Gli usi civici: evoluzione storica Di Maurizio De Paolis, Presidente dell’Associazione Romana di Studi Giuridici

L’istituto degli usi civici, pur provenendo dal mondo feudale, ancora ai nostri giorni rappresenta un valido ausilio per tutelare l’ambiente nella sua globalità e al contempo un mezzo che consente di rilanciare le attività produttive a livello agricolo, artigianale e turistico esaltando le tradizioni locali delle popolazioni che vivono nelle campagne, in collina e in montagna.

Evoluzione storica degli usi civici

L’espressione “uso civico” richiama alla memoria immagini tipiche della vita medievale e dell’ordinamento feudale.

Taluni studiosi fanno catapultare l’uso civico ai nostri giorni da epoche molto più remote attraverso il perdurare di consuetudini che affonderebbero le proprie radici addirittura nell’epoca del latifondo romano1.

A seguito della convergenza tra gli indirizzi giurisprudenziali e gli orientamenti dottrinari, gli usi civici sono stati definiti come diritti reali parziali su cosa altrui, spettanti a membri di collettività locali rappresentate dai Comuni o da altre persone giuridiche pubbliche come le università agrarie, che li esercitano in modo che ogni singolo membro della comunità possa trarne un utile2.

Tale definizione è indubbiamente eccellente, purtroppo la notevole sintesi impedisce di valutare altri profili essenziali dell’istituto giuridico di cui è indispensabile cogliere i caratteri costitutivi per meglio inquadrarlo nel contesto sociale e giuridico contemporaneo.

In epoca preunitaria, il mondo agricolo italiano conosceva una moltitudine di diritti di uso civico, ciascuno con finalità e regimi giuridici radicalmente differenti tra loro. Si pensi così all’eterogeneo diritto di legnatico (raccolta di legno per uso domestico, personale o per lavoro), di pascolo, di semina, di fungatico, di caccia, di pesca, di abeveraggio per il bestiame, di raccolta di ghiande e così via.

Una reductio ad unitatem del regime giuridico dei vari diritti civici venne operata soltanto con la Legge 16 giugno 1927, n. 1766. Attraverso la predetta disposizione legislativa è possibile individuare tre elementi comuni a ciascuno dei molteplici usi civici:

– l’esercizio di un diritto di godimento su un bene fondiario;

– la titolarità del diritto di godimento per una collettività stanziata su un determinato territorio;

– la fruizione di uno specifico diritto di godimento per soddisfare una serie di bisogni essenziali e primari da parte di singoli componenti di una determinata collettività.

Caratteristica del diritto di uso civico è che esso si può esercitare sia su beni privati, normalmente sulla base di antiche concessioni rilasciate dalla Chiesa di Roma o dall’Impero durante il periodo feudale, sia sui beni di proprietà dei Comuni sia su quelli delle università agrarie.

La dottrina recente tende a distinguere i precedenti casi, individuando nel primo, i diritti collettivi di uso di beni privati destinati ad essere liquidati sulla base delle disposizioni incardinate nella Legge 16 giugno 1927, n. 1766, rinvenendo nel secondo e nel terzo, una particolare forma di proprietà pubblica imputata ad una entità soggettiva non individuale bensì collettiva.

Pur non essendo mai stato compiuto un censimento sistematico ed organico sull’intero territorio nazionale, si può stimare tra due e tre milioni di ettari l’estensione globale di terreno interessato dagli usi civici.

Si tratta di aree amplissime che, non solo per la notevole estensione, ma anche per la loro particolare natura giuridica, possono contribuire ad una migliore regolamentazione dell’assetto urbanistico del territorio dando un essenziale contributo alla tutela dell’integrità ambientale attraverso la conservazione delle biodiversità e del paesaggio.

Le terre gravate da uso civico hanno goduto per secoli e anche ai nostri giorni continuano a godere di particolari tutele, che si concretizzano per l’indisponibilità sostanziale delle aree per finalità incompatibili con la loro conservazione3. Infatti, la Legge n. 1766 del 1927 ha imposto sui terreni di uso civico una serie di vincoli legali:

  1. l’inalienabilità che si traduce nella tutela dell’integrità della proprietà collettiva considerata di interesse pubblico;

  2. l’indivisibilità:

  3. l’inusucapibilità in coerenza con il principio di inalienabilità;

  4. la destinazione d’uso agro-silvo-pastorale;

  5. l’imprescrittibilità.

La funzione pubblica e sociale a cui la proprietà collettiva risponde oltre a contribuire alla conservazione della natura può offrire nuove possibilità per recuperare pratiche tradizionali nell’agricoltura, nell’allevamento del bestiame e nell’artigianato permettendo di avviare attività economiche anche nel settore turistico attraverso le aziende che si attrezzano per offrire ai turisti non solo la somministrazione di alimenti, ma anche l’ospitalità4.

1 R. Trifoni, Uso civico, in Trattato di diritto civile e commerciale, a cura di Cicu e Messineo, Milano, 1963.

2 Cass. Civile, sez. I, 5 febbraio 1988, n. 1256; Cass. Civile, sez. II, 2 febbraio 1962, n. 210; M. F. Marinelli, Usi civici e beni comuni, in Rassegna di diritto civile, 2013, 2, 406; A. Gnoli, I beni di uso civico nelle varie realtà giuridiche, in Nuova rassegna, legislazione, dottrina, giurisprudenza, 2007, 16, 1703; M.T. Sempreviva, Usi civici, in Urbanistica e appalti, 2006, 9, 1055; C. Alvisi, Usi civici, in Contratto e impresa, 2005, 2, 825.

3 Tar Campania, Salerno, sez. II, 25 marzo 2014, n. 610: l’utilizzo collettivo sui beni, proprio degli usi civici, rende quest’ultimi assimilabili ai beni pubblici in relazione al loro sostanziale assolvimento di interessi di carattere pubblicistico tra i quali la conservazione delle risorse ambientali in favore della collettività nazionale.

4 E. TOLINO, Impresa agricola (agriturismo) e turismo di lusso, in Diritto e giurisprudenza agraria, alimentare e dell’ambiente, 2016, 2; N. FERRUCCI, Architettura rurale, tra permanenze, recuperi e trasformazioni, in Diritto e giurisprudenza agraria, alimentare e dell’ambiente, 2010, 5, I, 296.