COMMENTARIO AL CODICE DEI BENI CULTURALI E DEL PAESAGGIO

Commentario Beni CulturaliLa crescita economica ha accresciuto enormemente la disponibilità di beni e servizi, fornendo ad un immenso numero di individui la libertà dai bisogni primari e le opportunità di realizzazione personale in precedenza precluse a chi ci aveva preceduto.
Tuttavia, è noto, che la crescita dell’economia si è verificata anche mediante il ricorso massiccio (e senza precedenti nella storia del Pianeta) del “capitale naturale”, scaricando sugli ambienti, sulle collettività e sulle generazioni future una enormità di costi economici, sociali, sanitari, ambientali, psicologici: i figli naturali di quella medesima crescita.
Ricchezza, per moltissimi di noi, evoca  oro, denaro e gioielli e del resto essa è definita da molti dizionari come “tutte le proprietà che hanno un valore monetario o un valore di scambio”.
Mai nessuno (se non in sporadici ed illuminati casi[1]) ha aggiunto al termine ricchezza l’aggettivo “naturale”.
Il che indica quanto raramente, nel nostro ambito mentale, riusciamo ad associare al concetto di risorsa naturale quello di valore.
Va sottolineato, ad onor del vero, che la dizione “beni culturali e del paesaggio” fa in modo che tali risorse comincino ad essere considerate da un punto di vista di valore.
Il presente “Commentario al Codice dei beni culturali e del paesaggio” fornisce un importantissimo ausilio al nuovo modo di intendere questi beni, nella loro più ampia accezione di risorsa non da sfruttare ma da valorizzare, oltreché ovviamente, da tutelare.
Gli Autori, infatti, si occupano degli aspetti relativi al rinnovamento dei beni culturali, visti nell’ottica, appunto, della valorizzazione declinata attraverso le misure di protezione e di conservazione; la circolazione in ambito nazionale ed sovranazionale; le ricerche; i ritrovamenti; le scoperte; la fruizione dei beni culturali ed i principi della loro valorizzazione; l’apparato sanzionatorio.
Del pari, i beni del paesaggio sono illustrati (fedelmente allo spirito del “Codice”)  attraverso la chiave di lettura  non solo della tutela, ma anche della loro valorizzazione ed individuazione; della pianificazione paesaggistica; del controllo e della gestione; della disciplina sanzionatoria.
Il tutto, sempre, con un particolare riguardo  al procedimento per il rilascio dell’autorizzazione.
Amore di dettaglio viene profuso nell’analisi della sanatoria dei reati paesaggistici (legge n. 308/2004, che ha profondamente mutato il “Codice”) e dei due regimi di sanatoria previsti dalla disciplina; del procedimento per la richiesta di sanatoria; del parere di compatibilità paesaggistica; del parere della Soprintendenza; del sistema punitivo
La valutazione del “Codice” non si presta a facili, e frequenti, semplificazioni ma deve essere condotta rispettando la sua complessità e innovazioni contenute. Altrettanto sicuramente esso presenta aspetti, generali e specifici, che sollevano dubbi o vere e proprie critiche. Infine, occorre chiedersi quale è il sistema verso il quale si sta andando e quali le sono le azioni che ne possono sorreggere l’evoluzione in senso positivo. Le valutazioni conclusive devono essere articolate su ognuno di questi aspetti.
Il capillare e sapiente lavoro degli Autori del Commentario al “Codice” fa tutto questo, ponendo anche l’accento sulle innovazioni che si sono avute in materia di circolazione dei beni, passata dalla originaria generale inalienabilità ad un sistema articolato su tre livelli:
–         beni assolutamente non alienabili (articolo 54);
–         alienabilità controllata previa autorizzazione condizionata alla tutela, al godimento pubblico, alla destinazione d’uso compatibile (articolo 55);
–         semplice autorizzazione in tutti gli altri casi (articolo 56).
E’, dunque, a questi Autori che va un deciso “grazie” per aver  saputo trasmettere i nuovi orientamenti in tema di diritto dei beni culturali e di essersi resi mediatori di un importante passaggio culturale realizzato dal “Codice”: il passaggio dal concetto di  tutela (intesa come protezione e conservazione) a quello di valorizzazione e fruizione che, però, mai da quella tutela prescinde.
Né tacciono gli Autori dei nodi problematici del testo, in ordine (ad esempio) al “procedimento” dove, con il superamento del sistema degli elenchi (per i soggetti pubblici) e la conseguente dichiarazione di interesse culturale che comporta singole declaratorie per i singoli beni e, soprattutto, la fine della “presunzione di culturalità” di beni pubblici cui, in attesa della richiesta dichiarazione, si provvede ad estendere in via cautelativa la tutela. E’ per questo che la previsione del silenzio-assenso (previsto dall’articolo 12, ultimo comma) appare incongrua rispetto alla “ratio” dell’intero articolo 12, probabilmente illegittima rispetto ai principi costituzionali di cui al precedente articolo 9 e, comunque, limitata alla fase di primo avvio.
Né mancano gli Autori di sottolineare l’altra novità procedimentale data dal ricorso amministrativo (di merito e tecnico) previsto avverso la dichiarazione di interesse (articolo 16) ed esteso ai provvedimenti di temporanea immodificabilità per tutela indiretta (articolo 46, comma 4) e diniego circolazione (articolo 69). E’ questa una buona soluzione poiché –da un lato-  permette di garantire in concreto l’omogeneità (oggi carente) nell’operato delle Soprintendenze, -dall’altro- poiché  appare immune dalle preoccupazioni che in proposito sono state sollevate. La sospensione degli effetti del provvedimento avverso cui è presentato ricorso (articolo 16, comma 2), infatti, non sospende la vigenza delle disciplina cautelativa disposta dal “Codice” per i beni in attesa della dichiarazione di interesse culturale ma rinvia alla determinazione definitiva la questione del “se” e “in quale misura” l’interesse sussista e si sia dunque di fronte non ad un bene solo cautelativamente garantito dalla disciplina dei beni culturali, ma ad un bene culturale propriamente inteso.
Resta, tuttavia, la necessità di procedere a forme efficaci e riconoscibili di controllo, di valutazione integrata delle risorse globalmente disponibili e di ripartizione di quelle locali, di censimento e catalogazione del patrimonio culturale, di acquisizione e circolazione di conoscenze su cui costituire “standard” e livelli delle prestazioni, di formazione del personale. A ciò si aggiungono le numerose ipotesi in cui il “Codice” rinvia a criteri da determinarsi in via generale per le più svariate attività. E’, dunque,  ovvio che, sin da ora la cooperazione tra il governo centrale e quello locale deve avviarsi e deve poter contare su saperi ed informazioni che solo le cennate attività (ove supportate anche da opere come il “Commentario”) possono garantire.

[1] D. M. Roodman “La ricchezza naturale delle nazioni. Come orientare il mercato a favore dell’ambiente”, Milano, 1998