Consiglio di Stato, sez. IV, 13 ottobre 2022, n. 9171

Beni culturali – Palazzo Giustiniani in Roma sede di alcuni Uffici del Senato della Repubblica – Rivendicazione della proprietà da parte del Grande Oriente d’Italia – Controversia – Giurisdizione dell’Autorità Giudiziaria Ordinaria – Testo integrale della sentenza  

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2505 del 2022, proposto dalla società U.r.b.s. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fabio Federico, Angelo Piazza, Cesare San Mauro e Raffaele D’Ottavio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Cesare San Mauro in Roma, via Guido D’Arezzo, n. 2;

contro

il Senato della Repubblica Italiana, il Ministero dell’economia e delle finanze e il Ministero dell’istruzione, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (sezione prima) n. 13218 del 21 dicembre 2021, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Senato della Repubblica Italiana, del Ministero dell’economia e delle finanze e del Ministero dell’istruzione;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 13 ottobre 2022 il consigliere Michele Conforti e uditi per le parti gli avvocati Fabio Federico, Raffaele D’Ottavio, Annunziata Abbinente su delega dell’avvocato Angelo Piazza e l’avvocato dello Stato Federico Basilica;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

  1. Giunge alla decisione del Consiglio di Stato l’appello proposto dalla società U.r.b.s. avverso la sentenza del T.a.r. per il Lazio n. 13218 del 21 dicembre 2021 che ha dichiarato inammissibile il ricorso di primo grado per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore del giudice ordinario.
  2. In primo grado, la ricorrente ha domandato, in via principale, l’accertamento dell’occupazione abusiva di Palazzo Giustiniani da parte del Senato della Repubblica Italiana (d’ora in avanti soltanto “Senato”) e la condanna del Senato alla restituzione dell’edificio in favore della società.

2.1. In via subordinata, la ricorrente ha domandato l’accertamento dell’inadempimento della transazione – di cui all’atto pubblico n. 25485 del 14 novembre 1991 – stipulata tra il Senato, il Ministero delle finanze (ora, Ministero dell’economia e delle finanze) e la società U.r.b.s., e la condanna del Senato all’adempimento dell’obbligo scaturente dall’art. 5 della transazione ovvero a consentire l’uso di una limitata porzione dei locali per ospitare il museo storico della massoneria italiana.

  1. Per agevolare la comprensione della vicenda controversa è utile ricostruire il contesto fattuale e processuale all’interno della quale è sorta.

3.1. In fatto, si precisa quanto segue:

  1. a) con atto di compravendita – rogato dal notaio Francesco Stame, in data 16 febbraio 1911, registrato in Roma il 17 febbraio 1911 al n. 5920 del registro 315 Atti privati – la società ricorrente ha acquistato, dai fratelli Riccardo ed Emilio Questa, la proprietà dell’immobile sito in Roma alla via Dogana Vecchia n. 29, via dei Crescenzi da n. 13 a n. 23, via dei Giustinianei n. 1 a 11 e Piazza del Pantheon n. 10 a 11, confinante con le dette vie e con le proprietà Guarnieri, De Rossi e Grazioli, noto come “Palazzo Giustiniani”, senza che nell’ambito della predetta compravendita venisse dichiarata l’esistenza del vincolo storico-artistico gravante sul bene ai sensi dell’art. 6 della legge n. 364 del 20 giugno 1909;
  2. b) fin dal 1901, l’immobile era stato adibito a sede legale dell’associazione massonica del Grande Oriente d’Italia– Palazzo Giustiniani – Massoneria Universale (G.O.I.), mentre attualmente l’edificio ospita il Senato della Repubblica Italiana;
  3. c) durante il regime fascista, le milizie squadriste assaltarono Palazzo Giustiniani il 7 agosto1924, il 13 e 15 settembre 1924 e il 31 ottobre 1924, finché, il 5 novembre 1925, l’edificio venne occupato;
  4. d) di lì a poco fu emanato il regio decreto-legge n. 2192 del 22 novembre 1925, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 295 del 21 dicembre del 1925, con il quale fu prevista la facoltà del Governo di dichiarare la nullità degli atti di compravendita degli immobili di valore storico e artistico nazionale oggetto di tutela ai sensi della legge n. 364 del 1909;
  5. e) con il decreto del 20 gennaio 1926 del Ministro della Pubblica Istruzione fù esercitato il diritto di prelazione su Palazzo Giustiniani: avverso questo decreto venne introdotta una causa innanzi al Consigli di Stato e un ulteriore contenzioso venne incardinato innanzi al Tribunale di Roma, per far dichiarare privo di efficacia il diritto di prelazione;
  6. f) con l’atto del 13 giugno 1927 – intercorso fra il Ministero delle finanze, il Ministero della pubblica istruzione e la società U.r.b.s. – si stabilì di transigere i due giudizi intentati da quest’ultima (concernenti la validità ed efficacia del diritto di prelazione esercitato con il decreto del 20 gennaio 1926 a fronte del pagamento da parte dello Stato di lire 4.000.000,00, in luogo dell’originario prezzo fissato in lire 1.055.000,00, ex art. 2 della transazione);
  7. g) con l’atto di citazione del 26 settembre 1947, la società ha instaurato un giudizio civile per far “dichiarare nullo, per vizio di consenso a causa di violenza l’atto di transazione e vendita del 13 giugno 1927” (così Corte di appello di Roma del 31 agosto 1953, pag. 9) e ottenere, per l’effetto, la restituzione del bene immobile;
  8. h) la Corte di cassazione, adita con il ricorso preventivo di giurisdizione proposto dai ministeri convenuti, con la sentenza del 23 marzo 1950, dichiarò la sussistenza della giurisdizione ordinaria a conoscere delle questioni concernenti la validità della transazione del 13 giugno 1927 e la sussistenza della giurisdizione amministrativa sulle questioni relative ai profili di illegittimità dei provvedimenti autoritativi emanati;
  9. i) con sentenza irrevocabile del 9 aprile 1953, in riforma di quella resa nel precedente grado del processo, la Corte d’appello di Roma respinse le domande proposte dalla società avverso la transazione del 13 giugno 1927; mentre il giudizio amministrativo proposto davanti al Consiglio di Stato sull’illegittimità del decreto ministeriale del 20 gennaio 1926 era già stato dichiarato perento con la decisione della Quarta Sezione del 4 luglio 1930.
  10. l) il 10 novembre 1961, venne stipulato un atto di concessione che riconobbe l’uso ventennale di una porzione dell’edificio di Palazzo Giustiniani in favore della società;
  11. m) con successivo atto del 1977, il Ministero delle finanze diede in concessione alla società altri 25 locali di Palazzo Giustiniani, “limitandone la scadenza in coincidenza con quella dell’atto summenzionato [del 1961] e cioè fino al 30 giugno 1980”;
  12. n) scadute le concessioni, in data 1° luglio 1981, il Ministero delle finanze intimò all’U.R.B.S. il rilascio dei locali di Palazzo Giustiniani;
  13. o) in data 14 novembre 1991, venne stipulato un ulteriore contratto di transazione per definire i rapporti tra le parti, anche relativamente ai contenziosi instaurati dalla società sulla quantificazione dei canoni concessori e prevedendosi che una parte di Palazzo Giustiniani sarebbe stata concessa in uso alla società per essere destinata ad ospitare il museo storico della massoneria italiana.

3.2. Nel ricorso introduttivo del giudizio – quanto alla causa petendi della domanda proposta in via principale, relativamente ai profili che il Collegio reputa rilevanti ai fini della determinazione della giurisdizione sulla presente controversia – la società ha allegato che l’attuale possesso di Palazzo Giustiniani da parte del Senato “configura, in ogni caso, occupazione abusiva ed integra un illecito permanente” e “l’atto di compravendita del 1911 in favore dell’URBS è esistente, valido ed efficace nonché definitivamente consolidato” (ambedue le affermazioni sono a pag. 13); il “Governo del Re […] non ha mai dichiarato la nullità dell’atto di trasferimento in favore dell’URBS. […] Con la conseguenza che, permanendo in vita l’atto di proprietà in capo all’URBS, il decreto di prelazione emesso dal Governo non poteva costituire atto di trasferimento in favore di quest’ultimo” (pag. 16); “Manca, dunque, un valido atto di trasferimento del bene immobile in capo allo Stato” (pag. 18).

3.2.1. Quanto alla causa petendi della domanda proposta in via subordinata – sempre avuto riguardo ai profili che il Collegio reputa rilevanti ai fini della determinazione della giurisdizione sulla presente controversia – la società ha allegato che “L’atto di transazione del 1991 […] scaturisce dal rapporto concessorio avente ad oggetto il bene di cui trattasi, già in essere tra il Ministero delle Finanze e il Senato della Repubblica…” (pag. 18) e “Tale atto […] in ragione del suo contenuto e della sua natura, nonché dell’iter che lo ha preceduto, è da inquadrarsi nella categoria degli accordi ex art. 11 della l. 241/1990…” (pag. 18 e 19).

3.3. Il Senato, il Ministero dell’economia e delle finanze e il Ministero dell’istruzione si sono costituiti in giudizio, resistendo al ricorso.

  1. Con la sentenza n. 13218/2021, il T.a.r. ha dichiarato inammissibile la domanda per difetto di giurisdizione e compensato le spese.

Segnatamente, il giudice di primo grado:

  1. a) ha dichiarato inammissibile la domanda proposta in via principale e ha dichiarato la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario, affermando che il giudizio intentato dalla società “non ha ad oggetto una occupazione avvenuta a seguito di un comportamento dell’amministrazione che possa considerarsi riconducibile, anche solo mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere”, perché, in base alla prospettazione della ricorrente, “i provvedimenti adottati nel corso degli anni dall’amministrazione, a partire dal decreto ministeriale di dichiarazione del diritto di prelazione del 20 gennaio 1926, sarebbero esorbitanti rispetto alle prerogative riconosciute dalla legge allo Stato italiano in tema di prelazione legale e di conseguenza sarebbero radicalmente nulli ovvero inesistenti”;
  2. b) ha dichiarato inammissibile la domanda proposta in via subordinata e dichiarato la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario, affermando che la transazione stipulata tra le parti il 14 novembre 1991 non è qualificabile come accordo concluso ai sensi dell’art. 11 della legge n. 241/1990, bensì come contratto.
  3. La società soccombente ha impugnato la sentenza di primo grado, articolando due motivi di appello.

5.1. Con il primo motivo, l’appellante ha impugnato il capo della sentenza che ha dichiarato inammissibile la domanda proposta in via principale.

La società ha dedotto la violazione dell’art. 133, comma 1, lett. “f)” e “g)”, c.p.a., affermando che gli atti e i provvedimenti emanati dal Ministero dell’istruzione per acquistare la proprietà di Palazzo Giustiniani sarebbero comunque esercizio, quantomeno mediato, di un pubblico potere e, pertanto, il loro esame sarebbe attribuito alla giurisdizione del giudice amministrativo.

5.2. Con il secondo motivo, l’appellante ha impugnato il capo della sentenza che ha dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione la domanda proposta in via subordinata.

La società ha dedotto, rispettivamente, la violazione dell’art. 133, comma 1, lett. “b)” e lett. “a)” n. 2, c.p.a., affermando, quanto alla prima violazione, che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo “le controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici” e, quanto alla seconda violazione, che sono devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di “formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento amministrativo e degli accordi tra pubbliche amministrazioni”.

Contrariamente a quanto statuito dal T.a.r., con l’atto intercorso fra la società U.r.b.s., il Ministero delle finanze e il Senato della Repubblica Italiana, in data 14 novembre 2022, sarebbe stata stipulata la concessione di uso di una porzione di Palazzo Giustiniani, non ostando a questa qualificazione la mancata stipulazione della convenzione prevista dall’art. 5 del suddetto atto, che avrebbe dovuto regolare soltanto gli aspetti relativi al rapporto giuridico costituitosi tra le parti in ragione della concessione (segnatamente, i termini e le condizioni dell’uso, da parte della società, di una porzione limitata dei locali di Palazzo Giustiniani; pag. 10 e 11 appello). L’accordo emanato sarebbe sussumibile nella fattispecie dell’art. 11 legge n. 241/1990, perché la stipulazione intercorsa tra le parti ha ad oggetto, in tesi, un bene demaniale.

5.3. La società ha domandato l’annullamento della sentenza di primo grado e, per l’effetto, di dichiarare il ricorso di primo grado ammissibile, con remissione al Tribunale Amministrativo originariamente adito.

5.4. Si è costituito in giudizio il Senato, il Ministero dell’economia e delle finanze e il Ministero dell’istruzione, resistendo all’appello mediante il deposito della memoria e dei documenti già prodotti nel giudizio di primo grado.

5.5. La società ha depositato un’ulteriore memoria in data 26 settembre 2022.

  1. Alla camera di consiglio del 13 ottobre 2022, la causa è stata trattenuta in decisione.
  2. È controversa la sussistenza o meno della giurisdizione del Giudice amministrativo.

7.1. In limine litis, si premette che la controversia in esame non riguarda una fattispecie nella quale il Senato esercita la sua autodichia, esulando dagli stringenti limiti di questo istituto, di carattere eccezionale, delineati dalla Corte costituzionale (cfr. sentenza n. 262 del 2017, § 7.2.).

7.2. Va conseguentemente tratteggiata la cornice dei principi e delle regole che disciplina il riparto fra le giurisdizioni e nella quale si andrà ad incastonare la decisione che questo Consiglio è chiamato a prendere. A tale proposito, costituisce vero e proprio jus receptum (fra le tante Cass. civ., sez. un., n. 26921 del 2021; n. 29174 del 2020; n. 20350 del 2018; n. 9862 del 2017; n. 28505 del 2017; Cons. Stato, sez. IV, n. 8473 del 2020), che:

  1. a) per individuare l’oggetto della domanda ai fini del discrimine fra le giurisdizioni, è indispensabile esaminarne la causa petendi(ovvero il petitumin senso sostanziale, rappresentato dal complesso degli argomenti in fatto e in diritto, posti a sostegno della domanda medesima, che servono a individuare l’esatta natura della posizione soggettiva in relazione alla quale si invoca tutela);
  2. b) è irrilevante, al tal fine, il petitumformale;
  3. c) la causa petendideve essere ricercata avuto riguardo al ricorso di primo grado (che delimita il perimetro del giudizio anche in appello ex art. 104 c.p.a.).

7.3. Con il primo motivo di appello, la società insiste innanzi al Consiglio di Stato per la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo, criticando quanto statuito dal T.a.r..

7.3.1. Dai brani contenuti in vari loci del ricorso introduttivo del giudizio e riportati nella presente motivazione, al § 3.1., risulta palese che la società agisce in giudizio, affermando la sussistenza del suo diritto di proprietà su Palazzo Giustiniani e disconoscendo qualsivoglia valore giuridico agli atti normativi, amministrativi e negoziali che, tra il 1925 e il 1927, ne avrebbero sancito – almeno, formalmente – il passaggio di proprietà allo Stato.

In particolare la società ha completamente obliato le conseguenze, sul diritto di proprietà dell’immobile, derivanti dal consolidamento degli effetti giuridici della transazione del 1927 a tutt’oggi pienamente valida ed efficace.

7.3.2. Di tale statuizione costituisce conferma la circostanza che, nel ricorso introduttivo del giudizio, la società non censura l’esercizio del potere autoritativo da parte dell’amministrazione, introducendo soltanto in l’appello alcune argomentazioni sui profili di illegittimità dei provvedimenti emanati dall’amministrazione, che potrebbero, in tesi, indurre l’interprete ad una diversa qualificazione della situazione giuridica soggettiva azionata nel processo. Senonché, di queste allegazioni non si può tenere conto in quanto dedotte in violazione dell’art. 104 c.p.a.

7.3.3. Per suffragare tali conclusioni, può farsi menzione, inoltre, quale argomento ulteriore, dell’orientamento della Corte di cassazione sulle controversie aventi ad oggetto l’esercizio del diritto di prelazione da parte di un affittuario di un fondo agricolo a fronte del provvedimento di aggiudicazione del fondo a terzi emesso dalla mano pubblica.

Pur in presenza dell’impugnazione di atti amministrativi (nella specie comunali) di aggiudicazione del fondo, la Corte di cassazione ha affermato che il relativo giudizio “ancorchè promoss[o] sotto il profilo della illegittimità dei provvedimenti con cui l’ente pubblico ha disposto l’indicato successivo trasferimento, spetta alla cognizione del giudice ordinario, e non a quella del giudice amministrativo in sede di giurisdizione di legittimità, atteso che investe posizioni di diritto soggettivo – cioè il diritto di proprietà e la relativa titolarità che discendono da rapporti di natura privatistica e che non sono suscettibili di degradazione od affievolimento per effetto dei suddetti provvedimenti” (cfr. da ultimo Cass. civ., sez. un., ord., 2 maggio 2019, n. 11582; in precedenza v. Cass. civ., sez. un., nn. 3163/1981, 4923/1988, 6493/2012, 21450/2018).

7.3.4. Relativamente alla domanda proposta in via principale va dunque affermata la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario, confermandosi, con diversa motivazione, la relativa statuizione della sentenza di primo grado.

7.4. Può procedersi all’esame del secondo motivo di appello, con il quale la società insiste sulla ricomprensione nella giurisdizione amministrativa delle questioni relative al mancato adempimento dell’accordo transattivo stipulato il 14 novembre 1991.

7.5. Le deduzioni di parte sono infondate.

7.5.1. Malgrado la qualificazione della fattispecie prospettata dalla società, il Collegio rileva l’insussistenza di qualsiasi procedimento al cui interno collocare, in funzione sostitutiva del provvedimento o integrativa del suo contenuto, così come richiesto dall’art. 11 legge n. 241/1990, l’accordo transattivo del 14 novembre 1991.

7.5.2. Questo accordo scaturisce, infatti, dai complessi rapporti che, nel corso degli anni, sono intercorsi fra il Senato e la società, dapprima, sulle questioni inerenti la titolarità della proprietà di Palazzo Giustiniani, e, successivamente, la concessione in uso di parte dell’edificio.

7.5.3. Tali accadimenti, ampiamente passati in rassegna nei precedenti paragrafi, si pongono, tuttavia, come meri presupposti fattuali dell’atto stipulato, che deve essere qualificato come vero e proprio contratto di transazione, finalizzato a “porre fine” alle controversie già in atto e a prevenire quelle che ancora sarebbero potute insorgere fra le parti.

7.5.4. Le pattuizioni in esso contenute e, specialmente, l’art. 5, contrariamente a quanto evidenziato dalla società, non perfezionano l’insorgere di un rapporto concessorio riguardante l’uso dei locali di Palazzo Giustiniani da adibire a museo storico della massoneria, ma prevedono, testualmente, che “L’amministrazione delle finanze prende atto della determinazione del Senato a consentire, con apposita convenzione, alla società U.R.B.S. l’uso di una limitato porzione dei locali dell’immobile rilasciati ubicati al piano terreno ed al piano ammezzato…per destinarli a sede del Museo storico della Massoneria italiana…”; quasi che una dichiarazione d’intenti tra le parti del contratto di transazione da finalizzare, successivamente, con l’emanazione del provvedimento di concessione e la stipulazione del relativo accordo accessivo, e certamente non coercibile, così come domandato dall’appellante, ai sensi dell’art. 2932 c.c..

7.5.5. Si soggiunge che, quand’anche si accogliesse la qualificazione (della pattuizione del 14 novembre 1991, quale accordo ai sensi dell’art. 11 legge n. 241/1990) auspicata dall’appellante, va opportunamente dato atto dell’orientamento della Corte di cassazione che attribuisce alla giurisdizione del giudice civile le controversie che, pur se correlate ad accordi pubblicistici, stipulati ai sensi dell’articolo 11 o 15 della legge n. 241/1990, hanno ad oggetto vicende meramente patrimoniali o questioni prettamente proprietarie (cfr. Cass. civ., sez. un., ord., 29 luglio 2021 n. 21770; 5 ottobre 2021 n. 26921; 28 luglio 2021 n. 21650; 30 marzo 2018 n. 8049)

7.5.6. Il secondo motivo di appello è dunque infondato.

  1. In conclusione, per i motivi sin qui esposti, l’appello va respinto e la sentenza di primo grado va confermata, con diversa motivazione.
  2. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano nel dispositivo tenuto conto dei criteri sanciti dall’art. 26 c.p.a. e dei parametri di cui al regolamento n. 55 del 2014.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello n.r.g. 2505/2022, lo rigetta e, per l’effetto, conferma la sentenza di primo grado con diversa motivazione.

Condanna la società U.r.b.s. s.r.l. alla rifusione, in favore del Senato della Repubblica, del Ministero dell’economia e delle finanze e del Ministero dell’istruzione, delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi euro 3.000,00 (tremila/00), oltre agli accessori di legge se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 ottobre 2022 con l’intervento dei magistrati:

Vito Poli, Presidente

Francesco Gambato Spisani, Consigliere

Alessandro Verrico, Consigliere

Giuseppe Rotondo, Consigliere

Michele Conforti, Consigliere, Estensore