Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana, 28 marzo 2024, n. 233

Appalto – Gara –  Interdittiva antimafia – Errore scusabile – Configurabilità – Annullamento dell’interdittiva da parte del giudice amministrativo – Risarcimento del danno – Esclusione – Testo integrale della sentenza

La misura dell’interdittiva antimafia obbedisce a una logica di anticipazione della soglia di difesa sociale e non postula, come tale, l’accertamento in sede penale di uno o più reati che attestino il collegamento o la contiguità dell’impresa con associazioni di tipo mafioso (Consiglio di Stato, sez. III, 15 settembre 2014, n. 4693), potendo, perciò, restare legittimata anche dal solo rilievo di elementi sintomatici che dimostrino il concreto pericolo (anche se non la certezza) di infiltrazioni della criminalità organizzata nell’attività imprenditoriale (Consiglio di Stato, sez. III, 1 settembre 2014, n. 4441). Ciò premesso, in tema di interdittiva antimafia la stazione appaltante dispone di ampia discrezionalità che comporta il riconoscimento dell’errore scusabile e, quindi come conseguenza diretta, l’esclusione della colpa e della responsabilità per la P.A. qualora le informative antimafia, trasmesse dagli organi di polizia al Prefetto, risultino, sia pure in via astratta, idonee a formulare un tentativo di infiltrazione mafiosa in quanto si riferiscono ad oggettivi e significativi intrecci e collegamenti tra l’amministrazione dell’impresa e l’organizzazione criminale anche qualora siano giudicate concretamente insufficienti a giustificare e legittimare la misura dell’interdittiva antimafia. Pertanto, è inammissibile il risarcimento del danno richiesto dall’impresa qualora l’interdittiva antimafia sia stata annullata dal giudice amministrativo.

Pubblicato il 28/03/2024

  1. 00233/2024REG.PROV.COLL.
  2. 01198/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA

Sezione giurisdizionale

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1198 del 2021, proposto dalla società
-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Girolamo Rubino e Calogero Ubaldo Marino, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell’interno, Ufficio territoriale del Governo Agrigento, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura distrettuale dello Stato domiciliataria per legge in Palermo, via Valerio Villareale, n. 6;

per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Prima) n. 02038/2021, resa tra le parti.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’interno e dell’Ufficio territoriale del Governo di Agrigento;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 novembre 2023 il Cons. Antonino Caleca e uditi per le parti gli avvocati come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

  1. Viene in decisione l’appello avverso la sentenza indicata in epigrafe con la quale veniva respinta la richiesta proposta dalla signora -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di legale rappresentante della società cooperativa sociale -OMISSIS-, volta ad ottenere il risarcimento dei danni subiti per effetto dell’informazione antimafia interdittiva adottata dalla Prefettura di Agrigento n. -OMISSIS- il 28 novembre 2011, annullata con la sentenza del TAR Sicilia, sede di Palermo n. 1842 del 25 luglio 2016.
  2. Nel giudizio di primo grado si costituiva l’amministrazione intimata per resistere alla richiesta risarcitoria.
  3. La sentenza del T.A.R. motiva la decisone sfavorevole alla parte ricorrente sull’assunto che non risultano adeguatamente provati i danni che si ritengono subiti.

Il giudice di prime cure riteneva assorbiti gli ulteriori motivi di ricorso

  1. Ricorre in appello la parte soccombente in primo grado, per criticare la motivazione della sentenza appellata e riproponendo i motivi di primo grado che il T.A.R. ha ritenuto assorbiti, devolvendosi in tal modo al giudice di appello la cognizione dell’intera diatriba.
  2. Anche nel presente grado di giudizio si è costituita l’amministrazione appellata con formale dichiarazione.
  3. Alla pubblica udienza del 23 novembre 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.
  4. L’appello deve essere respinto, sebbene debba essere integrata la motivazione della sentenza appellata.

7.1. Precisa il Collegio che, in disparte la condivisione del rilevo del primo giudice che ha ritenuto non provato il danno asseritamente subito dall’appellante, nel caso in scrutinio difetta altresì, e con valenza comunque dirimente, la prova dell’indispensabile elemento psicologico in capo alla p.a..

  1. Ai fini del decidere tale specifica doglianza è indispensabile puntualizzare, in fatto, quanto segue.

L’informazione antimafia adottata nei confronti dell’appellante e poi annullata dal giudice amministrativo era motivata sull’assunto che l’appellante, presidente del consiglio di amministrazione della Cooperativa sociale in questione “ha stretti legami di parentela con persone pregiudicate per reati di associazione di tipo mafioso essendo nipote di: -OMISSIS- -OMISSIS-, in atto detenuto, per essere stato condannato all’ergastolo per i reati di associazione mafiosa, omicidio ed estorsione, già sottoposto alla sorveglianza speciale di P.S. con obbligo di soggiorno….; -OMISSIS- -OMISSIS-, classe -OMISSIS-, deceduto nel 1997, ritenuto probabile fiancheggiatore della locale famiglia -OMISSIS-ra”.

Occorre puntualizzare che l’odierna appellante è figlia di -OMISSIS-, già titolare di quote societarie nonché consigliere della società “-OMISSIS-” oggi denominata “-OMISSIS-”, sita in -OMISSIS-, società che, nell’anno 2007, aveva richiesto e ottenuto un finanziamento per il progetto relativo alla costruzione di un impianto enologico.

A seguito dell’istruttoria effettuata in primo grado emergeva che, proprio nell’ambito della procedura finalizzata all’erogazione del suddetto finanziamento, la Prefettura odierna appellata aveva emesso in favore della predetta “-OMISSIS-” oggi denominata “-OMISSIS-”, una informativa favorevole, nonostante la partecipazione societaria del signor -OMISSIS-, padre dell’appellante.

Si tratta dell’informativa liberatoria n. -OMISSIS- emessa il 20 dicembre 2007 nei confronti della “-OMISSIS-” oggi denominata “-OMISSIS-”.

Nel corso del giudizio di primo grado la ricorrente evidenziava la presunta difformità dei giudizi formulati dalla prefettura relativamente agli stessi rapporti di parentela.

La sentenza del T.A.R. che annulla l’interditiva emessa nei confronti dell’appellante per vizio della motivazione afferma che la gravata informativa, per vero, si basa sul solo rapporto di parentela, pur stretto, con un soggetto “ritenuto” fiancheggiatore (dunque non componente effettivo) della “locale famiglia -OMISSIS-” e, comunque, deceduto nel 1997 e con un altro individuo in atto (e in prospettiva, vista la pena a vita inflitta) detenuto.

Aggiunge il Tar che “emerge, dunque, una oggettiva ed irrimediabile insufficienza motivazionale dell’atto prefettizio, viziato pure da eccesso di potere per contraddittorietà nell’esercizio del potere: pochi anni prima, infatti, la Prefettura appellata risulta aver considerato irrilevanti, ai fini del giudizio di condizionamento mafioso, gli stessi elementi poi viceversa valorizzati in senso negativo per la appellante nell’atto qui gravato”.

  1. Nel presente processo finalizzato al risarcimento del danno, al fine di provare la sussistenza dell’elemento psicologico della colpa grave in capo alla Prefettura parte appellante valorizza due indici:

-l’amministrazione avrebbe disatteso la normativa di riferimento e le indicazioni ripetutamente rese dall’unanime giurisprudenza in ordine alla irrilevanza dei rapporti di parentela in sé considerati;

-l’amministrazione avrebbe considerato irrilevanti in un precedente giudizio prognostico, ai fini del giudizio di condizionamento mafioso, gli stessi elementi poi viceversa valorizzati in senso negativo per la appellante.

  1. Il Collegio, preliminarmente, osserva quanto segue.

Il risarcimento del danno non costituisce una conseguenza diretta e automatica dell’annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo, ma è indispensabile procedere alla positiva verifica, oltre che della lesione della situazione giuridica soggettiva di interesse legittimo (o di diritto soggettivo) tutelata dall’ordinamento, anche del nesso causale tra l’illecito e il danno subito, nonché della sussistenza della colpa o del dolo dell’amministrazione.

Spetta al ricorrente l’onere della prova di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito civile, la mancanza di uno solo dei quali determina l’infondatezza della pretesa: elemento soggettivo (dolo o colpa del danneggiante) e oggettivo (ingiustizia del danno, nesso causale, prova del pregiudizio subito), necessari per ritenere la responsabilità della p.a. ex art. 2043 c.c..

In merito all’elemento soggettivo la giurisprudenza amministrativa è concorde nel ritenere che affinché possa configurarsi la responsabilità aquiliana della p.a. per l’illegittimo esercizio del potere alla illegittimità del provvedimento poi annullato deve associarsi la sussistenza di un quid pluris, identificato nella “rimproverabilità soggettiva” della P.A.

Tale “rimproverabilità soggettiva” della p.a. deve essere scrutinata tenendo conto delle norme attributive del potere e delle regole d’azione in ragione delle quali la p.a. agisce al fine di tutelare il bene pubblico individuato dal legislatore.

10.1. All’interno di tale cornice normativa, quindi, occorre individuare i caratteri della colpa con specifico riferimento alla attività amministrativa relativa alle informative antimafia, regolate agli artt. 90 ss. del d.lgs. n. 159 del 2011.

10.2. Nella giudizio circa la configurabilità degli estremi della colpa dell’amministrazione nell’adozione delle informative antimafia il Collegio non può prescindere dalla considerazione del loro fine e del loro carattere e della funzione che l’ordinamento assegna a tali provvedimenti, della cui prevalente natura cautelare e preventiva nessuno dubita.

La giurisprudenza del Consiglio di Stato, già in epoca antecedente alla sentenza dell’Adunanza plenaria n. 3 del 2018 che ha definitivamente certificato natura e effetti dell’interdittiva antimafia, era concorde nell’affermare che “la misura dell’interdittiva antimafia obbedisce a una logica di anticipazione della soglia di difesa sociale e non postula, come tale, l’accertamento in sede penale di uno o più reati che attestino il collegamento o la contiguità dell’impresa con associazioni di tipo mafioso (Cons. St., sez. III, 15 settembre 2014, n.4693), potendo, perciò, restare legittimata anche dal solo rilievo di elementi sintomatici che dimostrino il concreto pericolo (anche se non la certezza) di infiltrazioni della criminalità organizzata nell’attività imprenditoriale ( (Cons. St., sez. III, 1 settembre 2014, n.4441).

Il Collegio condivide l’assunto secondo cui il paradigma legale di riferimento, codificato, in particolare, dagli artt. 84 e 91 del d.lgs. n.159 del 2011, resta volutamente elastico, nella misura in cui affida al Prefetto l’apprezzamento di indici sintomatici “… di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte o gli indirizzi delle società …” (art.84, comma 3, d.lgs. cit.) e, quindi, la formulazione di un giudizio prognostico dell’inquinamento della gestione dell’impresa da parte di organizzazioni criminali di stampo mafioso.

Quanto la pertinente attività provvedimentale resti connotata da elevati profili di discrezionalità, lo si desume dall’analisi del lessico usato dal legislatore per regolarla: l’uso dell’aggettivo “eventuali” e del sostantivo “tentativi” indicano, in particolare, la configurazione di presupposti del tutto incerti, ai fini della giustificazione della misura, sicché la delibazione prefettizia si risolve, a ben vedere, nell’analisi di indizi sintomatici del pericolo di infiltrazione della criminalità organizzata nell’amministrazione della società e nella conseguente formulazione di un giudizio probabilistico della mera possibilità del condizionamento mafioso.

Si tratta, in altri termini, di una fattispecie del tutto peculiare, diversa da ogni altra attività amministrativa: ciò che, come si dirà infra, si riverbera anche sulla (estrema difficoltà della) configurabilità dell’elemento soggettivo della fattispecie risarcitoria.

L’attività provvedimentale resta, in via generale, strutturata e regolata dalla definizione esatta, a opera della disposizione legislativa attributiva del potere nella specie esercitato, dei presupposti stabiliti per la legittima adozione dell’atto in cui si esplica la funzione, pur residuando un fisiologico margine di discrezionalità in capo alla p.a..

L’informativa antimafia risulta, al contrario, configurata dallo stesso legislatore come fondata su valutazioni necessariamente opinabili, attinenti all’apprezzamento di rischi e non all’accertamento di fatti, e non, quindi, ancorata alla stringente analisi della ricorrenza di chiari presupposti, di fatto e di diritto, costitutivi e regolativi della potestà esercitata.

È proprio la segnalata funzione anticipatoria della soglia di contrasto alla criminalità organizzata che impedisce la previsione di parametri di azione determinati nella loro interezza, stringenti e cogenti e che impone, quindi, la disciplina della potestà considerata in termini semanticamente plurisignificanti, dovendosi impedire ad imprese che rischiano di essere condizionate dai clan mafiosi di accedere a rapporti contrattuali con le pubbliche amministrazioni.

Le associazioni mafiose hanno la capacità di mutare repentinamente modus operandi per insinuarsi in tutti gli spazi dell’economia di mercato ove più difficile è il controllo di legalità e l’ordinamento assegna ai provvedimenti interdittivi del Prefetto il compito di apprestare la più rapida e immediata difesa della società civile.

Il carattere “eventuale” dei “tentativi” di infiltrazione comporta che la delibazione prefettizia ha la consistenza di un giudizio probabilistico della mera possibilità del condizionamento mafioso, nel quale assume rilevanza il “rischio di infiltrazione”, logicamente antecedente al “tentativo di infiltrazione”.

L’attività provvedimentale relativa alle informative antimafia viene configurata dallo stesso legislatore, quindi, come fondata su valutazioni oggettivamente opinabili, in quanto relative all’apprezzamento di rischi e non all’accertamento di fatti.

Si tratta, per concludere sul punto, di un’attività da ritenersi non ancorata alla stringente analisi della ricorrenza di chiari presupposti, di fatto e di diritto, costitutivi e regolativi della potestà esercitata.

Si può quindi tracciare una essenziale divaricazione rispetto al modello dell’attività provvedimentale di carattere generale, poiché quest’ultima è strutturata e regolata dalla definizione esatta, ad opera della disposizione legislativa attributiva del potere, dei presupposti stabiliti per la legittima adozione dell’atto in cui si esplica la funzione, che, per quanto connotato da scelte discrezionali, resta strettamente vincolato alla preliminare verifica della sussistenza delle condizioni che ne autorizzano l’assunzione;

– l’attività provvedimentale attinente alle informative antimafia risulta, al contrario, configurata dallo stesso legislatore come fondata su valutazioni necessariamente opinabili, di consistenza magmatica siccome attinenti all’apprezzamento di rischi e non all’accertamento di fatti, e non, quindi, ancorata alla stringente analisi della ricorrenza di chiari presupposti, di fatto e di diritto, costitutivi e regolativi della potestà esercitata;

– d’altra parte, è proprio la segnalata funzione anticipatoria della soglia di contrasto alla criminalità organizzata che impedisce, a ben vedere, la previsione di parametri di azione più stringenti e cogenti e che impone, quindi, la disciplina della potestà considerata in termini più laschi, trattandosi di precludere ad imprese che rischiano di essere (e non che sicuramente sono) condizionate dai clan mafiosi di accedere a rapporti contrattuali con le amministrazioni o a titoli e concessioni pubbliche” (Cons. St., sez. III, 9 ottobre 2023, n. 8765).

10.3. Dalla definizione dell’attività provvedimentale in materia di interdittiva antimafia, come caratterizzata dalla descritta ampia discrezionalità, ritiene il Collegio che ne discendano due inscindibili conseguenze sistemiche.

10.4. Prima conseguenza.

Come rilevato dai pronunciamenti multilivello e dalla Corte costituzionale, all’ampia discrezionalità dei provvedimenti prefettizi in materia di antimafia è consustanziale la necessità che gli stessi siano sottoposti a una effettiva verifica giurisdizionale, pena la loro illegittimità costituzionale.

A fronte di una discrezionalità tecnica particolarmente ampia, spetta al giudice amministrativo sottoporre i provvedimenti del prefetto (in ogni loro parte) a uno scrutinio che, tralasciando la sterile alternativa tra sindacato debole o forte, sia sempre effettivo e si estenda anche ai fatti alla cui stregua il prefetto formula il proprio giudizio prognostico, non dovendosi riconoscere un ambito di valutazioni ‘riservate’ alla pubblica amministrazione non attingibile integralmente dal sindacato giurisdizionale.

L’esistenza di tale ambito “sarebbe del tutto incompatibile con la moderna configurazione dell’oggetto e della funzione del processo amministrativo, ispirato al canone dell’effettività della tutela, dotato di un sistema rimediale aperto e conformato al bisogno differenziato di tutela.

La tutela giurisdizionale, per essere effettiva e rispettosa della garanzia della parità delle armi, deve consentire al giudice un controllo penetrante in tutte le fattispecie sottoposte alla sua attenzione” (Cons., St., sez. VI, 5 dicembre 2022, n. 10624).

10.5. Seconda conseguenza.

La configurabilità degli estremi della colpa dell’amministrazione nell’adozione delle informative antimafia, in ragione dell’ampia discrezionalità sopra descritta, dev’essere scrutinata in coerenza con la funzione, con la natura e con i contenuti delle stesse.

Non si potrà, in particolare, evitare di assegnare il dovuto rilievo alla portata della regola di azione, alla quale devono rispondere i Prefetti nell’esercizio della potestà in questione, che si rivela particolarmente sfuggente e di difficile decifrazione.

Come si è visto, infatti, il paradigma legale di riferimento, codificato, in particolare, dagli artt. 84 e 91 del d.lgs. n.159 del 2011, resta volutamente elastico, nella misura in cui affida al Prefetto l’apprezzamento di indici sintomatici “…di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte o gli indirizzi delle società…” (art.84, comma 3, d.lgs. cit.) e, quindi, la formulazione di un giudizio prognostico dell’inquinamento della gestione dell’impresa da parte di organizzazioni criminali di stampo mafioso” (Cons. Stato, sez. III, sent. n. 3707/2015).

Il carattere elastico dei presupposti dell’esercizio della potestà amministrativa in questione impedisce, infatti, di declinare pedissequamente nella fattispecie considerata le medesime cause esimenti enucleate in via generale dalla giurisprudenza per escludere la colpa dell’amministrazione.

Ritiene il Collegio che la valutazione di legittimità della informativa e il giudizio di colpevolezza sull’operato dell’amministrazione non possano essere automaticamente sovrapposti, traslandone i relativi esiti.

Il Collegio condivide l’assunto, ribadito più volte dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, secondo cui il beneficio dell’errore scusabile va riconosciuto (con conseguente esclusione della colpa e, quindi, della responsabilità dell’amministrazione) nelle ipotesi in cui le acquisizioni informative, trasmesse al Prefetto dagli organi di polizia, risultano astrattamente idonee a formulare un giudizio plausibile sul tentativo di infiltrazione mafiosa, in quanto oggettivamente significative di intrecci e collegamenti tra l’organizzazione criminale e l’amministrazione dell’impresa, ancorché vengano giudicate, in concreto, insufficienti a giustificare e a legittimare la misura dell’interdittiva.

  1. In applicazione dei principi richiamati, deve escludersi nella presente fattispecie – così com’è assai spesso fisiologico che accada in queste peculiari fattispecie in cui è chiamata a svolgersi l’attività amministrativa – ogni colpa in capo alla Prefettura di Agrigento, non ritenendosi fondata la doglianza della difesa secondo cui “nel caso di specie l’Amministrazione odierna appellata ha certamente agito con negligenza ed imperizia nell’adottare il provvedimento interdittivo successivamente annullato e gravemente pregiudizievole degli interessi dell’odierna appellante, ponendo in essere un comportamento così negligente da superare la soglia della scusabilità” (così a pag. 31 dell’atto di appello).
  2. Nel dettaglio, dunque, non è fondato il primo profilo di doglianza secondo cui sarebbe indice della colpa avere dato rilievo immotivato ai rapporti di parentela della destinataria dell’informazione antimafia poi annullata dal giudice.

L’appellante è effettivamente nipote di -OMISSIS-, nato a -OMISSIS- e -OMISSIS-, nato a -OMISSIS-, soggetti ritenuti affiliati della locale consorteria mafiosa: uno appartenente alla famiglia mafiosa denominata “-OMISSIS-”, operante in -OMISSIS- e l’altro ritenuto probabile fiancheggiatore della consorteria medesima.

Il clan mafioso degli -OMISSIS- rappresentava il gruppo criminale degli “-OMISSIS-”, nato dalla scissione dalla mafia tradizionale denominata “Cosa Nostra”, finendo addirittura per contrapporsi alla stessa e dando vita a una cruenta guerra tra le due consorterie mafiose.

Adempiendo all’ordinanza del T.A.R. che disponeva l’integrazione probatoria, l’amministrazione precisava che il padre dell’appellante, signor -OMISSIS-, cognato dei sopra generalizzati -OMISSIS-, aveva rivestito la carica di Vice Sindaco del Comune di -OMISSIS- prima del suo commissariamento, disposto con d.P.R. in data 18 luglio 2006, adottato ai sensi dell’art. 143 D.lgs. 267/2000 per la durata di 18 mesi e prorogato nel 2008 di altri sei mesi, previa comunicazione al Ministero dell’Interno, per la provvisoria gestione del Comune stesso.

Nella relazione del Ministero dell’Interno si segnalava che il Comune di -OMISSIS- (AG), all’indomani delle elezioni amministrative del maggio 2002, quando nella giunta presieduta dal sindaco -OMISSIS- rivestiva la carica di vicesindaco il padre della signora -OMISSIS-, odierna ricorrente, “presenta forme di ingerenza da parte della criminalità organizzata che compromettono l’imparzialità della gestione e pregiudicano il buon andamento dell’amministrazione ed il regolare funzionamento dei servizi”.

11.1. Precisa il Collegio che non è compito della presente sentenza tornare a giudicare sulla valenza indiziaria e sulla sufficienza degli elementi di fatto posti a fondamento della diffida poi annullata dal T.A.R.

Il Collegio in questa sede si limita infatti a rilevare come le citate emergenze processuali, per la loro oggettiva consistenza, depongono per la sussistenza nella presente fattispecie dell’errore scusabile, che esclude ogni profilo di colpa in capo al Prefetto.

Precisa il Collegio che il fatto che – a una lettura combinata e organica dei dati, resa possibile dall’affinamento della loro elaborazione diagnostica – la valenza sintomatica del quadro indiziario appaia in seguito stemperata o meno nitida rispetto a quanto le prime avvisaglie investigative facessero ritenere, non è argomento validamente spendibile e automaticamente concludente in sede di giudizio di responsabilità (ex multis, Cons. Stato, sez. III, n. 2157 del 2019).

  1. Non è fondato il secondo profilo di doglianza che lamenta una presunta contraddittorietà tra l’informazione antimafia notificata all’appellante (e poi annullata) e quella rilasciata in precedenza al padre dell’appellante in ragione della sua partecipazione ad altra compagine societaria.

12.1. Nell’adottare l’informazione interdittiva nei confronti dell’appellante, la Prefettura si atteneva alla nota informativa del locale Comando provinciale dei carabinieri che evidenziava un rapporto di affinità fra la signora -OMISSIS- e soggetti condannati per reati di mafia.

Nella stessa nota, l’Arma dei carabinieri concludeva che, “per quanto attiene sull’eventuale presenza di situazioni ostative relative a tentativi di infiltrazione mafiosa, questo Comando si rimette alle valutazioni che verranno fatte in sede in riunione del Gruppo Ispettivo Misto”.

Ebbene il gruppo misto in data 11 novembre 2011, con parere conforme di tutti i suoi componenti, certificava, nella presente fattispecie, la sussistenza di “un quadro probatorio dal quale si evince con certezza la sussistenza di un pericolo di infiltrazione mafiosa”.

Il Prefetto agiva sulla base del parere dei rappresentanti di tutte le forze di polizia.

12.2. Nelle note informative trasmesse dalle Forze dell’ordine nel 2007, in ragione delle quali l’allora Prefetto adottava l’informazione liberatoria, non era fatto alcun cenno all’affinità del signor -OMISSIS- con soggetti appartenenti alla “-OMISSIS-”, l’organizzazione mafiosa contrapposta a “cosa nostra”.

Ritiene il Collegio che per tale dirimente ragione non si è in presenza di situazioni procedimentali identiche che hanno dato luogo a provvedimenti differenti.

Non è compito del Collegio valutare quale delle due istruttorie fosse più completa, se quella che ha portato all’adozione dell’informazione liberatoria (2007) o quella prodromica all’informazione interdittiva in esame (2011), essendo sufficiente rilevare la differente situazione fattuale che esclude l’ingiustificata disparità di trattamento tra situazioni che non possono essere ritenute identiche, come erroneamente lamentato dall’appellante.

  1. In conclusione l’appello deve essere respinto, previa integrazione nei sensi predetti della motivazione della sentenza appellata.
  2. Le spese del secondo grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate con il dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante a rifondere in favore dell’amministrazione costituita le spese del secondo grado di giudizio che liquida in complessivi euro 5.000,00 (cinquemila), oltre spese generali e accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le parti private.

Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 23 novembre 2023 con l’intervento dei magistrati:

Ermanno de Francisco, Presidente

Solveig Cogliani, Consigliere

Giuseppe Chinè, Consigliere

Antonino Caleca, Consigliere, Estensore

Paola La Ganga, Consigliere