. 23230: “l’autorizzazione paesaggistica è […] è finalizzata alla salvaguardia del paesaggio – bene costituzionalmente protetto – ed è pertanto un provvedimento distinto e autonomo rispetto alla concessione edilizia, la quale invece è volta ad assicurare la corrette gestione del territorio, sotto il profilo dell’uso e della trasformazione programmata di esso in una visione unitaria e complessiva”.

[44] Data la molteplicità degl’interventi in materia è possibile affermare che, negl’anni, la giurisprudenza ha precisato il concetto di reciproca autonomia tra autorizzazione paesaggistica e concessione edilizia affermando che: in sede di esame dell’istanza di autorizzazione ambientale non possono essere compiute valutazioni di natura urbanistica e viceversa (Cons. Stato sez VI, sent. 249/1981); l’interesse paesaggistico ha natura diversa rispetto a quello urbanistico, pertanto può accadere che singoli progetti, compatibili in sede urbanistica siano, in concreto, in contrasto con i valori ambientali (Cons. Stato sez VI, sent. 1001/1997) ; la concessione edilizia non può essere negata in virtù della tutela paesaggistica, qualora essa non sia espressamente inserita nelle prescrizioni dei piani urbanistici(Cons. Stato sez VI, sent. 968/1996).

[45] Consiglio di Stato, sez VI, sent. n. 3242/2001.

[46] Cass. Pen., sent. del 4 maggio 1998, n.6671, nonché Cass. Pen., sent. 11716/2001: “l’edificazione in zone alle quali sia stato imposto il vincolo paesaggistico è subordinata all’autorizzazione da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo e tale provvedimento si configura condizione di efficacia della condizione edilizia, con la conseguenza che, sino a quando non sia intervenuta è preclusa la materiale esecuzione dei lavori assentiti dal comune sotto il profilo edilizio urbanistico, e la concessione eventualmente rilasciata deve essere considerata inefficace ed improduttiva di effetti”.

[47] Tale articolo è stato modificato sia dal d. lgs. 157/2006 che dal d. lgs 63/2008.

[48] In realtà non tutte le amministrazioni hanno avuto, in occasione dei vari condoni, le capacità organizzative richieste per compiere gli opportuni accertamenti richiesti, pertanto si era posto il problema della configurabilità o meno di un silenzio-assenso per il decorso del termine. L’art. 35 della l. n. 47/1985 oltre a prevedere le modalità di presentazione della domanda in sanatoria, stabiliva che l’inutile decorso del termine perentorio di 24 mesi dalla presentazione della domanda, deve essere inteso nel senso di accoglimento dell’istanza, ove l’interessato ha provveduto al pagamento di tutte le somme dovute e alla documentazione necessaria.

[49] Pertanto, a pare di tale orientamento, qualsiasi intervento realizzato entro il 30 settembre del 2004 nelle zone vincolate è suscettibile di sanatoria alle condizioni previste dalla legge ossia: a) che le tipologie edilizie realizzate ed i materiali utilizzati anche se diversi da quelli indicati nell’autorizzazione, debbano rientrare tra quelli previsti ed assentiti dagli strumenti di pianificazione paesaggistica, ove vigenti, o, altrimenti, siano giudicati compatibili con il contesto paesaggistico; b) che i trasgressori abbiano previamente pagato la sanzione pecuniaria di cui al D.L. n. 42 del 2004, art. 167, maggiorata da un terzo alla metà. Sul punto cfr. Cass. Pen. Sent del 26 ottobre 2007, n. 45597.

[50] Cfr. Cass. Pen., sent. Del 5 aprile 2006, n. 15946.

[51] Art. 181 comma 1-ter d.lgs 42/2004 Ferma restando l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie di cui all’art. 167, qualora l’autorità amministrativa competente accerti la compatibilità paesaggistica secondo le procedure di cui al comma 1-quater, la disposizione il cui al comma 1 non si applica:

  1. a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;
  2. b) per l’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica;
  3. c) per i lavori configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell’art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380

[52] Queste difformità attengono all’aspetto esterno dell’immobile e non anche alle mere variazioni interne che, in quanto tali, non assumono alcuna rilevanza in sede paesaggistica. Potrebbero rientrarvi opere su terrazzi, porticati, logge e simili. Rispetto a tali situazioni, spesso ci si è posto il problema di comprendere il corretto significato dei termini tecnici contenuti nella norma, come il significato di “lavori” o “superfici utili”. Ebbene lo stesso Ministero per i beni culturali, con la circolare n. 33 del 26 giugno del 2009 è intervenuto specificando il significato di alcuni termini al fine di evitare che i comuni potessero utilizzare parametri diversi in sede urbanistica-ambienatale.

[53] Si pensi, ad esempio, alla disciplina di alcuni comuni di montagna che prevedono l’obbligo di realizzare i serramenti delle abitazioni in legno; di fatto potrebbe essere compatibile, con i valori ambientali, anche l’utilizzo di metallo colorato con le stesse tonalità del legno naturale.

[54] Cass. Pen., sez. III, sent del 10 ottobre 2008, n. 41333.

[55] Ovvero nei casi di: a) lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;b) per l’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica; c) lavori configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell’art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380.

[56] Il condono edilizio disposto dal legislatore italiano del 2003 ha avuto, quale obiettivo principale, la “regolarizzazione del settore” mediante lo strumento del permesso in sanatoria per le opere realizzate in difformità dalla disciplina vigente in materia edilizia.

[57] Art. 32 comma 27 del d.l. 269/2003: Fermo restando quanto previsto dagli articoli 32 e 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria, qualora: a) siano state eseguite dal proprietario o avente causa condannato con sentenza definitiva, per i delitti di cui all’articolo 416-bis, 648-bis e 648-ter del codice penale o da terzi per suo conto; b) non sia possibile effettuare interventi per l’adeguamento antisismico, rispetto alle categorie previste per i comuni secondo quanto indicato dalla ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri 20 marzo 2003, n. 3274, pubblicata nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 105 dell’8 maggio 2003; c) non sia data la disponibilità di concessione onerosa dell’area di proprietà dello Stato o degli enti pubblici territoriali, con le modalità e condizioni di cui all’articolo 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, ed al presente decreto; d) siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici; e) siano state realizzate su immobili dichiarati monumento nazionale con provvedimenti aventi forza di legge o dichiarati di interesse particolarmente rilevante ai sensi degli articoli 6 e 7 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490; f) fermo restando quanto previsto dalla legge 21 novembre 2000, n. 353, e indipendentemente dall’approvazione del piano regionale di cui al comma 1 dell’articolo 3 della citata legge n. 353 del 2000, il comune subordina il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria alla verifica che le opere non insistano su aree boscate o su pascolo i cui soprassuoli siano stati percorsi dal fuoco. Agli effetti dell’esclusione dalla sanatoria e’ sufficiente l’acquisizione di elementi di prova, desumibili anche dagli atti e dai registri del Ministero dell’interno, che le aree interessate dall’abuso edilizio siano state, nell’ultimo decennio, percorse da uno o più incendi boschivi; g) siano state realizzate nei porti e nelle aree, appartenenti al demanio marittimo, di preminente interesse nazionale in relazione agli interessi della sicurezza dello Stato ed alle esigenze della navigazione marittima, quali identificate ai sensi del secondo comma dell’articolo 59 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616.

[58] Art. 33 (legge 28 febbraio 1985, n. 47) Opere non suscettibili di sanatoria. Le opere di cui all’articolo 31 non sono suscettibili di  sanatoria quando siano in contrasto con i  seguenti  vincoli,  qualora,  questi comportino  inedificabilita’  e  siano  stati  imposti  prima   della esecuzione delle opere stesse: a) vincoli imposti da leggi statali  e  regionali  nonche’  dagli strumenti urbanistici  a  tutela  di  interessi  storici,  artistici, architettonici, archeologici, paesistici, ambientali, idrogeologici; b) vincoli imposti da norme statali e regionali  a  difesa  delle coste marine, lacuali e fluviali; c) vincoli imposti a tutela di interessi della difesa militare  e della sicurezza interna; d) ogni altro vincolo  che  comporti  la  inedificabilita’  delle aree […].

[59] Sono vincoli di inedificabilità assoluta quelli previsti da leggi speciali a tutela di valori di particolare rilevanza (ad esempio interesse elettrico, di cui al d.P.R. n. 753/1980, aereo di cui al Codice della navigazione). I vincoli d’inedificabilità relativa, invece, sono quelli che condizionano l’ottenimento del condono al conseguimento del nulla-osta da parte dell’autorità tutoria del bene (ad esempio:il bene storico/artistico e paesaggistico, tutelato ex d.lgs. 42/2004).

[60] Il secondo comma dell’art. 32 precisa che sono suscettibili di sanatoria le opere insistenti su aree divenute vincolate dopo la loro esecuzione e che risultino: a) seppur in difformità con la legge n. 64 del 1974 e il TU 380/2001, collaudabili ex art. 35 comma 4; b) seppur in contrasto con la normativa urbanistica, non contrarie alle previsioni delle varianti di recupero; c) seppur in contrasto con il d.m. n. 1404/19698 e la legge n. 190 del 1991, non rappresentano una minaccia alla sicurezza del traffico.

[61] Art. 32 comma 26 d.l. n. 269/2003: Sono suscettibili di sanatoria edilizia le tipologie di illecito di cui all’allegato 1:

  1. a) numeri da 1 a 3, nell’ambito dell’intero territorio nazionale, fermo restando quanto previsto alla lettera e) del comma 27 del presente articolo, nonché 4, 5 e 6 nell’ambito degli immobili soggetti a vincolo di cui all’art. 32 della l. 47/1985;
  2. b) numeri 4, 5 e 6, nelle aree non soggette ai vincoli di cui all’art. 32 della l. 47/1985, in attuazione di legge regionale, da emanarsi entro sessanta giorni dall’entrata in vigore del presente decreto, con la quale è determinata la possibilità, le condizioni e le modalità per l’ammissibilità a sanatoria di tali tipologie di abuso edilizio.

[62] Art. 32 comma 27 lett. d) d.l. n. 269/2003: “Fermo restando quanto previsto dagli articoli 32 e 33 della legge n. 47/1985, le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria, qualora: […]

  1. d) siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici […]”;

[63]Art. 36 del TU n. 380/2001 – Accertamento di conformità: “In caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di denuncia di inizio attività nelle ipotesi di cui all’articolo 22, comma 3, o in difformità da essa, fino alla scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1, e comunque fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda. Il rilascio del permesso in sanatoria é subordinato al pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di costruzione in misura doppia, ovvero, in caso di gratuità a norma di legge, in misura pari a quella prevista dall’articolo 16. Nell’ipotesi di intervento realizzato in parziale difformità, l’oblazione é calcolata con riferimento alla parte di opera difforme dal permesso. Sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata”.

[64] Cass. Pen., sent. del 21 dicembre 2004, n. 48956: “tra le opre abusive non suscettibili di sanatoria, ai sensi dell’art. 32 del d.l. 269/2003, rientra la nuova costruzione realizzata, in assenza del titolo edilizio in area soggetta a vincolo imposto a tutela degli interessi paesaggistici, ipotesi esclusa dal comma 26, lett. a)”. Cass. Pen. , sent. del 4 maggio 2004, n. 37865: “le opere abusive realizzate in aree sottoposte a vincolo a tutela degli interessi idrogeologici, ambientali e paesaggistici possono ottenere la sanatoria ai sensi dell’art. 32 del d.l. 269/2003 solo gli interventi edilizi di minore rilevanza”.

[65] Art. 734 c.p.Distruzione  o deturpazione di bellezze naturali. Chiunque, mediante costruzioni, demolizioni, o in qualsiasi altro modo, distrugge o altera le bellezze naturali dei luoghi soggetti alla speciale protezione dell`Autorità, è punito con l`ammenda da 1.032 euro a 6.197 euro.

[66] La Cassazione ha evidenziato come l’eventuale autorizzazione non esclude la sussistenza della violazione, ma può assumere rilievo in sede di valutazione dell’elemento psicologico o della gravità del reato. Cfr. Cass. Pen. sent del 23 luglio 2004, n. 32125.