Igiene e sanità – Sito inquinato – Bonifica – Attivata da ex proprietario – Obbligo di completarla – Sussiste – Fattispecie. Testo integrale della sentenza
Qualora l’ex proprietario di un sito inquinato abbia attivato la bonifica dell’area sussiste l’obbligo di completare le operazioni a nulla rilevando che vi siano stati uno o più passaggi di proprietà. Nella fattispecie, il sito inquinato si trovava nell’aerea industriale del Comune di Caivano.
Pubblicato il 02/02/2024
- 01110/2024REG.PROV.COLL.
- 06038/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6038 del 2022, proposto da Zf Automotive Italia S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Giovanna Branca, Fiorella Federica Alvino, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Fiorella Federica Avino in Roma, piazza di Pietra 26;
contro
Regione Campania, non costituita in giudizio;
nei confronti
Città Metropolitana di Napoli, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Giuseppe Cristiano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Proteg Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Irene Cossu, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Irene Rosa Anna Cossu in Napoli, via Porzio n. 4 Centro Dir. Is. B3;
per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Quinta) n. 02785/2022.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Città Metopolitana di Napoli e di Proteg Spa;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 novembre 2023 il Cons. Luigi Furno e uditi per le parti gli avvocati come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Zf Automotive Italia S.r.l, nel ricorso di primo grado, avente ad oggetto il procedimento di bonifica relativo al sito produttivo ubicato nella zona industriale del Comune di Caivano, deduceva di non essere più proprietaria del sito in questione dall’anno 2005 avendolo venduto alla società GBA s.r.l., che, a sua volta, successivamente, l’aveva trasferito alla società TEA s.r.l. e, quindi, alla Proteg S.p.A., attuale proprietaria;
Zf Automotive Italia S.r.l ha, inoltre, riferiva che nel periodo in cui era proprietaria, aveva avviato il procedimento di bonifica del sito essendo quest’ultimo inquinato da solventi clorurati, non riconducibili al proprio ciclo produttivo; a tal fine, nel settembre dell’anno 1999, aveva comunicato, in qualità di proprietaria non responsabile, agli enti di controllo, la presenza di contaminazione nelle acque sotterranee e, successivamente, a seguito dell’inserimento dello stabilimento nel Sito di Interesse Nazionale (SIN) del Litorale Domizio Flegreo e Agro Aversano, nel giugno 2002, aveva inviato al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (MATTM) ed agli altri Enti di controllo un documento tecnico di sintesi di tutte le indagini svolte sui terreni e sulle acque sotterranee; all’esito dell’indetta conferenza di servizi, Zf Automotive Italia S.r.l aveva presentato il piano di caratterizzazione ed aveva messo in atto misure di Messa in Sicurezza di Emergenza (MISE) a partire dal mese di ottobre 2003, consistenti nel pompaggio dai piezometri di valle MW4, MW6, MW11 e PZ15; pur avendo venduto il sito a GBA s.r.l. nell’anno 2005, Zf Automotive Italia S.r.l aveva completato le indagini sul suolo ed aveva concluso il procedimento relativo all’accertamento dello stato di contaminazione del sito, presentando agli Enti competenti il documento di analisi di rischio nonché le risultanze degli accertamenti successivamente svolti, che non avevano mostrato superamenti delle concentrazioni limite fissate dalla legge (sia con rifermento al D.M. 471/99 sia con riferimento al d.lgs. 152/06) per uso commerciale/industriale e, nello specifico, per i composti alifatici clorurati rinvenuti nelle acque sotterranee; entrato in vigore il D.M. 11/01/2013 (Approvazione dell’elenco dei siti che non soddisfano i requisiti di cui ai commi 2 e 2-bis dell’art. 252 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e che non sono più ricompresi tra i siti di bonifica di interesse nazionale, GU Serie Generale n. 60 del 12-03-2013), il Litorale Domizio Flegreo era stato declassato a sito di interesse regionale (SIR), cosicché la titolarità del procedimento era stata trasferita alla Regione Campania; compiute le indagini integrative nel mese di maggio 2017, in data 3 luglio 2018, Zf Automotive Italia S.r.l aveva presentato agli Enti competenti un nuovo documento di analisi di rischio conforme al vigente quadro normativo nel frattempo intervenuto, rappresentando altresì che, in quanto soggetto non responsabile della contaminazione riscontrata, non avrebbe potuto essere individuato come l’obbligato ad eseguire gli interventi di bonifica e/o di messa in sicurezza operativa; successivamente alla trasmissione del documento di analisi di rischio, la Regione, con nota prot. n. 2019. 517224 del 28 agosto 2019, aveva convocato la Conferenza di Servizi per l’approvazione dell’analisi di rischio per il giorno 22 ottobre 2019;all’esito dell’indetta conferenza di servizi del 22 ottobre 2019, la Regione Campania aveva approvato l’analisi di rischio del 3 luglio 2018 ed il successivo aggiornamento, imponendo le seguenti prescrizioni: “(i) per la MISE attiva di porre in emungimento il pozzo MW2 e trattare mediante il TAF le acque emunte e (ii) di “presentare idoneo POB per la matrice acque sotterranee, ponendo come obiettivo il rispetto delle concentrazioni di contaminanti che entrano da monte idrogeologico”.
Avverso il predetto provvedimento Zf Automotive Italia S.r.l è insorta, con il ricorso di primo grado, dinanzi al T.a.r. Campania, deducendo le seguenti censure.
In primo luogo, deduceva la violazione e/o erronea applicazione degli articoli 242, 245 e 250 del d.lgs. 152/2006 nonché l’eccesso di potere per carenza dei presupposti e difetto di motivazione in cui sarebbe incorsa la resistente amministrazione poiché, pur non essendo stata accertata alcuna responsabilità in capo alla società ricorrente in ordine all’inquinamento del sito in oggetto, era stata imposta a quest’ultima l’esecuzione degli interventi di bonifica delle acque sotterranee.
Ad avviso della Zf Automotive Italia S.r.l, l’impugnato provvedimento era stato adottato in violazione del principio, di derivazione comunitaria ma ampiamente recepito dalla giurisprudenza nazionale, secondo cui è precluso all’amministrazione imporre lo svolgimento di attività di recupero e di risanamento dei siti inquinati ai privati che non hanno alcuna responsabilità diretta sull’origine del fenomeno contestato e che vengano individuati solo in quanto proprietari del bene. Nel caso in esame, la ZF aveva avviato il procedimento di bonifica spontaneamente in quanto al tempo proprietaria del sito; da tale volontaria iniziativa non avrebbe potuto farsi discendere un obbligo di procedere alle attività di bonifica non essendo più, fra l’altro, proprietaria del sito e non avendo quindi un interesse a portare avanti tali attività.
In secondo luogo, l’illegittimità dell’assunto provvedimento emergeva anche sotto l’ulteriore profilo della violazione e/o erronea applicazione dell’art. 251 d.lgs. 152/2006 e s.m.i., poiché, nel verbale della Conferenza di Servizi, il Responsabile del Procedimento della Regione Campania aveva motivato la richiesta di intimare alla ricorrente di presentare “idoneo POB per la matrice acque sotterranee” sul presupposto che la stessa fosse stata individuata come “Soggetto Obbligato” nel vigente PRB della Regione Campania, approvato con DGR n. 35 del 29/01/2019 con n. di Codice PRB 3011530.
Tuttavia, a giudizio di Zf Automotive Italia S.r.l, tale assunto appariva del tutto erroneo poiché il PRB, a norma dell’art. 251, comma 1, lettera a), conteneva esclusivamente l’elenco dei siti sottoposti ad intervento di bonifica e ripristino ambientale nonché degli interventi realizzati nei siti medesimi, ma non anche l’individuazione del soggetto obbligato.
Infine, sempre ad avviso di Zf Automotive Italia S.r.l, violando palesemente gli artt. 242 e 243 del d.lgs. 152/2006 e con evidente difetto d’istruttoria, la resistente amministrazione aveva intimato alla ricorrente anche “di porre in emungimento il pozzo MW2, garantendo in tal modo un più efficace barrieramento, con un richiamo depressivo più sviluppato” nonché, “relativamente alle acque emunte dalla barriera idraulica, il trattamento mediante TAF al fine di garantire la conformità all’art. 243 comma 6 del D.Lgs. 152/06”.
Tuttavia, tali prescrizioni non solo non potevano essere intimate a Zf Automotive Italia S.r.l, non avendo più essa la proprietà del suolo, ma si fondavano anche su presupposti errati ed in contrasto con i dati tecnici preventivamente rilevati in forza dei periodici accertamenti compiuti sulla tenuta ed efficacia della barriera idraulica. Difatti, il monitoraggio mensilmente svolto, da un lato, aveva rilevato la presenza di contaminazioni originate in aree esterne, poste a monte e lateralmente al sito, ma anche che le acque sotterranee estratte dalla barriera idraulica erano risultate conformi ai limiti di scarico in fognatura, cosicché non dovevano essere sottoposte all’indicato trattamento in quanto quest’ultimo era prescritto esclusivamente per le acque qualificate come rifiuti.
Il T.a.r. Campania con la decisione 22 aprile 2022 n. 2785 ha respinto il ricorso.
Contro questa sentenza Zf Automotive Italia S.r.l ha proposto appello con il quale ha criticamente riproposto i motivi del ricorso di primo grado.
Si è costituita nel presente giudizio di appello Proteg s.p.a., chiedendo la conferma della decisione impugnata
Si è, inoltre, costituita in giudizio la Città Metropolitana di Napoli con memoria di stile.
In vista dell’udienza del 23 novembre 2023 Zf Automotive Italia S.r.l e Proteg hanno depositato memorie con le quali hanno ulteriormente argomentato le ragioni a sostegno delle rispettive posizioni difensive.
All’udienza del 23 novembre 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.
L’appello non è fondato.
Con il primo mezzo di gravame la parte appellante ha dedotto: “Error in giudicando in relazione agli artt. 242-245 e 250 D.Lgs n. 156/2006 – Erroneità della motivazione e dei presupposti – erronea applicazione art. 2028 c.c.- Error in giudicando in relazione art. 191 TFUE ex art 174 Trattato CE – Contraddittorietà ed illogicità della motivazione”
In particolare, la parte appellante assume l’erroneità della sentenza impugnata per violazione e/o erronea applicazione degli articoli 242, 245 e 250 del d.lgs. 152/2006 poiché, pur non essendo stata accertata alcuna responsabilità in capo alla Zf Automotive Italia S.r.l in ordine all’inquinamento del sito in oggetto, ha confermato la correttezza dell’operato dell’amministrazione nella imposizione alla Zf Automotive della esecuzione degli interventi di bonifica delle acque sotterranee.
In tale prospettiva, i provvedimenti contestati in primo grado sarebbero stati adottato in violazione del principio, di derivazione comunitaria, secondo cui è precluso all’amministrazione imporre lo svolgimento di attività di recupero e di risanamento dei siti inquinati ai privati che non hanno alcuna responsabilità diretta sull’origine del fenomeno contestato e che vengano individuati solo in quanto proprietari del bene.
In secondo luogo, l’illegittimità dei provvedimenti contestati in primo grado emergerebbe anche sotto l’ulteriore profilo della violazione e/o erronea applicazione dell’art. 251, d.lgs. 152/2006 e s.m.i., poiché, nel verbale della Conferenza di Servizi, il Responsabile del Procedimento della Regione Campania aveva motivato la richiesta di intimare alla Zf Automotive Italia S.r.l di presentare “idoneo POB per la matrice acque sotterranee” sul falso presupposto che la stessa fosse stata individuata come “Soggetto Obbligato” nel vigente PRB della Regione Campania, approvato con DGR n. 35 del 29/01/2019 con n. di Codice PRB 3011530.
Infine, violando palesemente gli artt. 242 e 243 del d.lgs. 152/2006 e con evidente difetto d’istruttoria, la resistente amministrazione avrebbe intimato alla Zf Automotive Italia S.r.l. anche “di porre in emungimento il pozzo MW2, garantendo in tal modo un più efficace barrieramento, con un richiamo depressivo più sviluppato” nonché, “relativamente alle acque emunte dalla barriera idraulica, il trattamento mediante TAF al fine di garantire la conformità all’art. 243 comma 6 del d.lgs. 152/06”.
Il motivo non è fondato.
Osserva il Collegio che, in linea di principio, appare corretto l’assunto della parte appellante secondo il quale, alla stregua del principio “chi inquina paga”, l’Amministrazione non può imporre al proprietario di un’area inquinata, che non sia anche l’autore dell’inquinamento, l’obbligo di porre in essere le misure di messa in sicurezza di emergenza e bonifica, di cui all’art. 240, comma 1, lett. m) e p), d.lgs. n. 152 del 2006, in quanto gli effetti a carico del proprietario incolpevole restano limitati a quanto espressamente previsto dall’art. 253, stesso d.lgs. n. 152 del 2006, in tema di oneri reali e privilegio speciale immobiliare.
Le disposizioni contenute nel Titolo V della Parte IV, del d.lgs. n. 152 del 2006 (artt. da 239 a 253) operano, infatti, una chiara e netta distinzione tra la figura del responsabile dell’inquinamento e quella del proprietario del sito, che non abbia causato o concorso a causare la contaminazione” (Cons. Stato, Ad. Plen., 13 novembre 2013, n. 25).
A tal riguardo, il Collegio ricorda che l’impossibilità di imporre le opere di bonifica al proprietario di un terreno inquinato non responsabile del relativo inquinamento è stata affermata a partire dalla nota sentenza Corte di giustizia UE, sez. III, 4 marzo 2015 C 534-13 (su ordinanza di rinvio pregiudiziale dell’Adunanza plenaria 13 novembre 2013 n.25). La sentenza della Corte di giustizia, in particolare, ha chiarito che “La direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, deve essere interpretata nel senso che non osta a una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale, la quale, nell’ipotesi in cui sia impossibile individuare il responsabile della contaminazione di un sito o ottenere da quest’ultimo le misure di riparazione, non consente all’autorità competente di imporre l’esecuzione delle misure di prevenzione e di riparazione al proprietario di tale sito, non responsabile della contaminazione”.
La successiva giurisprudenza nazionale, nel tentativo di ulteriormente sviluppare l’assunto della Corte di giustizia, è giunta ad affermare l’impossibilità di imporre le misure di bonifica al proprietario non responsabile della contaminazione, traendo principale argomento dalla natura sanzionatoria di questa misura.
In tale ottica ricostruttiva, si è tuttavia osservato che analogo ragionamento non può valere anche con riferimento alle misure di messa in sicurezza di emergenza, le quali, così come le misure di prevenzione, non hanno analoga natura sanzionatoria, ma preventiva e cautelare, trovando fondamento nel principio di precauzione e nel correlato principio dell’azione preventiva, e, in quanto tali, possono gravare sul proprietario (o detentore del sito da cui possano scaturire i danni all’ambiente) solo perché egli è tale senza necessità di accertarne il dolo o la colpa (in questi termini, la costante giurisprudenza, per tutte Cons. Stato, sez. IV, 26 febbraio 2021, n.1658; sez. VI, 3 gennaio 2019, n.81; sez. V, 8 marzo 2017, n.1089; 14 aprile 2016, n.1509.
In base a tale consolidato orientamento, il proprietario del terreno sul quale sono depositate sostanze inquinanti, che non sia responsabile dell’inquinamento (c.d. proprietario incolpevole) e che non sia stato negligente nell’attivarsi con le segnalazioni e le denunce imposte dalla legge, è, pertanto, tenuto solo ad adottare le misure di prevenzione, mentre gli interventi di riparazione, messa in sicurezza definitiva, bonifica e ripristino gravano sul responsabile della contaminazione, ossia su colui al quale – per una sua condotta commissiva od omissiva – sia imputabile l’inquinamento; la P.A. competente, qualora il responsabile non sia individuabile o non provveda agli adempimenti dovuti, può adottare d’ufficio gli accorgimenti necessari e, se del caso, recuperare le spese sostenute attraverso un’azione di rivalsa verso il proprietario, il quale risponde nei soli limiti del valore di mercato del sito dopo l’esecuzione degli interventi medesimi (cfr., tra le altre, Consiglio di Stato, Sez. VI, 25 gennaio 2018, n. 502, e id., Sez. V, 10 ottobre 2018, n. 5604).
Ne discende che il proprietario non responsabile dell’inquinamento – nell’accezione prima chiarita – è tenuto, ai sensi dell’ art. 245, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006 ad adottare le misure di prevenzione di cui all’art. 240, comma 1, lett. i), d.lgs. n. 152 del 2006 (ovvero “le iniziative per contrastare un evento, un atto o un’omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per l’ambiente intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia”) e le misure di messa in sicurezza d’emergenza, non anche la messa in sicurezza definitiva né gli interventi di bonifica e di ripristino ambientale.
Tali consolidati principi non possono, nondimeno, trovare applicazione nel caso in cui, così come avvenuto nella fattispecie in esame, il proprietario, ancorché non responsabile, ha attivato volontariamente gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale.
In tale caso, infatti, la fonte dell’obbligazione del proprietario incolpevole va rinvenuta, come correttamente affermato dal primo giudice, nell’istituto della gestione di affari non rappresentativa.
Secondo l’art. 2028 c.c. colui che, scientemente e senza esservi tenuto, assume la gestione di un affare altrui ha l’obbligo di proseguirla fino a quando l’interessato possa provvedervi da sé stesso.
I presupposti necessari perché si configuri una gestione di affari altrui sono tradizionalmente individuati da un costante orientamento giurisprudenziale: a) nella c.d. absentia domini, dedotta dall’art. 2028 c.c. allorché fa riferimento ad un dominus che non è in grado di provvedere ai suoi interessi; b) nell’altruità dell’affare, dato l’esplicito riferimento normativo alla gestione di un affare altrui; c) nella spontaneità dell’intervento del gestore che, infatti, ai sensi dell’art. 2028 c.c., deve agire “senza essere obbligato”; d) nella consapevolezza dell’alienità dell’affare, desumibile dall’avverbio “scientemente”. Particolarmente discusso è, poi, il c.d. requisito dell’utiliter coeptum che, data la formulazione dell’art. 2031 c.c., è da una parte della dottrina considerato condicio iuris di efficacia di una fattispecie già strutturalmente perfetta e, da altra parte, ritenuto presupposto dei soli effetti a carico del dominus.
Il requisito della c.d.absentia domini– secondo l’indirizzo prevalente- deve essere inteso in senso ampio, in modo da comprendervi il caso in cui l’interessato, pur presente fisicamente nei luoghi ove la gestione è eseguita, non sia comunque in grado di presidiare all’amministrazione dei propri interessi esistenziali .
A tal riguardo, la giurisprudenza- con il sostegno di una parte autorevole della dottrina – ha chiarito che “Nella ricostruzione dell’istituto della negotiorum gestio, disciplinato dall’art. 2028 c.c. segg., la nozione che la consolidata giurisprudenza di questa Corte ha accolto del requisito della absentia domini, secondo una direttrice condivisa dalla prevalente dottrina, è quella per cui, a tal fine, non rileva che vi sia una condizione di assoluto impedimento dell’interessato alla gestione dei propri affari ovvero che sussista una impossibilità materiale rispetto alla cura di questi, ritenendosi soddisfatto l’anzidetto requisito là dove il dominus non abbia manifestato, espressamente o tacitamente, il divieto a che altri si ingerisca nella cura dei propri affari”(Cass., SS.UU., 4 luglio 2012, n. 11135 e di Cass., SS.UU., 4 luglio 2012, n. 11136 ;Cass. 3 marzo 1954, n. 607; Cass. 13 maggio 1964, n. 550; Cass. 23 maggio 1984, n. 3143; Cass. 25 maggio 2007, n. 12280; Cass. 9 aprile 2008, n. 9269; Cass. 7 giugno 2011, n. 12304).
Quanto agli effetti della gestione, un’impostazione largamente ricevuta distingue la fattispecie in cui il gestore ha agito nomine proprio da quella in cui spende il nome dell’interessato (art. 2031, comma 1, c.c.). Nel primo caso (c.d. gestione rappresentativa fondata sulla legge e condizionata dal presupposto dell’utiliter coeptum), gli effetti della gestione sono proiettati recta via nella sfera giuridico-patrimoniale dell’interessato, il quale deve pertanto adempiere le obbligazioni assunte in suo nome. Nel secondo caso valgono le regole in tema di mandato senza procura, di guisa che l’interessato dovrà tenere indenne il gestore delle obbligazioni assunte in nome proprio e rimborsargli le spese necessarie o utili con gli interessi dal giorno in cui sono state fatte. Il gestore è tenuto a continuare la gestione e a completarla finché l’interessato non sia in grado di provvedervi autonomamente (art. 2028, comma 1, c.c.).
Alla luce delle delineate coordinate ermeneutiche, coglie nel segno quella parte della giurisprudenza che, sulle orme di un’autorevole dottrina, ravvisa nella negotiorum gestio i tratti distintivi dell’obbligazione – che nasce per effetto della libera determinazione del gerente – senza obbligo primario di prestazione, da cui discende la eventuale responsabilità ex art. 1218 c.c., quale conseguenza della c.d. mala gestio.(in questo senso, Cons. Stato, sez. IV, 2 maggio 2022, n. 3426;Cons. Stato, sez. IV, 20 gennaio 2020, n.567, 5054/2012).
Applicando tali principi al caso di specie, il Collegio osserva che Zf Automotive Italia S.r.l, seppur non obbligata, per le ragioni in precedenza esposte, alla effettuazione delle opere di bonifica, ha assunto spontaneamente l’impegno di eseguire un complessivo intervento di bonifica, presumibilmente motivata dalla necessità di evitare, nel caso di realizzazione delle operazioni di bonifica da parte dell’amministrazione, il rimborso a quest’ultima del costo delle spese affrontate, sia pure nei limiti del valore di mercato del sito ( c.d. onere reale).
Ne discende che, ai sensi dell’art. 2028 c.c., l’attività utilmente iniziata dall’odierna appellante deve essere portata a compimento, o comunque proseguita finché l’amministrazione non sia in grado di far subentrare l’autore dell’inquinamento.
Lo schema della gestione di affari, come sopra sintetizzato, richiede, infatti, che, al pari di quanto verificatosi nella fattispecie in esame, vi sia la consapevolezza dello stato di contaminazione dell’area e della necessità di eseguire la bonifica secondo le direttive stabilite dall’amministrazione. Come correttamente rilevato dal giudice di prime cure, poiché, nel caso in disamina, la bonifica è attuata in sostituzione dell’autore dell’inquinamento, resta fermo che il proprietario avrà diritto di rivalersi nei confronti del responsabile dell’inquinamento per le spese sostenute (pur se si tratta del dante causa), “a condizione che sia stata rispettata la procedura amministrativa prevista dalla legge ed indipendentemente dall’identificazione del responsabile dell’inquinamento da parte della competente autorità amministrativa, senza che, in presenza di altri responsabili, trovi applicazione il principio della solidarietà” (Cass. civ., Sez. III, ord., 22 gennaio 2019, n. 1573).
Con il secondo mezzo di gravame la parte appellante ha dedotto: “erroneità della motivazione e dei presupposti. Violazione del principio di proporzionalità ed ingiustizia manifesta. Errore in giudicando in relazione agli artt. 242-245 e 250 D. Lgs. 152/2016 e s.m.i. ed art. 191 TFUE, ex art. 174 Trattato CE2”.
In particolare, la parte appellante lamenta la violazione del principio di proporzionalità, assumendo di aver concluso la fase di indagine relativa allo stato di contaminazione del sito con la presentazione dell’analisi di rischio e di aver manifestato espressamente alla Regione la volontà di non voler eseguire la bonifica. Dal che discenderebbe l’illegittimità dei contestati provvedimenti in quanto costituirebbero “un aggravamento dell’onere originariamente assunto sproporzionato rispetto ai costi di intervento relativi alla esecuzione delle indagini di caratterizzazione e manifestamente ingiusto”.
Il motivo non è fondato.
Come è noto il principio di proporzionalità, di derivazione europea, impone all’amministrazione di adottare un provvedimento non eccedente quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato. Alla luce di tale principio, nel caso in cui l’azione amministrativa coinvolga interessi diversi, è doverosa una adeguata ponderazione delle contrapposte esigenze, al fine di trovare la soluzione che comporti il minor sacrificio possibile: in questo senso l’esercizio del potere in esame rileva quale elemento sintomatico della correttezza dell’esercizio del potere discrezionale in relazione all’effettivo bilanciamento degli interessi.
Il principio di proporzionalità, secondo l’impostazione più accreditata, postula un giudizio valutazione che si articola in tre passaggi successivi, che prevedono l’utilizzo di altrettanti criteri di valutazione (c.d. «teoria dei tre gradini»):
– l’idoneità della decisione a raggiungere lo scopo, intesa come rapporto fra mezzo utilizzato e fine da raggiungere. Secondo questo primo indice di valutazione, la soluzione prospettata dalla pubblica amministrazione dev’essere effettivamente idonea a realizzare gli obiettivi legittimi di interesse pubblico o la tutela di diritti fondamentali, per come dichiarato dalla stessa amministrazione;
– la sua necessarietà, intesa come inesistenza di alternative più miti per il raggiungimento dello stesso risultato. In base a tale criterio, la scelta amministrativa deve necessariamente ricadere su quella che determini il sacrificio minore per i soggetti che ricevono un pregiudizio dalla decisione: in questo secondo passaggio si ha, dunque, un quid pluris rispetto al primo, consistente nella valutazione delle alternative plausibili per il raggiungimento degli stessi interessi pubblici con misure meno gravose;
– l’adeguatezza o proporzionalità in senso stretto, intesa come tollerabilità della decisione da parte del suo destinatario. In virtù di quest’ultimo indice valutativo, l’amministrazione deve effettuare una ponderazione armonizzata e bilanciata degli interessi, onde verificare se la misura sia «non eccessiva» rispetto all’obiettivo da perseguire.
Come ha avuto, infatti, modo di chiarire il Consiglio di Stato, proprio con riferimento al principio di proporzionalità in senso stretto come sopra delineato, la proporzionalità non deve essere considerata come un canone rigido e immodificabile, ma si configura quale regola che implica la flessibilità dell’azione amministrativa (Consiglio di Stato, Sez. V 21 gennaio 2015 n. 284) e come concreto bilanciamento tra interessi potenzialmente antagonisti.
Come noto, il bilanciamento tra interessi potenzialmente incompatibili è una vicenda di allontanamento più o meno intenso da quel nucleo di massima protezione e che dipende dalle relazioni di prevalenza o subordinazione che, all’interno della ponderazione, si stabiliscono con i principi concorrenti.
Nel caso di che trattasi, le prescrizioni della conferenza di servizi e i conseguenziali provvedimenti sacrificano in modo proporzionato e nella misura strettamente necessaria l’interesse economico della società appellante, per tutelare l’interesse ambientale e sanitario perseguito con riguardo a profili tecnici ineccepibili.
Inoltre, ad ulteriore sostegno di questa conclusione, il Collegio evidenza che provvedimenti contestati non violano il principio di proporzionalità anche in base alla considerazione per cui, coerentemente con le delineate note strutturali dell’istituto della negotiorum gestio, si sono limitati a ribadire l’obbligo, di per sé già discendente dalla legge (art. 2028 c.c.), di portare a termine esclusivamente le attività conseguenziali alla originaria manifestazione di spontanea gestione delle operazioni di bonifica.
Con un terzo mezzo di gravame la parte appellante deduce: “omessa pronuncia. Error in giudicando in relazione agli artt. 242 e 243 D.Lgs. 152/2006 e s.m.i. Error in giudicando in relazione all’art. 251 D. lgs. n, 156/2006 e s.m.i. Eccesso di potere per carenza di istruttoria e difetto di motivazione- Error in giudicando in relazione all’art. 3 legge 241/1990 e s.m.i.”.
Con il motivo in esame la parte appellante contesta l’assunto contenuto nel verbale della Conferenza di Servizi, impugnato in primo grado, secondo cui Zf Automotive Italia S.r.l dovrebbe di presentare “idoneo POB per la matrice acque sotterranee” in quanto costituente “Soggetto Obbligato” nel vigente PRB della Regione Campania, approvato con DGR n. 35 del 29/01/2019 con n. di Codice PRB 3011530.
In particolare, la società appellante contesta l’assunto per cui l’individuazione del sito all’interno del censimento con la denominazione “TRW Steering Wheel System s.r.l.” implichi automaticamente che l’odierna appellante venga considerata come il soggetto obbligato ad eseguire la bonifica, in quanto soggetto responsabile dell’inquinamento.
Né ad un tale esito potrebbe prevenirsi, ad avviso della parte appellante, valorizzando la circostanza, di per sé non rivelatrice di posizione di responsabilità, che la società appellante è stata proprietaria del sito dal 1998 al 2005.
Tale conclusione, ad avviso della parte appellante, sarebbe rafforzata dal fatto le Amministrazioni non avrebbero compiuto alcuna attività istruttoria volta all’accertamento del responsabile della contaminazione.
La società appellante si duole altresì del fatto che, nell’all. 1 del PRB, al codice 3011A530, è inserita la TRW Sterring Wheel System srl e non la ZF Automotive Italia srl.
Il motivo non è fondato.
Preliminarmente il Collegio evidenzia che del tutto formalistica si mostra la censura che fa leva sulla distinzione tra la società appellante e laTRW Sterring Wheel System srl, sol che si rifletta sulla circostanza che, rispetto a quest’ultima società, si è registrato solo un cambio di destinazione sociale.
L’assunto trova riscontro negli atti del presente procedimento nei quali ZF Automotive Italia srl ZF si è sempre definita “ZF già TRW”
Ad ulteriore sostegno dell’assunto, sempre dalla documentazione in atti, si ricava la prova che ZF Automotive Italia srl ZF ha conservato la Partita Iva e la sede legale (in Torino al Corso Italia) della Sterring Wheel System srl.
Quanto al sub-motivo che mira a contestare l’automatica assunzione della qualifica di soggetto responsabile dell’inquinamento, il Collegio ne rileva l’infondatezza, essendo erroneo il presupposto da cui esso trae le mosse.
Come evidenziato in sede di esame del primo motivo di appello, Zf Automotive Italia S.r.l, seppur non obbligata alla effettuazione delle opere di bonifica, ha assunto spontaneamente l’impegno di eseguire un complessivo intervento di bonifica, dal che discende la legittimità dei provvedimenti dell’amministrazione aventi ad oggetto la predisposizione, da parte della odierna appellante, del piano definitivo delle opere di bonifica.
Né può assumere rilievo, al fine di sollevare la società appellante dall’obbligo di completare le opere di bonifica spontaneamente intraprese, la circostanza dell’avvenuto trasferimento della proprietà del sito inquinato in favore della Proteg S.p.a..
A tal riguardo il Collegio osserva che la cessione della proprietà del sito non determina una vicenda estintiva, né a livello soggettivo, né a livello oggettivo, dell’obbligazione volontariamente assunta, venendo nel caso in esame in rilievo un’obbligazione di fonte legale, discendente da un fatto/atto idoneo, ai sensi dell’art. 1173, a generare la nascita di un’obbligazione in capo al soggetto che ha spontaneamente intrapreso la gestione dell’attività di bonifica.
In tale direzione depone anche la considerazione che, anche nel caso di cessione di azienda, l’art. 2560, comma 1, c.c. espressamente dispone che, dopo la cessione, il cedente rimane ex lege titolare degli obblighi (e, più in generale, delle posizioni di responsabilità) rivenienti dalla gestione del ramo di azienda precedente alla cessione.
Nella specie, peraltro, come correttamente osservato dal giudice di prime cure, non emerge l’assenso del creditore (individuabile nel Ministero dell’Ambiente, quale Ente esponenziale dell’interesse della collettività nazionale alla salubrità ed all’integrità ambientale e, successivamente, nella Regione) alla liberazione del cedente, dal che discende, in base ai principi generali sulla successione particolare nel debito, l’inconfigurabilità di una successione c.d. privativa.
Contrariamente a quanto ritenuto dalla società appellante, la fattispecie della traslazione dell’obbligo di bonifica a carico del successore si verifica, invece, nel diverso caso, non ricorrente nella specie, della successione a titolo universale, ovvero quando si sia verificata l’estinzione soggettiva del cedente (si pensi all’incorporazione): in tali ipotesi, come chiarito dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, la responsabilità per l’inquinamento e, quindi, il connesso dovere di bonifica passano in capo al successore in universum jus (cfr. Adunanza Plenaria n. 10 del 22 ottobre 2019; v. anche Cons. Stato, Sez. V, 23 dicembre 2019, n. 8720 e 30 dicembre 2019, n. 8912).
Ne discende che Zf Automotive Italia S.r.l è senz’altro tenuta ad eseguire la bonifica, pur se, in epoca successiva agli episodi di contaminazione, ha ceduto a terzi il ramo di azienda ovvero la proprietà dell’area interessata.
Con il quarto mezzo di gravame la parte appellante deduce: “Error in giudicando in relazione all’art. 243 D.Lgs. 152/2006 e s.m.i. Error in giudicando in relazione all’art. 242 e ss. D. lgs. n, 156/2006. Vizio di omessa pronuncia. Eccesso di potere per difetto dei presupposti. Illogicità ed irragionevolezza dell’azione amministrativa”.
Con il motivo in esame la parte appellante, muovendo dall’assunto di non essere più proprietaria del sito, assume di non avere alcun obbligo in relazione alla gestione della barriera idraulica.
Ciò in quanto “le acque della barriera idraulica confluiscono in un unico punto di scarico in cui confluiscono anche le altre condotte del sito” e quindi l’amministrazione non poteva imporre a Zf Automotive Italia S.r.l di “continuare a gestire una barriera idraulica in relazione ad un sito produttivo con attività il cui proprietario e gestore è un altro soggetto”. incrementare Inoltre, la parte appellante assume l’irragionevolezza della prescrizione di porre in pompaggio il piezometro MW2, tenuto conto del fatto che in base ai dati tecnici disponibili, quali risultati anche dal monitoraggio mensile, la barriera esistente avrebbe dovuto considerarsi efficace per contenere il flusso di acque, che, fra l’altro, trarrebbero un carico contaminante significativo dall’esterno del sito.
Il motivo non è fondato.
La prima parte del motivo, nella misura in cui, ancora una volta, contesta l’impropria attribuzione all’odierna appellante della qualifica di soggetto obbligato a realizzare la bonifica dei suoli, va respinto per le medesime ragioni indicate in occasione dell’esame del primo motivo di appello.
Nel merito non può essere condiviso l’assunto della sufficienza della barriera esistente per contenere il flusso di acque, che, fra l’altro, non trovando lo stesso corrispondenza nelle risultanze dell’istruttoria procedimentale
Contrariamente a quanto sostenuto dalla società appellante, in assenza di un valido riscontro in ordine alla sussistenza di altre fonti inquinanti, l’adottata prescrizione appare rispondere ai principi di precauzione e di prevenzione la cui applicazione, in concreto, comporta che, ogni qual volta, come nel caso in esame, non siano conosciuti con certezza i rischi indotti da un’attività o da un fenomeno inquinante potenzialmente pericolosi.
Il principio di precauzione consiste, come noto, in un criterio di gestione del rischio in condizioni di incertezza scientifica.
Esso risponde, dunque, alla necessità di fronteggiare e/o gestire i c.d. “rischi incerti”.
Muovendo da tale preliminare considerazione, è possibile coglierne il principale tratto distintivo rispetto all’idea di “prevenzione”.
Mentre, infatti, la prevenzione può entrare in gioco solo a fronte di “rischi certi”, ossia in presenza «di rischi scientificamente accertati e dimostrabili, ovverosia in presenza di rischi noti, misurabili e controllabili», la precauzione, al contrario, trova il proprio campo di applicazione allorché un determinato rischio risulti ancora caratterizzato da margini più o meno ampi di incertezza scientifica circa le sue cause o i suoi effetti.
Il fondamento concettuale della logica precauzionale, come rilevato da autorevole dottrina, può essere ricondotto al principio del cosiddetto maximin, in base al quale, quando si tratta di assumere una decisione in condizioni di incertezza, le scelte devono essere valutate tenendo conto del peggior scenario possibile in termini di possibili conseguenze.
Ne discende che, in nome dell’idea di precauzione, l’intervento preventivo non può attendere l’inconfutabile prova scientifica degli effetti dannosi, ma deve essere predisposto sulla base di attendibili valutazioni di semplice possibilità/probabilità del rischio, sulla base delle conoscenze scientifiche e tecniche “attualmente” e “progressivamente” disponibili.
Ad analoga conclusione deve pervenirsi anche con riguardo alla seconda prescrizione adottata dall’impugnato provvedimento, in forza della quale è stato imposto alla ricorrente, relativamente alle acque emunte dalla barriera idraulica, il trattamento mediante TAF al fine di garantire la conformità all’art. 243 comma 6 del d.lgs. 152/06.
La tesi dell’appellante muove, infatti, dalla non corretta premessa per cui le acque emunte dalla falda non possono essere equiparare ai rifiuti liquidi, perché, ai sensi dell’art. 243 del “codice”, le acque sono trattate nell’ambito degli interventi di bonifica e di messa in sicurezza di un sito e sono reflui industriali soggetti ai relativi limiti di concentrazione per lo scarico in fogna o nelle acque superficiali, mentre diversa è la fattispecie di cui all’art. 242, relativa alle acque prodotte nell’ambito delle operazioni di risanamento non trattate e perciò costituenti sostanze da cui disfarsi quali rifiuti.
Tale prospettazione urta, tuttavia, contro l’orientamento interpretativo del Consiglio di Stato secondo cui le acque emunte di regola devono essere ricondotte all’interno della categoria dei rifiuti liquidi, non potendosi in linea di principio ritenere che la norma di cui all’art. 243 citato consenta una equiparazione tout court tra le acque di falda emunte nell’ambito di interventi di bonifica di siti inquinati e le acque reflue industriali. Consiglio di Stato sez. II, 19/03/2015, n. 3396).
Sulla medesima linea si era già attestata la precedente giurisprudenza del Consiglio di Stato, la quale ha chiarito che “è quindi da disattendere l’assunto della società appellante tendente ad escludere a priori, ai sensi dell’art. 243 d.lgs. 152/06, la riconduzione delle acque emunte in attività di disinquinamento della falda dal regime dei proprio dei rifiuti liquidi: al contrario, l’individuazione del regime normativo concretamente applicabile non può non tenere conto della particolare natura dell’oggetto dell’attività posta in essere, siccome individuati dal legislatore quali rifiuti liquidi, come emerge dalla classificazione attraverso i codici CER allegati al decreto”(Consiglio di Stato, Sez. VI, 6 dicembre 2013, n. 5857).
Ad ulteriore sostegno delle conclusioni sin qui raggiunte, occorre inoltre evidenziare, nel caso di specie, la circostanza, emergente dalla documentazione in atti, per cui le acque di falda, provenienti dalla attività di Messa in Sicurezza, dopo l’emungimento e la depurazione, seguono un percorso separato dai reflui dell’attività della Proteg, dal che discende la conseguente impossibilità di governo, da parte di quest’ultima società, della relativa gestione.
Alla luce delle complessive ragioni che precedono l’appello deve essere respinto.
La particolarità della questione giustifica l’integrale compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge nei sensi di cui in motivazione.
Compensa tra le parti integralmente le spese di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 novembre 2023 con l’intervento dei magistrati:
Vincenzo Neri, Presidente
Vincenzo Lopilato, Consigliere
Silvia Martino, Consigliere
Giuseppe Rotondo, Consigliere
Luigi Furno, Consigliere, Estensore