Condominio – Amministratore – Agente immobiliare – Compatibilità – Testo integrale della sentenza
Non si configura alcuna incompatibilità tra l’esercizio congiunto delle funzioni di amministratore di condominio e quelle di agente immobiliare a condizione che quest’ultime non abbiano come oggetto l’intermediazione di appartamenti presenti nel condominio.
Pubblicato il 07/03/2025
- 01925/2025REG.PROV.COLL.
- 01208/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1208 del 2022, proposto da
Tecno 37 di Conti Claudio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Andrea Reggio D’Aci, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dello Sviluppo Economico, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Bologna, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Cristiana Carpani, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
e con l’intervento di
ad opponendum:
Fimaa – Federazione Italiana Mediatori Agenti D’Affari, rappresentata e difesa dall’avvocato Gianfranco Passalacqua, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia-Romagna, Sezione Seconda, n. 7/2022.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 febbraio 2025 il Cons. Giordano Lamberti e uditi per le parti gli avvocati Andrea Reggio D’Aci, Cristiana Carpani e Gianfranco Passalacqua.
Viste le conclusioni delle parti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1 – L’appellante ha proposto appello avverso la sentenza n. 7 del 2022 del Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia-Romagna, recante rigetto dell’originario ricorso presentato avverso i seguenti provvedimenti:
– determinazione n. 326 dell’11.11.2020 del Dirigente del Settore III della CCIAA di Bologna, recante l’inserimento d’ufficio della ditta individuale ricorrente nel REA amministratore di condomini, l’inibizione ex art. 7, comma 2, del D.M. 26/10/2011 alla prosecuzione dell’attività di mediazione in immobili iniziata il 1.7.1988 “stante la situazione di incompatibilità ai sensi dell’art.5 comma 3 della L. 39/1989 e s.m.i.” e l’inserimento d’ufficio nel REA della contestuale cessazione dalla data dell’11.11.2020 dell’esercizio dell’attività di mediazione in immobili ai sensi dell’art. 7, comma 3, del D.M. 26/10/2011;
– determinazione del Direttore Generale del Ministero dello Sviluppo Economico n. prot. 0128364 del 22.5.2019, citata nella determinazione della CCIAA n.326 dell’11.11.2020;
– la nota del Ministero dello Sviluppo Economico Prot. 24420 del 17.3.2020 citata nella determinazione della CCIAA n.326 dell’11.11.2020;
– nota del Direttore della Divisione Generale per la Vigilanza del Ministero dello Sviluppo Economico n. prot.116339 del 7.5.2020 citata nella determinazione della CCIAA n.326 dell’11.11.2020;
– artt. 7 e 9 del D.M. 26/10/2011 come applicati nel caso di specie;
– ogni altro atto allo stesso presupposto, connesso e/o conseguenziale.
2 – Il Tar ha respinto il ricorso, rilevando, tra l’altro, che:
– l’art. 5 della L. 39/89 nel testo vigente deve essere interpretato nel senso di scongiurare un conflitto attuale di interessi, mediante una verifica caso per caso delle situazioni coinvolte (non essendo accettabile l’individuazione di incompatibilità astratte e assolute);
– in quest’ottica l’azione intrapresa dalla CCIAA nel procedimento di verifica risulta corretta e lineare, e le conclusioni raggiunte appaiono convincenti. L’incompatibilità è generata anzitutto dalla consistenza degli emolumenti ricavati dall’attività di amministratore di condominio, esercitata in via prevalente e in forma imprenditoriale, attraverso una struttura e risorse umane dedicate (4 unità). Il successivo step logico-motivazionale è ancorato a un apprezzamento di natura sostanziale, per cui affiora il rischio che le unità immobiliari amministrate siano indebitamente “favorite” rispetto alla platea di quelle disponibili, con conseguente vulnus dei requisiti di terzietà e imparzialità propri del mediatore, che ha il compito di promuovere la conclusione dell’affare;
– diversamente da quanto sostiene la società, l’elevato numero degli immobili presso i quali il soggetto svolge anche l’attività di amministratore di condominio (che denota la natura imprenditoriale di quell’attività) induce a ritenere – secondo la logica e l’esperienza comune – un pericolo concreto di conflitto di interessi ogni volta che uno degli appartamenti amministrati resta libero e viene messo in vendita, risultando verosimilmente preferito rispetto ad altri;
– non si può riversare sulla CCIAA l’onere di verificare la neutralità per ogni specifico affare concluso, affermando il conflitto di interessi solo per l’eventuale svolgimento delle due attività in modo congiunto sul medesimo immobile. A questo proposito, i provvedimenti impugnati non urtano contro il principio comunitario di proporzionalità e la misura adottata è del tutto adeguata al caso;
– per le ragioni appena illustrate, secondo il giudice di primo grado, non affiora alcuna lesione dei principi comunitari invocati, ma l’appropriata individuazione di un’ipotesi concreta di conflitto di interessi.
3 – La società originariamente ricorrente ha proposto appello avverso tale pronuncia per i motivi di seguito esaminati.
Si sono costituite le amministrazioni già resistenti in primo grado ed è intervenuta in giudizio ad opponendum la Federazione Italiana Mediatori Agenti D’Affari per chiedere il rigetto dell’appello.
3.1 – Con il primo motivo l’appellante ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 41, 97 e 117 della Costituzione; violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 3, l. 39/1989 s.m.i.; violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 3 e 6 della l. 241/90; violazione e falsa applicazione dell’art. 4 n. 3 e dell’art. 47 del T.F.U.E. e dei principi europei di non discriminazione, di proporzionalità ed adeguatezza dei requisiti di accesso a professioni e servizi come derivanti anche dalle direttive 2005/36/CE (come modificata dalla direttiva 2013/55/CE) e 2006/123/CE; eccesso di potere per carenza istruttoria e di motivazione circa la pretesa sussistenza di un conflitto di interessi suscettibile di assurgere, secondo le direttive europee, a “motivo imperativo di interesse generale” tale da rendere proporzionata la pretesa incompatibilità tra agente immobiliare ed amministratore di condominio; richiesta di rimessione della questione alla Corte di giustizia UE.
L’appellante sostiene che:
– il Tar ha applicato l’art. 5, comma 3, della L. 39/89 quale norma di pericolo recante una previsione di incompatibilità astratta e generale e, oltretutto, considerando esclusivamente il “caso limite” in cui il mediatore sovrappone le funzioni di amministratore dell’immobile e di mediatore sul medesimo immobile ossia proprio l’unica ipotesi che, come detto, lo stesso ricorrente aveva escluso, in quanto già vietata dall’art. 1754 c.c. e, comunque, non pertinente al caso di specie;
– il continuo ed insistente riferimento del Tar al “caso limite” di immobili contemporaneamente intermediati ed amministrati (dallo stesso soggetto), di per sé già vietato dall’art. 1754 c.c., dimostra come il giudice di primo grado abbia in realtà travisato completamente il thema decidendum del ricorso, ignorando che nel caso di specie la CCIAA, aderendo alla interpretazione dell’art. 5, comma 3, della L. 39/89 data dal Direttore Generale del MISE con la (pure impugnata) nota n. prot. 0128364 del 22.5.2019, si era disinteressata completamente di effettuare una qualsivoglia verifica inerente gli immobili intermediati dal ricorrente (onde accertare se si trattasse di immobili anche amministrati), limitandosi invece soltanto a constatare l’esercizio congiunto delle due attività tramite l’acquisizione dall’Agenzia delle Entrate del reddito dichiarato dal medesimo ricorrente per ciascuna delle due attività, poi giudicate di natura imprenditoriale;
– il Tar, dunque, proprio in ragione della sua iniziale manifestazione di condivisione della interpretazione “orientata” data dal ricorrente all’art. 5, comma 3, della L. 39/1989, avrebbe dovuto riconoscere l’illegittimità radicale dei provvedimenti impugnati, in quanto assunti sul presupposto – contrario alle Direttive UE – che la norma debba essere applicata nel senso di estendere l’incompatibilità in modo generale ed indistinto a tutti i casi di esercizio congiunto delle due attività, senza quindi necessità di alcuna verifica dell’oggetto delle intermediazioni effettuate;
– il Tar ha eseguito un’inammissibile integrazione postuma dei provvedimenti impugnati;
– il Tar nella sua sentenza ha prospettato una interpretazione dell’art. 5 della Legge 39/89 secondo la quale l’incompatibilità tra le due attività di mediatore e amministratore di condominio deriverebbe dalla mera costatazione del loro svolgimento congiunto in forma imprenditoriale, concretando l’elevato numero di unità immobiliari amministrate un potenziale (e non meglio specificato) pericolo di conflitto di interessi a danno di uno dei clienti del mediatore immobiliare;
– si tratta tuttavia di una interpretazione che, come detto, oltre ad essere erroneamente stata riferita dal Tar al “caso limite” – di per sé già vietato dall’art. 1754 c.c. e, quindi, come detto, non sussistente e comunque non verificato dalla CCIAA nei provvedimenti impugnati – in cui la mediazione ha ad oggetto immobili anche amministrati, si pone in aperto contrasto con i principi sanciti dalla Corte di Giustizia UE, Sezione Quarta, con la sentenza numero 384 del 27/2/2020;
– nella citata sentenza, infatti, la Corte di Giustizia ha censurato una norma Belga che vietava l’esercizio congiunto dell’attività di contabile con quella di intermediario, agente assicurativo, agente immobiliare, impedendo la natura multidisciplinare delle attività, come prevista dalle Direttive Europee già citate;
– deve riconoscersi che l’interpretazione dell’art. 5, comma 3, L. 39/89 (nella versione vigente ratione temporis ossia quella recata dalla L. 37/19), come prospettata dal Tar (ad integrazione di quella formulata dal MISE) non offre elementi dettagliati per dimostrare che il divieto dello svolgimento delle due attività multidisciplinari (amministratore di condominio da una parte e mediatore immobiliare dall’altra) sia necessario e proporzionato a preservare gli interessati da un (non meglio specificato) potenziale rischio di conflitto di interessi (quale “motivo imperativo di interesse generale”), anche tenuto conto del parametro legale di cui all’art. 1754 c.c.;
– in altri termini, poiché è un dato oggettivo non opinabile che, laddove l’attività di mediazione verta su immobili non anche amministrati (nelle relative parti comuni) dal medesimo mediatore, non è a priori configurabile alcuna connessione tra il mediatore e le parti intermediate, deve riconoscersi che il divieto generalizzato ed assoluto recato dall’articolo 5, comma 3, della legge 39/89, come interpretato dal MISE (ed integrato dal Tar nella motivazione), si pone in contrasto con le Direttive qui considerate, le quali impongono, secondo il principio di proporzionalità di perseguire l’obiettivo di interesse pubblico imperativo, senza andare “al di là di quanto è necessario per raggiungere tale obiettivo”;
– non è pertinente, né rilevante ai fini della decisione, la pretesa natura imprenditoriale o meno dell’attività di mediazione svolta dal ricorrente, come desunta dalla CCIAA dai dati reddituali acquisiti dalla Agenzia delle Entrate e definita dal Giudice di primo grado come una “appropriata individuazione di un’ipotesi concreta di conflitto di interessi”;
– la natura imprenditoriale o meno dell’attività di intermediazione immobiliare, infatti, anche laddove riferibile all’art. 5, comma 3, della L. 39/89, non può assumere in sé alcun rilievo giuridico qualificato. Si tratta, infatti, di un dato inconferente ai fini della individuazione di un interesse pubblico idoneo a costituire “un motivo imperativo di interesse generale” (cfr. punto 48 della sentenza n.384 del 27/2/2020 della Corte di Giustizia) suscettibile di giustificare l’introduzione di un divieto generalizzato di svolgimento di una attività multi-disciplinare, sicché, anche sotto questo aspetto, l’art. 5, comma 3, della L. 39/89 deve essere letto – e se del caso disapplicato – secondo una interpretazione necessariamente compatibile con la prevalenza propria del diritto europeo.
3.2 – Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dei principi generali di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1176 e 1337 c.c., nonché degli artt.1, 3 e 6 della l. 241/90 e degli artt. 7 e 9 del D.M. MISE del 26.10.2011; carenza assoluta di istruttoria; violazione e falsa applicazione dei principi europei di non discriminazione, di proporzionalità, gradualità ed adeguatezza delle sanzioni.
L’appellante ha infine riproposto la domanda di risarcimento del danno.
4 – Con l’ordinanza n. 3655/2023, la Sezione ha messo in luce che l’appellante esercitava oltre all’attività di mediazione in immobili anche l’attività di amministratore di condomini.
Le competenti autorità italiane (anche a seguito dell’entrata in vigore della L. 37/2019 di modifica dell’art. 5, comma 3, della L. 39/1989) hanno rilevato in capo all’appellante l’incompatibilità fra l’attività di mediazione in immobili e l’attività in forma imprenditoriale di amministrazione di condomini perché il numero di condomini amministrati è 39 e il reddito derivante da tale attività è consistente e nettamente superiore a quello derivante dall’attività di mediazione in immobili.
Di conseguenza la Camera di commercio (CCIAA) di Bologna: a) ha inserito nel Repertorio Economico Amministrativo l’attività di amministratore di condomini (svolta in forma di impresa) con riferimento dell’impresa individuale Tecno 37 di Conti Claudio; b) ha inibito, ai sensi dell’art. 7, comma 2 del D.M. 26/10/2011, la prosecuzione dell’attività di mediazione in immobili iniziata in data 1/7/1988, stante la situazione di incompatibilità ai sensi dell’art. 5, comma 3, della L. 39/1989 e s.m.i, con riferimento alla stessa impresa individuale Tecno 37 di Conti Claudio.
Per decidere il caso di specie risulta dunque dirimente stabilire se ed entro quali limiti la professione di agente immobiliare è compatibile con quella di amministratore di condominio.
4.2 – La Sezione ha evidenziato, sulla scorta di quanto già argomentato dal Giudice di primo grado, che quando un agente immobiliare svolge contemporaneamente l’attività di amministratore di condominio può nascere il rischio che le unità immobiliari amministrate siano indebitamente “favorite” rispetto alla platea di quelle disponibili, con la conseguenza che l’imparzialità propria del mediatore venga meno. In sostanza un professionista che gestisce numerosi condomini potrebbe essere indotto ad orientare i potenziali acquirenti verso i locali inseriti negli immobili da lui gestiti, trascurando, di conseguenza, altre opportunità abitative ugualmente interessanti.
Per altro verso, dal punto di vista del consumatore, forse sarebbe più efficace, ed economicamente vantaggioso, avere un’unica figura professionale che segue l’acquirente sia nel momento dell’acquisto, che nella successiva fase di gestione dell’immobile, visto che, in fatto, i sistemi per aggirare le incompatibilità possono essere molteplici (rapporti di parentela, ecc.), con il risultato del raddoppio delle figure professioni e quindi dei costi a carico dell’utente finale.
La Sezione ha altresì rilevato che la nuova disciplina contenuta nell’art. 5, comma 3, della L. 39/1989 garantisce (proprio nell’ottica della proporzionalità) la tutela del consumatore attraverso la previsione di una clausola che eviti ogni conflitto attuale di interessi tra il mediatore e l’oggetto della mediazione stessa. L’incompatibilità diviene infatti relativa e vieta di essere al contempo mediatore (che per definizione del codice civile è soggetto equidistante tra le parti) e parte (in senso sostanziale, in quanto produttore o commerciante di beni o servizi oggetto dell’attività di mediazione o in senso formale, in quanto agente o rappresentante dei detti beni). In ogni caso l’incompatibilità è limitata alle attività imprenditoriali e non più, come nella norma oggetto di procedura di infrazione, comunque svolta anche a titolo professionale e addirittura di lavoro dipendente.
La Sezione ha altresì precisato che “il Collegio, nel mentre esclude la ricorrenza dei presupposti per procedere alla diretta disapplicazione della normativa nazionale contestata, in quanto le ragioni dell’eventuale contrasto con il diritto dell’Unione non sono né immediate né sufficientemente chiare, precise ed incondizionate, ravvisa la sussistenza di una questione interpretativa relativa all’esatto ambito interpretativo da riconoscere ad atti normativi dell’Unione e, conseguentemente, alla compatibilità con essi di un provvedimento legislativo nazionale”.
4.3 – Alla luce delle considerazioni svolte la Sezione ha sollevato questione di pregiudizialità, invitando la Corte di Giustizia dell’Unione europea, ai sensi dell’art. 267 TFUE, a pronunciarsi sui seguenti quesiti:
- A) Se l’art. 5, comma 3, della L. 39/1989, come riformulato a seguito della procedura di infrazione n. 2018/2175, deve intendersi oggi pienamente conforme al diritto comunitario specie in ragione dell’avvenuta archiviazione della procedura di infrazione che ha interessato tale questione.
- B) Se i principi e gli scopi dell’articolo 59, paragrafo 3, della Direttiva 2005/36/CE (come modificata dalla Direttiva 2013/55/CE), nonché dell’articolo 25, paragrafo 1, della direttiva 2006/123/CE e più in generale dell’articolo 49 T.F.U.E. ostano ad una normativa come quella italiana di cui all’art. 5, comma 3, della L. 39/1989 che sancisce in via preventiva e generale l’incompatibilità tra l’attività di mediazione immobiliare e quella di amministratore di condomini sul presupposto del mero esercizio congiunto delle due attività e senza, quindi, la necessità per le Camere di Commercio di svolgere alcuna verifica a posteriori riferita in concreto all’oggetto delle mediazioni svolte e senza che ciò risulti motivato da un “motivo imperativo di interesse generale” specificatamente individuato e comprovato o comunque senza la dimostrazione della proporzionalità della prevista incompatibilità generale rispetto allo scopo perseguito.
- C) Se l’agente immobiliare può comunque svolgere anche l’attività di amministratore di condominio salvo il caso in cui non cerchi di vendere/acquistare, il fabbricato che amministra, visto che in questo caso si paleserebbe un conflitto di interessi.
5 – Con la sentenza del 4.10.2024, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha statuito che:
1) L’articolo 258 TFUE deve essere interpretato nel senso che: l’archiviazione, da parte della Commissione europea, di una procedura d’infrazione contro uno Stato membro non comporta la conformità al diritto dell’Unione della normativa nazionale che era stata oggetto di tale procedura.
2) L’articolo 25, paragrafo 1, della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, deve essere interpretato nel senso che: esso osta a una normativa nazionale che prevede, in via generale, un’incompatibilità tra l’attività di mediazione immobiliare e quella di amministratore di condomini, esercitate congiuntamente.
6 – Alla luce di tale pronuncia l’appello va accolto, dovendosi concludere che la Corte di Giustizia ha sancito che un’incompatibilità stabilita a priori dell’esercizio congiunto delle attività di amministratore di condomini ed agente immobiliare è contraria ai principi ed al diritto dell’Unione europea; ne discende l’illegittimità dei provvedimenti impugnati in primo grado, del MISE e della CCIAA di Bologna, tenuto anche conto del fatto che, per quel che consta, l’appellante non intermediava gli immobili che, contemporaneamente, lo stesso gestiva, sicché non sussiste alcuna ragione per vietare a priori l’esercizio contestuale delle due attività.
7 – Non può invece trovare accoglimento la domanda di risarcimento danni sulla quale insiste l’appellante nelle memorie da ultimo depositate.
E’ principio consolidato che la responsabilità dell’Amministrazione non può configurarsi in modo automatico dall’eventuale annullamento di un provvedimento, in quanto ritenuto illegittimo “essendo necessario accertare, oltre al nesso causale tra l’azione amministrativa e il danno lamentato, anche la sussistenza della colpevolezza o del dolo da parte dell’Amministrazione stessa. Il giudice deve valutare, caso per caso, se l’errore sia scusabile, considerando elementi quali la complessità normativa e tecnica della materia” (Cons. Stato, Sez. III, 14 gennaio 2025, n. 230).
Va anche ricordato che l’accertata illegittimità del provvedimento determina una presunzione di colpa in capo alla pubblica amministrazione, sicché l’onere probatorio a carico del richiedente può ritenersi assolto con l’indicazione di tale circostanza, mentre grava sull’amministrazione l’onere di provare l’assenza di colpa attraverso l’errore scusabile derivante da contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione della norma o dalla complessità dei fatti ovvero, ancora, dal comportamento delle parti del procedimento (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 22 novembre 2016, n. 4896).
7.1 – Nel caso in esame, nonostante l’accertata illegittimità degli atti impugnati, deve escludersi l’imputazione soggettiva dell’illecito all’amministrazione, stante l’incertezza della questione sottesa al giudizio.
Ferma la contrarietà al diritto europeo dei provvedimenti impugnati e ricordato che anche l’amministrazione è tenuta a disapplicare una norma interna ove questa sia contraria al diritto dell’Unione europea e che, in genere, la violazione di tale regola può essere un indice della colpevolezza dell’amministrazione, la peculiarità del caso in esame deve portare ad una diversa conclusione.
Invero, il quadro normativo applicabile al caso concreto – sul quale si innestano sia il diritto nazionale che quello comunitario – non appariva immediatamente chiaro e lineare, ben potendosi prestare a differenti opzioni interpretative, tanto è vero che la Sezione, al fine di decidere la controversia, ha rimesso uno specifico quesito pregiudiziale alla Corte di Giustizia.
Nello specifico, la Sezione, prima di rimettere la questione alla Corte, aveva già sottolineato che “il Collegio, nel mentre esclude la ricorrenza dei presupposti per procedere alla diretta disapplicazione della normativa nazionale contestata, in quanto le ragioni dell’eventuale contrasto con il diritto dell’Unione non sono né immediate né sufficientemente chiare, precise ed incondizionate, ravvisa la sussistenza di una questione interpretativa relativa all’esatto ambito interpretativo da riconoscere ad atti normativi dell’Unione e, conseguentemente, alla compatibilità con essi di un provvedimento legislativo nazionale”.
Per tale ragione, gli argomenti svolti da parte appellante al fine di dimostrare la sussistenza della colpa dell’amministrazione, facenti leva su precedenti sentenze della Corte di Giustizia, non del tutto sovrapponibili perché relative ad altre attività, pur se rilevanti in termini di principio, non appaiono idonee a provare l’assunta certezza del quadro normativo applicabile e, di conseguenza, l’inescusabilità dell’errore commesso dall’amministrazione.
Al riguardo, va ancora rimarcata la peculiarità della situazione sottesa al presente giudizio che si caratterizza per la sussistenza potenziale di una situazione di conflitto di interesse del mediatore laddove svolga anche l’attività di amministratore di condominio e che poteva deporre per una soluzione interpretativa sfavorevole all’appellante, avuto anche riguardo all’art. 5, comma 3, della L. 39/1989 che garantisce (proprio nell’ottica della proporzionalità) la tutela del consumatore attraverso la previsione di una clausola che eviti ogni conflitto attuale di interessi tra il mediatore e l’oggetto della mediazione stessa la cui rilevanza (vedasi punto 4 della presente sentenza).
In definitiva, in tale quadro, per le stesse ragioni che hanno originato l’interessamento della Corte di Giustizia, deve ritenersi sussistente quella situazione di ambiguità ed incertezza tale da giustificare astrattamente la scelta dell’amministrazione, seppur poi rivelatasi errata, dovendosi per l’effetto escludere ogni profilo di colpa dell’amministrazione.
8 – Per le ragioni esposte la domanda risarcitoria va respinta; vanno invece accolti i restanti motivi di appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso di primo grado con l’annullamento degli atti ivi impugnati.
Ad una valutazione complessiva della controversia, le spese di lite del doppio grado di giudizio possono essere compensate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) accoglie l’appello nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado, annulla gli atti impugnati e respinge la domanda di risarcimento del danno.
Spese di lite compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 febbraio 2025 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro, Presidente
Giordano Lamberti, Consigliere, Estensore
Davide Ponte, Consigliere
Lorenzo Cordi’, Consigliere
Thomas Mathà, Consigliere