Consiglio di Stato, sez. VII, ordinanza 26 gennaio 2023, n. 906

Giudici onorari – Vice procuratori onorari – Status giuridico ed economico – Mancata indennità durante il periodo feriale di sospensione – Tutela previdenziale e assicurativa obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali – Proroga del rapporto di lavoro a tempo determinato – Rimessione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea – Testo integrale

 

Sono rimesse alla Corte di giustizia dell’UE alcune questioni pregiudiziali relative alla compatibilità della disciplina interna dello status giuridico ed economico dei giudici e vice procuratori onorari. Ciò sia in relazione alla direttiva n. 2003/88/CE, sia all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato (CES, CEEP e UNICE), avuto riguardo alla mancata previsione dell’indennità durante il periodo feriale di sospensione ed alla tutela previdenziale e assicurativa obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali, sia con riferimento alla questione più generale, alla legittimità o meno delle proroghe del rapporto a tempo determinato disposte dalla legislazione statale.

Testo integrale Consiglio di Stato, sez. VII, ordinanza 26 gennaio 2023, n. 906

Pubblicato il 26/01/2023

  1. 00906/2023 REG.PROV.COLL.
  2. 09999/2021 REG.RIC.           

REPUBBLICA ITALIANA

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 9999 del 2021, proposto dai signori Calogero Ingrillì, Gabriele Graziani, Silvia Trevia e Antonella Passalacqua, rappresentati e difesi dagli avvocati Gabriele Graziani e Calogero Ingrillì, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Calogero Ingrillì in Capo d’Orlando, via Alessandro Volta, 34;

 

contro

Ministero della giustizia, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, Sezione Prima, n. 9484/2021, resa tra le parti

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della giustizia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 novembre 2022 il Cons. Daniela Di Carlo;

Udito l’avvocato Calogero Ingrillì per la parte appellante;

Viste, altresì, le conclusioni dell’amministrazione appellata, come da verbale;

 

  1. LA MATERIA DEL CONTENDERE
  2. I ricorrenti, nelle loro rispettive qualità di vice procuratori onorari della Repubblica e di giudici onorari di Tribunale, hanno proposto il ricorso n. 3471/2016, dinanzi al TAR del Lazio, sede di Roma, per il riconoscimento:

– del diritto ad un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato alle dipendenze della Pubblica Amministrazione, Ministero della Giustizia, alle stesse condizioni economiche e giuridiche del magistrato di carriera, mediante stabilizzazione nei ruoli della magistratura professionale secondo la rispettiva anzianità di servizio;

– del diritto al pagamento della retribuzione pro-die proporzionata al parametro di riferimento di quella spettante al magistrato di ruolo dalla data di costituzione iniziale dei rapporti di magistrato onorario di ogni ricorrente sino alla conversione dei medesimi a tempo pieno e indeterminato;

– del diritto allo stesso trattamento assistenziale e previdenziale dei magistrati di ruolo, con la ricostruzione della carriera con tutti i benefici economici e normativi in base all’anzianità di servizio per il periodo pre ruolo in maniera integrale con interessi e rivalutazione economica;

– in subordine, il risarcimento del danno per abuso di proroghe per legge del rapporto di lavoro subordinato nella misura che sarà ritenuta di giustizia oltre a interessi e rivalutazione economica”.

  1. A sostegno delle loro pretese, i ricorrenti hanno rappresentato che:
  2. a) il dottor Calogero Ingrillì è stato nominato con delibera del C.S.M. del 13 dicembre 1994 e successivo D.M. Giustizia per il triennio 1995/97, vice procuratore onorario della Repubblica presso la Pretura Circondariale di Patti; è stato immesso in possesso delle funzioni il 27 gennaio 1995 e confermato per il triennio 1998/2000; è stato addetto di diritto ai sensi dell’art. 35, decreto legislativo 19 febbraio 1998 n. 51 e dell’art. 6, comma 3, D.M. Giustizia 7 luglio 1999 alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Patti per il triennio 2000/2003; è stato più volte prorogato nelle funzioni mediante disposizioni di legge (ai sensi dell’art. 2 D.L. 24 dicembre 2003 n. 354 convertito in L. 26 febbraio 2004 n. 45, dell’art. 18 D.L. 9 novembre 2004 n. 266 convertito in L. 27 dicembre 2004 n. 306, dell’art. 9 comma 2 bis D.L. 30 giugno 2005 n. 115 convertito in L. 17 agosto 2005 n. 168, dell’art. 14 D.L. 31 dicembre 2007 n. 248 convertito in L. 28 febbraio 2008 n. 31, dell’art. 1 D.L. 29 dicembre 2009 n. 193 convertito in L. 22 febbraio 2010 n. 24, dell’art. I D.L. 29 dicembre 2010 n. 225 convertito in L. 26 febbraio 2011 n. 10, dell’art. 15 D.L. 22 dicembre 2011 n. 212 convertito in L. 17 febbraio 2012 n. 10, dell’art. 1 comma 395 L. 24 dicembre 2012 n. 228, dell’art. 1 comma 290 L. 27 dicembre 2013 n. 147 e dell’art. 2 bis D.L. 30 dicembre 2013 n. 15 convertito in L. 27 febbraio 2014 n. 15); è stato trasferito, a domanda, ai sensi del decreto legislativo 19 febbraio 2014 n. 14 alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trento con delibera del C.S.M. del 10 novembre 2014 e successivo D.M. Giustizia datato 11 dicembre 2014 ed è stato immesso in possesso della sede il 9 gennaio 2015; è stato prorogato nelle funzioni ai sensi dell’art. l, comma 610, 1. 28 dicembre 2015 n. 208 sino al 31 maggio 2016; è tutt’oggi in servizio.

La durata complessiva della sua carriera, al tempo della proposizione del ricorso di primo grado, era pari a 21 anni e 2 mesi di servizio.

  1. b) Il dottor Gabriele Graziani è stato nominato con delibera del C.S.M. del 30 settembre 1998 per il triennio 1998/2000 vice procuratore onorario della Repubblica presso la. Pretura Circondariale di Verona; è stato immesso in possesso delle funzioni il 19 ottobre 1998, e confermato per il triennio 2001/2003; è stato addetto di diritto ai sensi dell’art. 35, decreto legislativo 19 febbraio 1998 n. 51 e dell’art. 6 comma 3 D.M. 7 luglio 1999 alla Procura della Repubblica il Tribunale di Verona per il triennio 2001/2003; è stato prorogato nelle funzioni ai sensi dell’art. 2 D.L. 24 dicembre 2003 n. 354 convertito in L. 26 febbraio 2004 n. 45, dell’art. 18 D.L. 9 novembre 2004 n. 266 convertito in L. 27 dicembre 2004 n. 306, dell’art. 9 comma 2 bis D.L. 30 giugno 2005 n. 115 convertito in L. 17 agosto 2005 n. 168, dell’art. 14 D.L. 31 dicembre 2007 n. 248 convertito in L. 28 febbraio 2008 n. 31; è stato nominato con D.M. del 3 settembre 2009 per il triennio 2009/2012 Giudice Onorario di Tribunale presso il Tribunale di Bologna — prima sezione penale; è stato immesso in possesso delle funzioni il 20 ottobre 2009, e confermato per il triennio 2013/2015; è stato trasferito, ai sensi del D.L.vo 19 febbraio 2014 n. 14, a domanda al Tribunale di Ferrara con delibera del C.S.M. del 16 luglio 2014 ed immesso in possesso il 13 novembre 2014; è stato prorogato nelle funzioni ai sensi dell’art. I comma 610, 1. 28dicembre 2015 n. 208 sino al 31 maggio 2016; è tutt’oggi in servizio.

La durata complessiva della sua carriera, al tempo della proposizione del ricorso di primo grado, era pari a 17 anni e 6 mesi di servizio.

  1. c) La dottoressa Silvia Trevia è stata nominata vice pretore onorario della Pretura Circondariale di Imperia a seguito delibera del C.S.M. e successivo D.M. Giustizia, svolgendo le funzioni dal 30 marzo 1998 al 2 giugno 1999; dalla suddetta data ha esercitato le funzioni di giudice onorario del Tribunale di Imperia ed è a tutt’oggi in servizio.

La durata complessiva della sua carriera, al tempo della proposizione del ricorso di primo grado, era pari a 18 anni di servizio.

  1. d) La dottoressa Antonella Passalacqua è stata nominata vice procuratore onorario della Repubblica presso il Tribunale di Ancona con delibera del C.S.M. e successivo D.M. Giustizia ed ha esercitato le funzioni dal giorno l° dicembre 1998 al 18 maggio 2005; è stata nominata giudice onorario del Tribunale di Ancona con delibera del C.S.M. in data 23 marzo 2005 e successivo D.M. Giustizia ed è stata immessa nelle funzioni il 18 maggio 2005; è a tutt’oggi in servizio.

La durata complessiva della sua carriera, al tempo della proposizione del ricorso di primo grado, era pari a 17 anni e 4 mesi di servizio.

  1. I ricorrenti hanno rappresentato, inoltre, che, tenuto conto del proprio stato di servizio, la normativa nazionale dello Stato Italiano che ratione temporisli riguarda è contenuta agli articoli 4, da 42-bis a 42-septies, 43-bis, 71, 71-bis e 72, del Regio Decreto n. 12 del 1941, mentre non rileva la nuova disciplina recata dal decreto legislativo 13 luglio 2017, n. 116, in attuazione della legge delega 28 aprile 2016, n. 57, sebbene per la gran parte abrogativa delle predette disposizioni, in quanto il ricorso di primo grado è stato depositato prima della entrata in vigore della novella legislativa (precisamente, il ricorso è stato depositato in data 23 marzo 2016).

Secondo i ricorrenti, la predetta normativa interna violerebbe il diritto dell’Unione, e precisamente:

a) la direttiva 1999/70/CE sul lavoro a tempo determinato del 18 marzo 1999 in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999;

  1. b) la clausola 2, punto 1 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato del 18 marzo 1999 in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999;
  2. c) la clausola 5, punto 1 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato del 18 marzo 1999, in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999;
  3. d) la clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato del 18 marzo 1999, in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999;
  4. e) la direttiva 2003/88/CE;
  5. f) il punto 5 della Carta Comunitaria dei Diritti Sociali Fondamentali Dei Lavoratori (Strasburgo 9/12/1989);
  6. g) la Raccomandazione CM/Racc. (2010) 12 del Comitato dei Ministri agli Stati membri”.
  7. I soli ricorrenti Calogero Ingrillì e Gabriele Graziani hanno depositato, inoltre, le denunce dai medesimi presentate presso la Commissione europea nell’anno 2015, con le quali chiedevano di verificare la compatibilità della situazione giuridica ed economica dei magistrati onorari rispetto alla normativa europea, e le lettere di risposta della Commissione Europea, con le quali si comunicava loro che “la normativa e la prassi nazionale riguardante i magistrati onorari solleva una questione di compatibilità con le clausole 4 e 5 dell’accordo quadro allegato alla direttiva sul lavoro a tempo parziale e con il diritto alle ferie annuali retribuite di cui all’art. 7 della direttiva sull’orario di lavoro e che la denuncia è stata pertanto trasferita, con il riferimento 7779/15/EMPL al sistema EU-PILOT per decidere se siano necessarie ulteriori misure”.
  8. Con la sentenza impugnata, il Tar del Lazio, Roma, ha respinto tutte le domande proposte e, su rilievo officioso, ha dichiarato il difetto di giurisdizione sulla domanda riguardante l’equiparazione di status, laddove intesa come finalizzata a costituire ex novo un rapporto di pubblico impiego alle dipendenze della Pubblica Amministrazione.
  9. Gli appellanti hanno censurato la correttezza del ragionamento logico-giuridico seguito dal primo giudice ed hanno sostenuto che lo stesso avrebbe travisato l’oggetto delle domande proposte, in quanto, per un verso, essi non avrebbero reclamato il riconoscimento della qualifica di magistrato ordinario, in quanto già lo sarebbero, magistrati ordinari, per il fatto di appartenere all’ordine giudiziario ai sensi dell’art. 4, comma 2, R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, e degli artt. 102 e 106 Cost.: sotto questo profilo, gli appellanti hanno rappresentato, piuttosto, di essersi limitati a chiedere l’equiparazione del proprio trattamento economico e giuridico a quello riconosciuto al magistrato ordinario professionale; per un altro verso, invece, essi non avrebbero neppure domandato al giudice di emettere una sentenza di condanna con effetto costitutivo, ex novo, di un rapporto di impiego alle dipendenze della Pubblica Amministrazione, avendo solamente reclamato la propria stabilizzazione, in mancanza di altra specifica sanzione, per avere sofferto gli effetti pregiudizievoli derivanti dalla abusiva e reiterata proroga dei decreti di nomina, attraverso leggi dello Stato.

Di conseguenza, secondo gli appellanti, il primo giudice avrebbe errato sia nel respingere il ricorso, sia nel denegare la propria giurisdizione sulla domanda giudiziale riqualificata ex officio, e sia nel ritenere non sussistenti, per difetto di rilevanza, i presupposti del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia.

  1. Il Ministero della giustizia ha resistito al gravame e ne ha chiesto la reiezione.
  2. Le parti hanno ulteriormente insistito sulle rispettive tesi difensive.
  3. All’udienza pubblica del 22 novembre 2022, la causa è stata trattenuta in decisione.
  4. DIRITTO DELL’UNIONE

Direttiva 1999/70

  1. Il Considerando 17 è formulato come segue:

«per quanto riguarda i termini utilizzati nell’accordo quadro la presente direttiva, senza definirli precisamente, lascia agli Stati membri il compito di provvedere alla loro definizione secondo la legislazione e/o la prassi nazionale, come per altre direttive adottate nel settore sociale che utilizzano termini simili, purché dette definizioni rispettino il contenuto dell’accordo quadro».

  1. L’articolo 1 prevede che «Scopo della presente direttiva è attuare l’accordo quadro sui contratti a tempo determinato, che figura nell’allegato, concluso il 18 marzo 1999 fra le organizzazioni intercategoriali a carattere generale (CES, CEEP e UNICE)».

Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato

  1. La clausola 1 “Obiettivo” enuncia quanto segue:

«L’obiettivo del presente accordo quadro è:

  1. a) migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione;
  2. b) creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato».
  3. La clausola 2 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, intitolata «Campo d’applicazione», così prevede:

«1. Il presente accordo si applica ai lavoratori a tempo determinato con un contratto di assunzione o un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi in vigore di ciascuno Stato membro.

(…)».

  1. La clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, intitolata «Principio di non discriminazione», è del seguente tenore:

«1. Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive.

  1. Se del caso, si applicherà il principio del pro rata temporis.

(…)».

  1. La clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, intitolata «Misure di prevenzione degli abusi», è così formulata:

«1. Per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a:

  1. a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti;
  2. b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi;
  3. c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti.
  4. Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali, e/o le parti sociali stesse dovranno, se del caso, stabilire a quali condizioni i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato:
  5. a) devono essere considerati “successivi”;
  6. b) devono essere ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminato».

Direttiva 2003/88

  1. L’articolo 1 “Oggetto e campo di applicazione” concerne taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro ed enuncia quanto segue:

«1. La presente direttiva stabilisce prescrizioni minime di sicurezza e di salute in materia di organizzazione dell’orario di lavoro.

  1. La presente direttiva si applica:
  2. a) ai periodi minimi di riposo giornaliero, riposo settimanale e ferie annuali nonché alla pausa ed alla durata massima settimanale del lavoro; e
  3. b) a taluni aspetti del lavoro notturno, del lavoro a turni e del ritmo di lavoro.
  4. La presente direttiva si applica a tutti i settori di attività, privati e pubblici, ai sensi dell’articolo 2 della direttiva 89/391/CEE, fermi restando gli articoli 14, 17, 18 e 19 della presente direttiva.

(…)».

III. DIRITTO ITALIANO

La Costituzione

  1. L’art. 102 prevede che “La funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario.

Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali. Possono soltanto istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura.

(…)”.

  1. L’art. 106 prevede che:

«Le nomine dei magistrati hanno luogo per concorso.

La legge sull’ordinamento giudiziario può ammettere la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli.

(…)».

Il Regio Decreto 30 gennaio 1941, n. 12

  1. L’art. 4, comma 1 enuncia quanto segue:

“L’ordine giudiziario è costituito dagli uditori, dai giudici di ogni grado dei tribunali e delle corti e dai magistrati del pubblico ministero.

Appartengono all’ordine giudiziario come magistrati onorari i giudici conciliatori, i vice conciliatori, i giudici onorari di tribunale, i vice procuratori, gli esperti del tribunale ordinario e della sezione di corte di appello per i minorenni e, inoltre, gli assessori della corte di cassazione e gli esperti della magistratura del lavoro nell’esercizio delle loro funzioni giudiziarie.

Il personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie di ogni gruppo e grado fa parte dell’ordine giudiziario.

Gli ufficiali giudiziari sono ausiliari dell’ordine giudiziario.”.

  1. L’art. 42-bis prevede che “Il tribunale ordinario è diretto dal presidente del tribunale e ad esso sono addetti più giudici. Al tribunale ordinario possono essere addetti uno o più presidenti di sezione.

Al tribunale ordinario possono essere addetti giudici onorari.”.

  1. L’art. 42-ter enuncia che “I giudici onorari di tribunale sono nominati con decreto del Ministro della giustizia, in conformità della deliberazione del Consiglio superiore della magistratura, su proposta del consiglio giudiziario competente per territorio nella composizione prevista dall’articolo 4, comma 1, della legge 21 novembre 1991, n. 374.”.
  2. L’art. 42-quater prevede che “… Gli avvocati ed i praticanti ammessi al patrocinio non possono esercitare la professione forense dinanzi agli uffici giudiziari compresi nel circondario del tribunale presso il quale svolgono le funzioni di giudice onorario e non possono rappresentare o difendere le parti, nelle fasi successive, in procedimenti svoltisi dinanzi ai medesimi uffici.”.
  3. L’art. 42-quinquies prevede che “La nomina a giudice onorario di tribunale ha la durata di tre anni. Il titolare può essere confermato, alla scadenza, per una sola volta”. La previsione è stata derogata nei seguenti casi: articolo 9, comma 2-bis, del D.L. 30 giugno 2005, n. 115, convertito con modificazioni dalla Legge 17 agosto 2005, n. 168; articolo 1, comma 395, della Legge 24 dicembre 2012, n. 228; articolo 1, comma 290, della Legge 27 dicembre 2013, n. 147; articolo 1, comma 610, della Legge 28 dicembre 2015, n. 208.
  4. L’art. 42-sexies prevede che “Il giudice onorario di tribunale cessa dall’ufficio:
  5. a) per compimento del settantaduesimo anno di età;
  6. b) per scadenza del termine di durata della nomina o della conferma;

(…).

  1. L’art. 42-septies prevede che “Il giudice onorario di tribunale è tenuto all’osservanza dei doveri previsti per i magistrati ordinari, in quanto compatibili.

Al giudice onorario competono esclusivamente le indennità e gli altri diritti espressamente attribuiti dalla legge con specifico riferimento al rapporto di servizio onorario.”.

  1. L’art. 43-bis prevede che “I giudici ordinari ed onorari svolgono presso il tribunale ordinario il lavoro giudiziario loro assegnato dal presidente del tribunale o, se il tribunale è costituito in sezioni, dal presidente o altro magistrato che dirige la sezione.

I giudici onorari di tribunale non possono tenere udienza se non nei casi di impedimento o di mancanza dei giudici ordinari.

Nell’assegnazione prevista dal primo comma, è seguito il criterio di non affidare ai giudici onorari:

  1. a) nella materia civile, la trattazione di procedimenti cautelari e possessori, fatta eccezione per le domande proposte nel corso della causa di merito o del giudizio petitorio;
  2. b) nella materia penale, le funzioni di giudice per le indagini preliminari e di giudice dell’udienza preliminare, nonché la trattazione di procedimenti diversi da quelli previsti dall’ art. 550 del codice di procedura penale”.
  3. L’art. 71 prevede che “Alle procure della Repubblica presso i tribunali ordinari possono essere addetti magistrati onorari in qualità di vice procuratori per l’espletamento delle funzioni indicate nell’art. 72 e delle altre ad essi specificamente attribuite dalla legge.

I vice procuratori onorari sono nominati con le modalità previste per la nomina dei giudici onorari di tribunale. Ad essi si applicano le disposizioni di cui agli articoli 42- ter , 42- quater , 42- quinquies e 42- sexies”.

  1. L’art. 71-bis dispone che “Il procuratore della Repubblica può stabilire che determinati vice procuratori onorari addetti al suo ufficio esercitino le funzioni del pubblico ministero soltanto presso la sede principale del tribunale o presso una o più sezioni distaccate, ovvero presso la sede principale e una o più sezioni distaccate.

In tal caso, per i vice procuratori onorari che esercitano la professione forense l’incompatibilità di cui all’articolo 42-quater, secondo comma, è riferita unicamente all’ufficio o agli uffici presso i quali sono svolte le funzioni.”.

  1. L’art. 72 prevede che “Nei procedimenti sui quali il tribunale giudica in composizione monocratica, le funzioni del pubblico ministero possono essere svolte, per delega nominativa del procuratore della Repubblica presso il tribunale ordinario:
  2. a) nell’udienza dibattimentale, da uditori giudiziari, da vice procuratori onorari addetti all’ufficio, da personale in quiescenza da non più di due anni che nei cinque anni precedenti abbia svolto le funzioni di ufficiale di polizia giudiziaria, o da laureati in giurisprudenza che frequentano il secondo anno della scuola biennale di specializzazione per le professioni legali di cui all’ articolo 16 del decreto legislativo 17 novembre 1997, n. 398;
  3. b) nell’udienza di convalida dell’arresto o del fermo, da uditori giudiziari che abbiano compiuto un periodo di tirocinio di almeno sei mesi, nonché, limitatamente alla convalida dell’arresto nel giudizio direttissimo, da vice procuratori onorari addetti all’ufficio in servizio da almeno sei mesi;
  4. c) per la richiesta di emissione del decreto penale di condanna ai sensi degli articoli 459, comma 1, e 565 del codice di procedura penale, da vice procuratori onorari addetti all’ufficio;
  5. d) nei procedimenti in camera di consiglio di cui all’art. 127 del codice di procedura penale, salvo quanto previsto dalla lettera b), nei procedimenti di esecuzione ai fini dell’intervento di cui all’art. 655, comma 2, del medesimo codice, e nei procedimenti di opposizione al decreto del pubblico ministero di liquidazione del compenso ai periti, consulenti tecnici e traduttori ai sensi dell’art. 11 della legge 8 luglio 1980, n. 319, da vice procuratori onorari addetti all’ufficio;
  6. e) nei procedimenti civili, da uditori giudiziari, da vice procuratori onorari addetti all’ufficio o dai laureati in giurisprudenza di cui alla lettera a).

La delega è conferita in relazione ad una determinata udienza o a un singolo procedimento. Nella materia penale, essa è revocabile nei soli casi in cui il codice di procedura penale prevede la sostituzione del pubblico ministero.

Nella materia penale, è seguito altresì il criterio di non delegare le funzioni del pubblico ministero in relazione a procedimenti relativi a reati diversi da quelli per cui si procede con citazione diretta a giudizio secondo quanto previsto dall’art. 550 del codice di procedura penale”.

Decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 273

“Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 449, recante norme per l’adeguamento dell’ordinamento giudiziario al nuovo processo penale ed a quello a carico degli imputati minorenni”

  1. L’art. 4 enuncia quanto segue:

“1. Ai giudici onorari di tribunale spetta un’indennità di euro 98 per le attività di udienza svolte nello stesso giorno.

1-bis. Ai giudici onorari di tribunale spetta un’ulteriore indennità di euro 98 ove il complessivo impegno lavorativo per le attività di cui al comma 1 superi le cinque ore.

  1. Ai vice procuratori onorari spetta un’indennità giornaliera di euro 98 per l’espletamento delle seguenti attività, anche se svolte cumulativamente:
  2. a) partecipazione ad una o più udienze in relazione alle quali è conferita la delega;
  3. b) ogni altra attività, diversa da quella di cui alla lettera a), delegabile a norma delle vigenti disposizioni di legge.

2-bis. Ai vice procuratori onorari spetta un’ulteriore indennità di euro 98 ove il complessivo impegno lavorativo necessario per lo svolgimento di una o più attività di cui al comma 2 superi le cinque ore giornaliere.

2-ter. Ai fini dell’applicazione dei commi 1-bis e 2-bis, la durata delle udienze è rilevata dai rispettivi verbali e la durata della permanenza in ufficio per l’espletamento delle attività di cui al comma 2, lettera b), è rilevata dal procuratore della Repubblica.

  1. L’ammontare delle indennità previste dai commi 1 e 2 può essere adeguato ogni tre anni, con decreto emanato dal ministro di grazia e giustizia di concerto con il ministro del tesoro, in relazione alla variazione, accertata dall’ISTAT, dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, verificatasi nel triennio precedente.

(…)”.

Decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n. 487

Norme sull’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi

  1. L’art. 1, comma 1, “Modalità di accesso”, prevede che:

“1. L’assunzione agli impieghi nelle amministrazioni pubbliche avviene:

  1. a) per concorso pubblico aperto a tutti per esami, per titoli, per titoli ed esami, per corso-concorso o per selezione mediante lo svolgimento di prove volte all’accertamento della professionalità richiesta dal profilo professionale di qualifica o categoria, avvalendosi anche di sistemi automatizzati;

(…)”.

Decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165

  1. L’art. 36, comma 5, “Personale a tempo determinato o assunto con forme di lavoro flessibile”, enuncia quanto segue:

“5. In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative. Le amministrazioni hanno l’obbligo di recuperare le somme pagate a tale titolo nei confronti dei dirigenti responsabili, qualora la violazione sia dovuta a dolo o colpa grave. I dirigenti che operano in violazione delle disposizioni del presente articolo sono responsabili anche ai sensi dell’articolo 21 del presente decreto. Di tali violazioni si terra’ conto in sede di valutazione dell’operato del dirigente ai sensi dell’articolo 5 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286.”.

  1. LE PRONUNCE DELLA CORTE DI GIUSTIZIA
  2. Nella sua sentenza del 7 aprile 2022 (C-236/2020), concernente lo status giuridico ed economico dei giudici di pace italiani, la Corte ha enunciato una serie di principi fondamentali, mutuati anche dalla sua precedente sentenza del 16 luglio 2020 (C-658/18) sulla responsabilità dello Stato italiano per il mancato riconoscimento di ferie retribuite in favore dei giudici di pace, che debbono ritenersi applicabili anche al caso all’esame, in considerazione della comune natura onoraria dei servizi svolti: nei casi decisi si trattava di giudici onorari preposti all’ufficio del giudice di pace, nel caso di specie si tratta di giudici onorari di Tribunale e di viceprocuratori onorari della Repubblica.
  3. La Corte ha affermato che la nozione di «lavoratore a tempo determinato», di cui alla clausola 2, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che essa include un giudice di pace, nominato per un periodo limitato, il quale, nell’ambito delle sue funzioni, svolge prestazioni reali ed effettive, che non sono né puramente marginali né accessorie, e per le quali percepisce indennità aventi carattere remunerativo, circostanza che spetta tuttavia al giudice del rinvio verificare.
  4. Inoltre, secondo la Corte, la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato vieta che, per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato siano trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di svolgere un’attività in forza di un contratto a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive [sentenza del 16 luglio 2020, C-658/18, EU:C:2020:572, punto 136].
  5. La Corte ha riaffermato, inoltre, che la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato mira a dare applicazione al principio di non discriminazione nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, al fine di impedire che un rapporto di lavoro di tale natura venga utilizzato da un datore di lavoro per privare questi lavoratori di diritti riconosciuti ai lavoratori a tempo indeterminato [sentenza del 16 luglio 2020, C-658/18, EU:C:2020:572, punto 137].
  6. Per quanto riguarda le «condizioni di impiego» di cui alla clausola 4 del medesimo accordo quadro, la Corte ha ribadito che tali condizioni includono le condizioni relative alle retribuzioni nonché alle pensioni dipendenti dal rapporto di lavoro, ad esclusione delle condizioni relative alle pensioni derivanti da un regime legale di previdenza sociale (sentenza del 15 aprile 2008, C-268/06, EU:C:2008:223, punto 134), circostanza che anche in questo caso spetta al giudice del rinvio valutare.
  7. Peraltro, poiché le suddette «condizioni di impiego», ai sensi della clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, coprono gli elementi costitutivi della retribuzione, ivi compreso il livello di tali elementi, il diritto alle ferie annuali retribuite, nonché le condizioni relative alle pensioni di vecchiaia che dipendono dal rapporto di lavoro, spetta al giudice del rinvio accertare se, tenuto conto di un insieme di fattori, quali la natura del lavoro, le condizioni di formazione e le condizioni di impiego, l’attività giurisdizionale del giudice onorario sia comparabile a quella di un magistrato ordinario [sentenza del 16 luglio 2020, C-658/18, EU:C:2020:572, punti da 143 a 147].
  8. La Corte ne ha concluso che, solo qualora sia accertato che un giudice di pace si trova, sotto il profilo della clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, in una situazione comparabile a quella dei magistrati ordinari, occorre poi ancora verificare se esista una ragione oggettiva che giustifichi l’esistenza di una differenza di trattamento.
  9. A tale riguardo occorre ricordare, ha aggiunto la Corte, che, secondo una giurisprudenza costante, la nozione di «ragioni oggettive» ai sensi della clausola 4, punto 1, di detto accordo quadro dev’essere intesa nel senso che essa non consente di giustificare una differenza di trattamento tra i lavoratori a tempo determinato e i lavoratori a tempo indeterminato con il fatto che tale differenza è prevista da una norma generale o astratta, quale una legge o un contratto collettivo [sentenza del 16 luglio 2020, C-658/18, EU:C:2020:572, punto 150 e giurisprudenza ivi citata].
  10. Piuttosto, detta nozione richiede, secondo una giurisprudenza parimenti costante, che la disparità di trattamento constatata sia giustificata dalla sussistenza di elementi precisi e concreti che contraddistinguono la condizione di impiego di cui trattasi, nel particolare contesto in cui s’inscrive e in base a criteri oggettivi e trasparenti, al fine di verificare se tale disparità risponda ad una reale necessità, sia idonea a conseguire l’obiettivo perseguito e risulti a tal fine necessaria. Tali elementi possono risultare, segnatamente, dalla particolare natura delle funzioni per l’espletamento delle quali sono stati conclusi contratti a tempo determinato e dalle caratteristiche inerenti a queste ultime o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro [sentenza del 16 luglio 2020, C-658/18, EU:C:2020:572, punto 151].
  11. La Corte ha dichiarato, al punto 156 della menzionata sentenza del 16 luglio 2020, per quanto riguarda la giustificazione relativa all’esistenza di un concorso iniziale specificamente concepito per i magistrati ordinari ai fini dell’accesso alla magistratura, concorso che non è richiesto ai fini della nomina dei giudici di pace, che, tenuto conto del margine di discrezionalità di cui dispongono gli Stati membri quanto all’organizzazione delle loro amministrazioni pubbliche, essi possono, in linea di principio, senza violare la direttiva 1999/70 o l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, stabilire condizioni di accesso alla magistratura, nonché condizioni di impiego applicabili sia ai magistrati ordinari che ai giudici di pace.
  12. Tuttavia, nonostante tale margine di discrezionalità, l’applicazione dei criteri che gli Stati membri stabiliscono deve essere effettuata in modo trasparente e deve poter essere controllata al fine di impedire qualsiasi trattamento sfavorevole dei lavoratori a tempo determinato sulla sola base della durata dei contratti o dei rapporti di lavoro che giustificano la loro anzianità e la loro esperienza professionale [sentenza del 16 luglio 2020, C-658/18, EU:C:2020:572, punto 157].
  13. A tale riguardo, ha aggiunto la Corte, occorre considerare che talune differenze di trattamento tra lavoratori a tempo indeterminato assunti al termine di un concorso e lavoratori a tempo determinato assunti all’esito di una procedura diversa da quella prevista per i lavoratori a tempo indeterminato possono, in linea di principio, essere giustificate dalle diverse qualifiche richieste e dalla natura delle mansioni di cui devono assumere la responsabilità [sentenza del 16 luglio 2020, C-658/18, EU:C:2020:572, punti 158 e 159].
  14. La Corte ha quindi ritenuto che gli obiettivi invocati dal governo italiano consistenti nel mettere in luce le differenze nell’attività lavorativa tra un giudice di pace e un magistrato ordinario possano essere considerati come configuranti una «ragione oggettiva», ai sensi della clausola 4, punti 1 o 4, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, nei limiti in cui essi rispondano a una reale necessità, siano idonei a conseguire l’obiettivo perseguito e siano necessari a tal fine [sentenza del 16 luglio 2020, C-658/18, UE:C:2020:572, punto 160].
  15. A questo proposito, la Corte ha considerato che le differenze tra le procedure di assunzione dei giudici di pace e dei magistrati ordinari e, segnatamente, la particolare importanza attribuita dall’ordinamento giuridico nazionale, e più specificamente dall’articolo 106, paragrafo 1, della Costituzione italiana, ai concorsi appositamente concepiti per l’assunzione dei magistrati ordinari, sembrano indicare una particolare natura delle mansioni di cui questi ultimi devono assumere la responsabilità e un diverso livello delle qualifiche richieste ai fini dell’assolvimento di tali mansioni. 47. In ogni caso, spetta al giudice del rinvio valutare, a tal fine, gli elementi qualitativi e quantitativi disponibili riguardanti le funzioni svolte dai giudici di pace e dai magistrati professionali, i vincoli di orario e le sanzioni cui sono soggetti nonché, in generale, l’insieme delle circostanze e dei fatti pertinenti [v., in tal senso, sentenza del 16 luglio 2020, C-658/18, EU:C:2020:572, punto 161].
  16. Discende quindi da tale giurisprudenza che l’esistenza di un concorso iniziale specificamente concepito per i magistrati ordinari ai fini dell’accesso alla magistratura, che invece non vale per la nomina dei giudici di pace, consente di escludere che questi ultimi beneficino integralmente dei diritti dei magistrati ordinari.
  17. Ciò non significa tuttavia affermare, argomenta ancora la Corte, che, fatte salve le verifiche di competenza esclusiva del giudice nazionale, i giudici di pace debbano o possano essere necessariamente esclusi da ogni diritto alle ferie retribuite, nonché da ogni forma di tutela di tipo assistenziale e previdenziale. In altre parole, una simile lettura della clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato sarebbe inammissibile.
  18. Per quanto riguarda, in particolare, il diritto alle ferie, la Corte ha ricordato che, conformemente all’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88, «gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici di ferie annuali retribuite di almeno 4 settimane».

Inoltre, dal tenore della direttiva 2003/88 e dalla giurisprudenza della Corte emerge che, se è vero che spetta agli Stati membri definire le condizioni di esercizio e di attuazione del diritto alle ferie annuali retribuite, essi devono, però, astenersi dal subordinare a una qualsivoglia condizione la costituzione stessa di tale diritto, il quale scaturisce direttamente dalla suddetta direttiva (sentenza del 25 giugno 2020, Varhoven kasatsionen sad na Republika Bulgaria e Iccrea Banca, C-762/18 e C-37/19, EU:C:2020:504, punto 56 nonché giurisprudenza ivi citata).

  1. Sulla scorta delle considerazioni che precedono, la Corte ha dunque risposto al quesito nel senso che segue: l’articolo 7 della direttiva 2003/88 e la clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che non prevede, per il giudice di pace, alcun diritto a beneficiare di ferie annuali retribuite di 30 giorni né di un regime assistenziale e previdenziale che dipende dal rapporto di lavoro, come quello previsto per i magistrati ordinari, se tale giudice di pace rientra nella nozione di «lavoratore a tempo determinato» ai sensi dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, e si trova in una situazione comparabile a quella di un magistrato ordinario.
  2. La Corte si è pronunciata, inoltre, sulla clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, ovvero se la stessa debba essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale in forza della quale un rapporto di lavoro a tempo determinato può essere oggetto, al massimo, di tre rinnovi successivi, ciascuno di quattro anni, per una durata totale non superiore a sedici anni, e che non prevede la possibilità di sanzionare in modo effettivo e dissuasivo il rinnovo abusivo di rapporti di lavoro.
  3. In primo luogo, ha ricordato la Corte, la clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato prevede che gli Stati membri adottino misure relative al numero di rinnovi dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi e/o alla durata massima totale di tali contratti o rapporti di lavoro.

Nel caso esaminato la Corte aveva constatato che la normativa italiana applicabile alla controversia principale prevedeva effettivamente un limite al numero di rinnovi successivi, nonché alla durata massima di tali contratti a tempo determinato.

A tale riguardo, ha aggiunto, secondo una costante giurisprudenza, sebbene gli Stati membri dispongano di un margine di discrezionalità quanto alle misure di prevenzione degli abusi, essi non possono tuttavia rimettere in discussione l’obiettivo o l’effetto utile dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato [sentenza dell’11 febbraio 2021, C-760/18, EU:C:2021:113, punto 56].

  1. In secondo luogo, secondo la Corte, occorre esaminare se la sanzione di un eventuale abuso soddisfi i requisiti posti dalla clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, nell’ipotesi in cui la normativa italiana non consenta la trasformazione del rapporto di lavoro in un contratto a tempo indeterminato.

Sulla base di una giurisprudenza costante, la Corte ha fugato il dubbio circa il fatto che la clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato sancisca un obbligo per gli Stati membri di prevedere la trasformazione in contratto a tempo indeterminato dei contratti a tempo determinato (ordinanza del 12 dicembre 2013, C-50/13, non pubblicata, EU:C:2013:873, punto 16), ovvero che debba prevedere sanzioni specifiche nell’ipotesi in cui siano stati constatati abusi [sentenza dell’11 febbraio 2021, C-760/18, EU:C:2021:113, punto 57].

  1. Spetta quindi alle autorità nazionali, ha concluso la Corte, adottare misure proporzionate, effettive e dissuasive per garantire la piena efficacia delle norme adottate in applicazione dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, le quali possono prevedere, a tal fine, la trasformazione di contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato. Tuttavia, quando si sia verificato un ricorso abusivo a una successione di rapporti di lavoro a tempo determinato, deve potersi applicare una misura al fine di sanzionare debitamente tale abuso e rimuovere le conseguenze della violazione [sentenza dell’11 febbraio 2021, C-760/18, EU:C:2021:113, punti da 57 a 59].
  2. Affinché una normativa nazionale, come quella controversa nel procedimento principale, che vieta, nel solo settore pubblico, la trasformazione in contratto di lavoro a tempo indeterminato di una successione di contratti a tempo determinato, possa essere considerata conforme all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, l’ordinamento giuridico interno dello Stato membro interessato deve prevedere, in tale settore, un’altra misura effettiva destinata ad evitare e, se del caso, a sanzionare l’utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato (sentenza del 7 marzo 2018, C-494/16, EU:C:2018:166, punto 34 e giurisprudenza ivi citata).
  3. Anche l’accertamento di questa circostanza, secondo la Corte, rientra nella valutazione del giudice del rinvio, non spettando alla Corte pronunciarsi sull’interpretazione delle disposizioni di diritto interno rilevanti per prevenire e, se del caso, sanzionare l’utilizzo abusivo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato [sentenza dell’11 febbraio 2021, C-760/18, EU:C:2021:113, punto 61].
  4. Nel caso esaminato, la Corte ha rilevato come non vi fosse, nell’ordinamento giuridico italiano, alcuna disposizione che consentisse di sanzionare in modo effettivo e dissuasivo il rinnovo abusivo di rapporti di lavoro a tempo determinato ai sensi della clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato.

Per questa ragione, la Corte ha dichiarato che la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale in forza della quale un rapporto di lavoro a tempo determinato può essere oggetto, al massimo, di tre rinnovi successivi, ciascuno di quattro anni, per una durata totale non superiore a sedici anni, se la medesima normativa non prevede la possibilità di sanzionare in modo effettivo e dissuasivo il rinnovo abusivo di rapporti di lavoro.

  1. IL RINVIO PREGIUDIZIALE
  2. Secondo l’indirizzo esegetico consolidato nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, “nell’ambito della cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali, la necessità di pervenire a un’interpretazione del diritto dell’Unione che sia utile per il giudice nazionale impone che quest’ultimo rispetti scrupolosamente i requisiti relativi al contenuto di una domanda di pronuncia pregiudiziale, indicati in maniera esplicita all’articolo 94 del regolamento di procedura (ordinanza del 1° luglio 2021, Tolnatext, C-636/20, EU:C:2021:538, punto 18 e giurisprudenza ivi citata).
  3. Ai sensi di tale disposizione, la domanda di pronuncia pregiudiziale deve contenere, in primo luogo, un’illustrazione sommaria dell’oggetto della controversia nonché dei fatti rilevanti, quali accertati dal giudice del rinvio o, quanto meno, un’illustrazione delle circostanze di fatto sulle quali si basano le questioni, in secondo luogo, il contenuto delle norme nazionali applicabili alla fattispecie e, se del caso, la giurisprudenza nazionale in materia e, in terzo luogo, l’illustrazione dei motivi che hanno indotto il giudice del rinvio a interrogarsi sull’interpretazione o sulla validità di determinate disposizioni del diritto dell’Unione, nonché il collegamento che esso stabilisce tra dette disposizioni e la normativa nazionale applicabile al procedimento principale” (Corte di Giustizia, sentenza n. 437/2022).
  4. A questo proposito, è rilevante segnalare che, per il diritto interno, come interpretato ed applicato dalla Pubblica Amministrazione e dagli organi giurisdizionali, la posizione giuridico-economica dei magistrati professionali non si presta ad un’estensione automatica nei confronti dei magistrati onorari, tramite evocazione del principio di eguaglianza, in quanto gli uni esercitano le funzioni giurisdizionali in via esclusiva e gli altri solo in via concorrente.

Inoltre, la funzione di giudice onorario ha natura inderogabilmente temporanea, si svolge in modo da assicurare la compatibilità con lo svolgimento di diverse attività lavorative o professionali, e non determina un rapporto di pubblico impiego.

Enunciata a proposito del trattamento economico dei componenti delle commissioni tributarie (ordinanza n. 272 del 1999) e per quello dei vice pretori onorari (ordinanza n. 479 del 2000), l’affermazione è stata ripetuta dalla Corte costituzionale anche per i giudici di pace, sia in tema di cause di incompatibilità professionale (sentenza n. 60 del 2006), sia in ordine alla competenza per il contenzioso sulle spettanze economiche (ordinanza n. 174 del 2012), sia in tema di rimborso delle spese legali (sentenza n. 267/2020).

L’indirizzo esegetico in commento è seguito in modo costante anche dalla giurisprudenza civile di legittimità, pronunciatasi su casi riguardanti i giudici di pace, ma con la formulazione di principi di diritto applicabili a tutti i magistrati onorari in considerazione della natura, appunto onoraria, dell’attività svolta, irrilevante essendo l’ufficio presso il quale il servizio è prestato (Giudice di pace, Tribunale, Procura della Repubblica).

Iniziando dalla giurisprudenza più recente, Cassazione civile sez. lav., sentenza 5 giugno 2020, n. 10774, richiama integralmente Cassazione civile sez. lav., sentenza 9 settembre 2016, n. 17862 ed enuncia il principio secondo cui “È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale delle norme che disciplinano la posizione del giudice di pace, in relazione agli artt. 3, 36 e 97 Cost., non essendo quest’ultimo equiparabile ad un pubblico dipendente, né ad un lavoratore parasubordinato, in quanto la categoria dei funzionari onorari, della quale fa parte, presuppone un rapporto di servizio volontario, con attribuzione di funzioni pubbliche, ma senza la presenza degli elementi caratterizzanti l’impiego pubblico, come l’accesso alla carica mediante concorso, l’inserimento nell’apparato amministrativo della P.A., lo svolgimento del rapporto secondo lo statuto apposito per tale impiego, il carattere retributivo del compenso e la durata potenzialmente indeterminata del rapporto. Ne consegue l’impossibilità di parificare le indennità percepite dai giudici onorari (nella specie, per reggenza su due sedi), alla retribuzione e la legittimità della fissazione di un limite massimo annuo all’emolumento, di misura tale da non potersi considerare inadeguato o irrisorio, ai sensi dell’art. 11, comma 4 ter, della l. n. 374 del 1991.”.

Con motivazione sostanzialmente analoga, già Cassazione civile sez. lav., sentenza 4 gennaio 2018, n. 99 aveva statuito che “La categoria dei funzionari onorari, di cui fa parte il Giudice di Pace, ricorre quando esiste un rapporto di servizio volontario, con attribuzione di funzioni pubbliche, ma senza la presenza degli elementi che caratterizzano l’impiego pubblico.”, anche in questo caso richiamando integralmente Cassazione civile sez. lav., sentenza 9 settembre 2016, n.17862.

Ancora prima, Cassazione civile sez. un., sentenza 31 maggio 2017, n. 13721, in tema di trattamento economico percepito dal giudice di pace, ove esercente la libera professione di avvocato, aveva affermato, con interpretazione di favore, che il compenso erogato dallo Stato costituiva una indennità erogata per lo svolgimento di una funzione onoraria e che la stessa doveva essere assimilata, pur non essendolo, al reddito da lavoro dipendente, e ciò al fine di non assoggettare la detta indennità al contributo del 4% alla Cassa forense).

Sempre in termini, si era pronunciata Cassazione civile sez. lav., sentenza 2 gennaio 2002, n. 16, secondo cui “La specialità del trattamento economico previsto per i giudici di pace, la sua cumulabilità con i trattamenti pensionistici nonché la possibilità garantita ai giudici di pace di esercitare la professione forense inducono a ritenere che non sono estensibili ai suddetti giudici indennità previste per i giudici togati che svolgono professionalmente e in via esclusiva funzioni giurisdizionali e il cui trattamento economico è articolato su parametri completamente diversi … in quanto tale disposizione costituisce, caso mai, una conferma della diversità e imparagonabilità dei trattamenti economici rispettivamente previsti per i giudici di pace e per i giudici togati.

  1. Questo indirizzo interpretativo si fonda su specifici ed oggettivi elementi normativi, distintivi dello status di magistrato professionale rispetto a quello di magistrato onorario.

Detti elementi attengono:

  1. i) alla differente modalità di assunzione, radicata nella nomina o nella elezione secondo la previsione dell’art. 106, secondo comma, Cost., che ne condiziona la posizione nel sistema organizzativo della pubblica amministrazione;
  2. ii) al carattere non esclusivo e non continuato dell’attività giurisdizionale svolta, compatibile per impegno e durata con la prestazione di altre attività lavorative, anch’esse svolte a titolo professionale;

iii) al peculiare regime delle incompatibilità, che mutua quello dei magistrati professionali nei limiti della compatibilità, e che necessariamente deve tenere conto delle diverse attività professionali che possono essere contemporaneamente svolte;

  1. iv) alla durata temporanea del rapporto, che prevede una prima nomina e una successiva riconferma per la medesima durata;
  2. v) alle limitazioni alle quali è sottoposta l’attività: per tipologia di controversie, sia nel settore civile, sia in quello penale; per funzione, essendo esclusa la partecipazione agli organi collegiali; per livello di complessità degli affari trattati; e per assegnazione a sedi e uffici;
  3. vi) al regime della remunerazione dell’attività, con indennità anziché mediante retribuzione ‘stipendiale’, proprio in considerazione delle suddette caratterizzazioni e limitazioni.
  4. Dette differenziazioni, sempre secondo l’indirizzo esegetico in commento, oltre a rendere conto, sul piano descrittivo, dell’eterogeneità fra le figure soggettive, spiegano anche le ragioni, funzionali, per le quali i relativi status non sono giuridicamente comparabili, ed il diverso trattamento, giuridico ed economico, non solo non è discriminatorio, ma anzi giustificato da autonome ed oggettive considerazioni.

Sotto questo profilo, sulla base della normativa interna applicabile, non sussistono i presupposti per il riconoscimento di un trattamento giuridico omogeneo, sia che lo si intenda come derivante dalla costituzione di un rapporto di impiego a tempo indeterminato alle dipendenze della Pubblica Amministrazione mediante stabilizzazione delle nomine, sia che lo si intenda come conseguente ad una equiparazione “agli effetti” fra status giuridici ed economici, per tutti i rilievi e le considerazioni finora esposti.

  1. Inoltre, ai fini di una completa ricostruzione del quadro normativo e della esegesi applicativa di cui il medesimo è fatto oggetto, non va sottaciuto che per il diritto interno è fondamentale distinguere fra rapporto di impiego e rapporto di servizio, laddove con la prima nozione si fa riferimento alla costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze della Pubblica Amministrazione (a tempo indeterminato, a tempo determinato o a tempo parziale), e con la seconda nozione, invece, si intende il conferimento di una funzione, o munus publicum, sulla base di una previsione di legge o per atto della Pubblica Amministrazione, senza che ciò comporti, necessariamente, la stipulazione di un rapporto di lavoro o impiego (Corte di Cassazione, sentenze n. 17862 del 2016 e n. 99 del 2018).

I pubblici dipendenti, fra cui i magistrati ordinari professionali, instaurano entrambi i rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione.

I magistrati onorari, invece, instaurano con la Pubblica Amministrazione il solo rapporto di servizio.

Il fondamento della qualifica onoraria del rapporto di servizio è stata affermata dal legislatore fin dall’istituzione della figura (Regio Decreto n. 12 del 1941), è stata riconfermata dalla Costituzione e, in ultimo, è stata ribadita dalla riforma del 2017, sempre all’insegna del principio di differenziazione rispetto ai magistrati ordinari professionali.

A questo proposito, va sottolineato che solo i magistrati professionali debbono necessariamente essere selezionati attraverso il pubblico concorso (art. 106, comma 1), mentre la Carta costituzionale ha previsto per i soli giudici onorari la possibilità di essere nominati ovvero eletti (art. 106, comma 2), conservando così il previgente sistema impiantato dal Regio Decreto n. 12 del 1941, secondo cui la nomina avveniva (e tuttora avviene) con decreto del Ministro della giustizia, in conformità della deliberazione del Consiglio superiore della magistratura, su proposta del consiglio giudiziario competente per territorio, e dunque sulla base di valutazioni essenzialmente politico-discrezionali (art. 42-ter, R.D. cit.).

Inoltre, non è priva di significato giuridico l’affermazione secondo i magistrati professionali costituiscono l’ordine giudiziario, mentre i giudici onorari vi appartengono (art. 4, comma 1, Regio Decreto n. 12/1941, ed in via esegetica l’art. 102, Cost.).

L’utilizzo della diversa terminologia (costituire vs appartenere) non è fine a sé stessa, né è casuale, ma esprime sul piano materiale, ancor prima che su quello giuridico, che ne è soltanto la conseguenza sul piano organizzativo dell’Amministrazione della giustizia, le ragioni per le quali si tratta di figure soggettive diverse e di status giuridici ed economici differenti, in alcun modo comparabili secondo un termine di raffronto (cd. tertium comparationis), mancando la relazione trilaterale tra ciò che viene comparato, ciò che si intende comparare e il parametro di raffronto.

Sulla base del menzionato Regio Decreto n. 12 del 1941, si possono trarre, infatti, le seguenti considerazioni in fatto e di diritto.

Ai Tribunali ordinari sono necessariamente addetti i giudici professionali, mentre per i giudici onorari è prevista la possibilità di esservi addetti svolgendo la funzione giurisdizionale soltanto in caso di impedimento o mancanza dei giudici ordinari.

Ciò spiega, tra le altre cose, il differente impegno richiesto, la durata discontinua e non esclusiva della prestazione lavorativa, la diversa remunerazione dell’attività prestata, indennitaria e non retributiva in senso stretto, in quanto rappresenta un rimborso dovuto solo in relazione al periodo di effettivo servizio e per il tipo di impegno richiesto e profuso.

Inoltre, rende ragione del fatto che essi non godono di un analogo trattamento previdenziale ed assistenziale, usufruendone già in virtù della attività professionale che continuano a svolgere durante le funzioni onorarie.

Le modalità dell’assunzione per concorso pubblico dei magistrati professionali spiegano, poi, la ragione per la quale soltanto essi possono stipulare un contratto di impiego alle dipendenze della Pubblica Amministrazione, a prescindere dalla sua natura di essere un contratto di lavoro a tempo indeterminato.

Il rapporto che lega i giudici onorari all’Amministrazione della Giustizia è fondato, invece, sul solo servizio prestato, tramite atto di conferimento di munus publicum per nomina individuale, rispetto al quale il contestuale e lecito svolgimento di altre attività professionali è a tal punto connaturato al regime della magistratura onoraria, da costituire specifico titolo di preferenza per la nomina.

Il fatto che i giudici onorari abbiano doveri assimilabili a quelli dei magistrati professionali è solo una conseguenza della funzione svolta, in quanto l’attività giurisdizionale deve essere caratterizzata dalle stesse garanzie a prescindere dallo status del giudice che la esercita.

Si tratta, all’evidenza, di una estensione solo funzionale di doveri che servono a garantire il rispetto dei principi di imparzialità ed indipendenza, che caratterizzano l’esercizio di ogni funzione giurisdizionale.

In altre parole, il servizio onorario non si trasforma in un rapporto di impiego per il fatto di essere, i giudici onorari, assoggettati ai doveri, alle responsabilità e ai controlli che sono propri dei magistrati ordinari, in quanto tale regime (doveri, responsabilità e controlli), secondo il vigente quadro normativo, per come interpretato ed applicato finora dalla Pubblica Amministrazione e dagli organi giurisdizionali, dipende dalle funzioni svolte, e non dal rapporto organico instaurato con la Pubblica Amministrazione.

Non va sottaciuto, a questo proposito, che il riferimento alla funzione effettivamente svolta, secondo l’indirizzo esegetico seguito dalla giurisprudenza interna, soprattutto costituzionale, ha consentito il riconoscimento in favore del giudice onorario di pace, anche a prescindere dall’esistenza di un rapporto organico, e dunque di impiego alle dipendenze della Pubblica Amministrazione, di beneficiare del rimborso delle spese di patrocinio, con la motivazione che il beneficio in questione «attiene non al rapporto di impiego […] bensì al rapporto di servizio», trattandosi di un presidio della funzione, rispetto alla quale il profilo organico appare recessivo” e che “(a)ttesa l’identità della funzione del giudicare, e la sua primaria importanza nel quadro costituzionale, è irragionevole che il rimborso delle spese di patrocinio sia dalla legge riconosciuto al solo giudice “togato” e non anche al giudice di pace, mentre per entrambi ricorre, con eguale pregnanza, l’esigenza di garantire un’attività serena e imparziale, non condizionata dai rischi economici connessi ad eventuali e pur infondate azioni di responsabilità”. (Corte costituzionale n. 267/2020).

  1. Ciò premesso, questo giudice ritiene che possano trarsi le seguenti considerazioni.
  2. Sulla base della giurisprudenza della Corte di Giustizia, pare potersi affermare che il giudice onorario di Tribunale e il vice procuratore onorario della Repubblica, nominati per un periodo limitato, svolgono prestazioni reali ed effettive, che non sono né puramente marginali né accessorie nella partecipazione all’esercizio della funzione giurisdizionale, per le quali percepiscono una indennità avente carattere remunerativo, e per questo motivo essi possono rientrare nella nozione di «lavoratore a tempo determinato», di cui alla clausola 2, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato.
  3. Sempre sulla base della medesima giurisprudenza, e salvo quanto si specificherà di seguito a proposito di ferie e trattamento previdenziale e assicurativo, pare potersi affermare che, in generale, il differente trattamento giuridico ed economico dei giudici onorari rispetto ai magistrati ordinari professionali:
  4. i) risponda a delle esigenze oggettive e trasparenti e sia giustificato dalla sussistenza di elementi precisi e concreti che contraddistinguono la condizione di impiego fra le due figure soggettive, a cominciare dalle modalità di accesso (nell’un caso per nomina, nell’altro per concorso), nel particolare contesto ordinamentale in cui la medesima s’inscrive, anche tenuto conto del margine di discrezionalità di cui dispongono gli Stati membri quanto all’organizzazione delle loro amministrazioni pubbliche;
  5. ii) risponda ad una reale necessità, in considerazione della natura, qualità e quantità, anche oraria, della compartecipazione alla funzione giurisdizionale, delle specifiche mansioni di cui i giudici devono assumere la responsabilità e del diverso livello delle qualifiche richieste ai fini dell’assolvimento di tali mansioni.

iii) sia idoneo a conseguire l’obiettivo della legittima finalità di politica sociale dello Stato membro, in modo proporzionato e nei limiti di quanto sia strettamente indispensabile rispetto alla sfera giuridica, tenuto conto della possibilità per i giudici onorari di svolgere altre attività a titolo professionale contemporaneamente all’espletamento del munus publicum;

  1. iv) non mira a imporre condizioni di impiego deteriori o discriminatorie.
  2. Si ritiene, pertanto, che, in relazione alle prime due domande proposte dai ricorrenti, non sussistano i presupposti per adire la Corte in via pregiudiziale, per difetto di rilevanza.
  3. Pare invece potersi dubitare della compatibilità europea dell’attuale sistema concernente le condizioni di impiego, nella parte relativa alla totale esclusione dei giudici onorari da ogni diritto alle ferie retribuite, nonché da ogni forma di tutela di tipo assistenziale e previdenziale, sia in considerazione della summenzionata giurisprudenza della Corte, sia tenuto conto, in via esegetica, della novella introdotta dal decreto legislativo n. 116 del 2017, sulla base del criterio di delega di cui all’articolo 1, comma 13, lett. l), ratione temporisnon applicabile alla controversia all’esame.

Ad avviso di questo giudice, la detta novella, nel riconoscere la tutela previdenziale e assistenziale nei confronti della magistratura onoraria, prevedendo sia il diritto alla corresponsione dell’indennità durante il periodo feriale di sospensione delle attività sia la tutela previdenziale e assicurativa obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali (art. 25), potrebbe avere fornito un rimedio valido, pro futuro, ad un elemento di criticità effettivo, ingiustificato, eccessivo e sproporzionato della disciplina di cui deve essere fatta oggi applicazione.

Ancora ad avviso di questo giudice, potrebbero sussistere i presupposti per l’applicazione della suddetta previsione in via analogica ai rapporti pendenti oggetto dell’odierno contenzioso, anche tenuto conto dell’indirizzo della Corte costituzionale interna favorevole al riconoscimento di benefici che non dipendono dal rapporto di impiego, ma dall’esercizio della funzione (fra gli esempi sopra citati, merita di essere menzionato il riconoscimento del beneficio alla ripetizione delle spese legali in caso di assoluzione).

  1. Infine, pare potersi dubitare della compatibilità europea della normativa italiana relativa al numero di rinnovi successivi, in una situazione in cui: il rapporto di lavoro che instaura il giudice onorario con l’Amministrazione della Giustizia è un rapporto a tempo determinato qualificabile come rapporto di servizio e non quale rapporto di impiego alle dipendenze di una Amministrazione Pubblica, per il quale è previsto un regime articolato su un iniziale atto di nomina ed una sola successiva riconferma; per il quale non sono previste né misure preventive dissuasive né sanzioni effettive e per il quale è esclusa, sempre dalla normativa interna, la possibilità di essere trasformato in rapporto di pubblico impiego alle dipendenze dell’Amministrazione Pubblica a tempo indeterminato (art. 36, comma 5, decreto legislativo n. 165 del 2001).

Il particolare, il dubbio riguarda anche il fatto se le motivazioni addotte dal legislatore statale a sostegno delle reiterate riconferme, incentrate sulla necessità di attendere la riforma organica della magistratura onoraria e di garantire nel frattempo la continuità dell’amministrazione della giustizia, possano essere qualificate come ragioni oggettive e trasparenti, rientranti nella discrezionalità degli obiettivi di politica sociale degli Stati membri, che possano giustificare l’utilizzo dello strumento della proroga, in una situazione di fatto che potrebbe avere prodotto effetti favorevoli compensativi nella sfera giuridica dei destinatari, essendo stati, gli stessi, investiti della proroga nelle funzioni in modo sostanzialmente automatico per un ulteriore periodo di tempo (in particolare, la previsione è stata derogata nei seguenti casi: articolo 9, comma 2-bis, del D.L. 30 giugno 2005, n. 115, convertito con modificazioni dalla Legge 17 agosto 2005, n. 168; articolo 1, comma 395, della Legge 24 dicembre 2012, n. 228; articolo 1, comma 290, della Legge 27 dicembre 2013, n. 147; articolo 1, comma 610, della Legge 28 dicembre 2015, n. 208).

  1. Per quanto da ultimo esposto, appaiono dunque sussistere i presupposti per adire la Corte in via pregiudiziale circa l’interpretazione dell’art. 7 della direttiva 2003/88 e delle clausole 4 e 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, essendo le relative questioni rilevanti ai fini della decisione delle ultime due domande proposte dai ricorrenti.
  2. LE QUESTIONI INTERPRETATIVE:

– SE l’articolo 7 della direttiva 2003/88 e la clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che non prevede, per i giudici onorari di Tribunale e per i vice procuratori onorari della Repubblica, alcun diritto alla corresponsione dell’indennità durante il periodo feriale di sospensione delle attività ed alla tutela previdenziale e assicurativa obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali.

– SE la clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato debba essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale in forza della quale il rapporto di lavoro a tempo determinato dei giudici onorari, qualificabile come rapporto di servizio e non quale rapporto di impiego alle dipendenze di una Amministrazione Pubblica, per il quale sia previsto un regime articolato su un iniziale atto di nomina ed una sola successiva riconferma, possa divenire oggetto di svariate proroghe contenute in leggi di rango statale, in assenza di sanzioni effettive e dissuasive e in mancanza della possibilità di trasformare detti rapporti in contratti di impiego alle dipendenze di una Amministrazione Pubblica a tempo indeterminato, in una situazione di fatto che potrebbe avere prodotto effetti favorevoli compensativi nella sfera giuridica dei destinatari, essendo stati, gli stessi, investiti della proroga nelle funzioni in modo sostanzialmente automatico per un ulteriore periodo di tempo.

VII. ADEMPIMENTI DI SEGRETERIA

Ai fini della più completa decisione della Corte di Giustizia – in ossequio alle Raccomandazioni della Corte medesima 2012/C 338/01, relative alla presentazione di domande pregiudiziali – alla stessa deve essere trasmessa, a cura della Segreteria della Sezione, oltre a copia conforme all’originale della presente ordinanza, altresì copia dell’intero fascicolo di causa.

VIII. SOSPENSIONE DEL GIUDIZIO

Nelle more della pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione Europea, si rende necessario disporre, ai sensi dell’art. 79, comma 1, del cod. proc. amm., la sospensione del presente processo, riservando alla sentenza definitiva ogni pronuncia in rito, nel merito e sulle spese e sugli onorari di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Settima, non definitivamente pronunciando sull’appello n. 9999/2021, di cui all’epigrafe:

  1. a) rimette alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea le questioni pregiudiziali indicate in motivazione al punto VI;
  2. b) ordina alla Segreteria della Sezione di trasmettere alla medesima Corte copia conforme all’originale della presente ordinanza, nonché copia integrale del fascicolo di causa;
  3. c) dispone, nelle more della pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la sospensione del presente giudizio;
  4. d) riserva alla sentenza definitiva ogni pronuncia in rito, nel merito e sulle spese e gli onorari di giudizio.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 novembre 2022 con l’intervento dei magistrati:

Roberto Giovagnoli, Presidente

Daniela Di Carlo, Consigliere, Estensore

Sergio Zeuli, Consigliere

Maurizio Antonio Pasquale Francola, Consigliere

Rosaria Maria Castorina, Consigliere