Consiglio di Stato, sez. II, ordinanza 1 aprile 2025, n. 2766

Ambiente e paesaggio – Vincoli paesaggistici – Fiumi, torrenti o corsi d’acqua c.d. “minori” – Aree nei centocinquanta metri dagli argini e delle sponde – Aree sopraelevate – Rimessione all’adunanza plenaria. Testo integrale dell’ordinanza

È rimesso all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato il seguente quesito: “se, in relazione ai fiumi, torrenti o corsi d’acqua cd. “minori”, debbano intendersi soggette al vincolo paesaggistico ex art. 142, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 42/2004 unicamente le porzioni di aree ricomprese nei 150 metri a partire dai piedi degli argini e dalle sponde, con esclusione delle aree sopraelevate“. 

Pubblicato il 01/04/2025

  1. 02766/2025 REG.PROV.COLL.
  2. 02570/2022 REG.RIC.           

REPUBBLICA ITALIANA

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA DI RIMESSIONE ALL’ADUNANZA PLENARIA

sul ricorso numero di registro generale 2570 del 2022, proposto da

 

-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Maurizio Romolo e Gabriella Ruggiero, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio dell’avv. Maurizio Romolo in Reggio Calabria, via Niccolò Da Reggio 10;

 

contro

Comune di Candidoni, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria sezione staccata di Reggio Calabria n. -OMISSIS-/2021, resa tra le parti in data 4/8/2021.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 4 marzo 2025 il Cons. Maria Stella Boscarino e udito per la parte appellante l’avv. Pier Paolo Cavazzino per Romolo Maurizio;

 

  1. Oggetto del giudizio di primo grado è il silenzio rifiuto formatosi, ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, sulla richiesta di permesso di costruire in sanatoria presentato dal ricorrente (odierno appellante).
  2. Per una migliore comprensione della vicenda – alla stregua della documentazione acquisita al fascicolo d’ufficio e delle circostanze di fatto riportate negli scritti difensivi – si rappresenta quanto segue.

2.1. Il ricorrente espone di essere titolare di un’impresa individuale per il commercio di prodotti agricoli, mangimi per animali, attrezzature e macchinari, per le esigenze della quale aveva richiesto al Comune di Candidoni il rilascio di un permesso di costruire un capannone ad un piano fuori terra in cemento armato con copertura a struttura portante metallica, destinato alla produzione di semilavorati derivati da agrumi.

La richiesta del ricorrente veniva assentita dall’amministrazione intimata, che rilasciava il permesso di costruire n. 18/2008. Per cui il signor -OMISSIS- realizzava la costruzione assentita ed otteneva anche, in data 26.02.2010, il rilascio della certificazione di agibilità della stessa.

2.2. A seguito di sopralluogo, effettuato in data 22.9.2010, l’amministrazione intimata, con nota del 19.10.2010, provvedeva tuttavia all’avvio del procedimento di annullamento del citato permesso di costruire, avendo rilevato che l’edificio insisteva all’interno dell’area fluviale del fiume Mesima ad una distanza inferiore a 150 metri e che pertanto, ai sensi dell’art. 146 del D.lgs. 22/01/2004 n. 42, il permesso di costruire originariamente assentito era soggetto al preventivo rilascio del nulla osta paesaggistico ambientale, non acquisito; inoltre, veniva accertato che il -OMISSIS- aveva eseguito una serie di opere in difformità dal permesso di costruire (in particolare un ampliamento del capannone, la realizzazione di una tettoia con travi in legno lamellare poggiati su pilastri in c.a. prospicienti l’ingresso principale del capannone, ed opere di sistemazione dell’area antistante il capannone con realizzazione di muretti di recinzione).

2.3. Successivamente il Comune di Candidoni provvedeva, in data 27.9.2010, ad emettere ordinanza di sospensione dei lavori e, con ordinanza n° 3 del 14.10.2010, ad ordinare al ricorrente di demolire le opere costruite in difformità dell’originario permesso di costruire.

2.4. Preso atto di tale ordinanza il ricorrente richiedeva, in data 14.12.2010, il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, ai sensi dell’art. 36 del D.lgs. n. 380/2001 e, contestualmente, proponeva dinanzi al T.A.R. Calabria il ricorso n. 30/2011 R.G., per chiedere l’annullamento dell’ordine di demolizione.

Tale ricorso veniva però dichiarato inammissibile per carenza di interesse, con la sentenza n. 42 del 28.01.2019, alla stregua della giurisprudenza del medesimo Tribunale sulla sorte processuale del ricorso avverso l’ordinanza di demolizione seguita da un’istanza di sanatoria.

2.5. Nel frattempo, in data 24.10.2018, parte ricorrente aveva presentato al Comune di Candidoni una variante della ridetta istanza di sanatoria del 2010, riducendo i lavori di ampliamento del capannone ad una tettoia aperta su tre lati, e ribadendo che la tettoia con travi in legno prospiciente l’ingresso e le opere di sistemazione del piazzale non richiedevano il rilascio del permesso di costruire.

Decorso il termine previsto dall’art. 36 comma 3 del d.P.R. n. 380/2001, si formava il silenzio rifiuto che il sig. -OMISSIS- ha impugnato con il ricorso di primo grado, affidato a due autonomi motivi (estesi da pagina 4 a pagina 5):

I- Eccesso di potere – violazione di legge (art. 142, comma 1, lett c, del d.l.vo 42/2004) – assenza di vincolo;

II- Violazione di legge (artt. 6, comma 1, lett. e-ter, e 6 bis del d.P.R. n. 380/2001.

  1. Con l’impugnata sentenza il T.a.r. per la Calabria ha respinto il ricorso, ritenendo infondata la tesi del ricorrente che escluderebbe dalla tutela paesaggistica i terreni elevati sulle sponde dei fiumi (nel caso in questione le opere abusive ricadono nella fascia dei 150 mt dal fiume Mesima ad un’altezza di 8,73 mt), con conseguente insanabilità delle opere per inammissibilità del rilascio ex post dell’autorizzazione paesaggistica.
  2. Il sig. -OMISSIS- ha interposto appello, notificato in data 28 febbraio 2022 e affidato a due motivi- estesi da pagina 4 a pagina 8 – criticando puntualmente le motivazioni a sostengo dell’impugnata sentenza:

4.1. Error in iudicando – violazione, errata applicazione art. 142 1 comma lett. c) d.l.vo 42/2004.

4.2. Error in iudicando sul II motivo di ricorso: violazione di legge – artt. 6 comma 1 lett. e. ter) 6 bis tu 380/2001. Travisamento della consistenza e natura delle opere realizzate.

  1. All’udienza pubblica del 4 marzo 2025 la causa è stata trattenuta in decisione.
  2. Il Collegio premette che oggetto del contendere è la legittimità del silenzio rifiuto riferito unicamente alle opere oggetto della domanda di sanatoria, dalla quale l’appellante ha escluso alcune delle opere eseguite, in quanto ricadenti, ad avviso dell’appellante, nel regime della cd. edilizia libera di cui all’art.6 del d.P.R. n. 380 del 2001 ed all’Allegato 1 al decreto ministero delle Infrastrutture 2 marzo 2018.

Quanto alle rimanenti opere oggetto dell’istanza (ampliamento del capannone mediante una tettoia aperta su tre lati), nel silenzio del Comune, il ricorrente ha ritenuto di desumere le ragioni ostative al rilascio del permesso in sanatoria da quanto esternato dall’amministrazione nel procedimento che aveva condotto all’adozione degli atti repressivi adottati anteriormente all’istanza di sanatoria, ossia l’insistenza dell’immobile, ad avviso del Comune, in area vincolata, ossia nella fascia dei 150 mt dal fiume Mesima.

Il ricorrente contesta appunto tale circostanza, argomentando che le opere in questione ricadono all’interno di un terreno posto ad un’altezza di 8,73 mt e che l’art. 142, 1 comma, lett. c) del d.l.vo 42/2004 non ricomprende nella tutela paesaggistica i terreni elevati sulle sponde dei fiumi.

La questione di interpretazione della norma che disciplina la fattispecie assume carattere dirimente, perché il provvedimento favorevole cui l’appellante aspira non potrebbe essere rilasciato, ai sensi dell’art.146 del d. l.vo n.42/2004, in area sottoposta a vincolo paesaggistico.

  1. L’art. 142 del d.l.vo n.42/2004 (rubricato «Aree tutelate per legge»), nella parte di interesse, stabilisce che:

<1. Sono comunque di interesse paesaggistico e sono sottoposti alle disposizioni di questo Titolo:

  1. a) i territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i terreni elevati sul mare;
  2. b) i territori contermini ai laghi compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i territori elevati sui laghi;
  3. c) i fiumi, i torrenti, i corsi d’acqua iscritti negli elenchi previsti dal testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, e le relative sponde o piedi degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna;>.

A differenza delle prime due ipotesi, in cui si prevede espressamente l’assoggettamento al vincolo “anche per i terreni elevati sul mare” o “ territori elevati sui laghi “, la lettera c) dell’art. 142 non sottopone a vincolo qualsiasi terreno o area frontistante il corso d’acqua, ma unicamente quei terreni e quelle aree che possano essere qualificati come “sponde o piedi degli argini”, e per una fascia di 150 metri ciascuna.

7.1. La definizione origina dall’art. 82 c. 2 della l. 616/1977, come modificato dall’art.1 del d.l. n.312/1985, convertito con l. n.431/1985, norma poi trasfusa nel D.lgs. n. 490/1999 ed infine riprodotta dal d.lgs. n. 42 del 22.1.2004, che all’art. 134 (“Beni paesaggistici”) include, al comma 1 lett. b), le aree di cui all’articolo 142, ove è riportata la già richiamata previsione riferita ai corsi d’acqua e relative fasce di rispetto.

7.2. Al fine di meglio inquadrare la problematica, può essere utile ricordare come la sponda sia la parte di scarpata naturale di raccordo tra il letto e il piano campagna superiore, mentre l’argine è un’opera idraulica in rilevato a diversa tipologia costruttiva, con funzioni di protezione del territorio circostante; trattasi, in sostanza, di un terrapieno artificiale, generalmente di sezione trapezoidale, che serve a contenere le acque di piena di un corso d’acqua.

A sua volta, la piena di un corso d’acqua è la condizione di deflusso caratterizzata dal repentino e notevole innalzamento del livello idrico.

7.3. Le aree in questione sono tutelate sia a fini di difesa del suolo e protezione dal rischio di esondazioni sia per l’interesse paesistico-ambientale; nel caso in questione, non viene in rilievo la fascia di rispetto idraulico regolamentata dal R.D. n. 523 del 1904, art. 96, con divieti di edificazione informati alla ragione pubblicistica di assicurare (tra l’altro) il libero deflusso delle acque e rispetto alla quale l’art. 115 del d.lgs. n. 152 del 2006 è intervenuto a disciplinare le modalità di tutela delle aree di pertinenza dei corpi idrici.

Non risulta quindi conducente approfondire se, dall’esame della disciplina a tutela del rischio idraulico, possa evincersi che la fascia di tutela si applichi (o meno) in superficie anche in proiezione verticale.

7.4. Dalla lettera della legge (art.142, comma 1, del d.lgs. n. 42 del 22.1.2004) e dal confronto tra le tre fattispecie ivi enucleate sembrerebbe che il legislatore abbia inteso delimitare l’oggetto del vincolo paesaggistico in maniera diversa per i territori costieri, contermini lacuali e fluviali, indicando che, nella terza ipotesi, la profondità di 150 metri, assoggettata al vincolo paesaggistico, vada computata dal limitare della sponda o del piede dell’argine, escludendo intenzionalmente i terreni sopraelevati; laddove il dislivello dei terreni frontistanti al corso d’acqua sia tale da mettere tali terreni al riparo dalle piene anche straordinarie, si è fuori dall’ipotesi di «sponde» e «argini», e per tale ragione essi sarebbero esclusi dal vincolo, in virtù dell’interpretazione strettamente letterale della disposizione.

Soccorrono al riguardo plurimi elementi:

– l’inclusione nel vincolo di «territori» e «terreni elevati» solo nei primi due casi (lettere “a” e “b”), e non nell’ipotesi degli altri corsi d’acqua (lett. “c”);

– l’estensione del vincolo «per una fascia di 150 metri ciascuna» ove il termine «ciascuna» è riferito a «sponde» e «argini», dunque unicamente a quelle conformazioni naturali o artificiali che rientrino in tali definizioni;

– all’utilizzo, solo nei primi due casi, dei termini «territori» e «terreni», mentre nel terzo caso la fascia di rispetto viene riferita alle diverse, meno ampie ma tecnicamente precise, definizioni di «sponde» e «argini».

7.5. La circostanza che tale precisa impostazione sia stata ripetutamente riprodotta in successivi testi legislativi induce ad escludere che il differente trattamento possa ascriversi ad occasionale imprecisione terminologica e dunque che possa trattarsi, invece, di una precisa scelta del legislatore nel configurare la fascia di tutela paesaggistica in maniera diversa, assoggettando a vincoli più estesi i «territori», anche «sopraelevati», contermini a mare e laghi, rispetto ai corsi d’acqua, per i quali il vincolo risulta limitato ad una fascia che si diparte da «sponde o piedi degli argini».

Tale precisa scelta potrebbe trovare origine nella necessità di bilanciamento di interessi contrapposti (valorizzazione dell’equilibrio paesaggistico del contesto territoriale di riferimento, in termini di visuali panoramiche prospettanti sugli elementi vegetazionali e orografici caratterizzanti, da un canto, e tutela delle attività agricole e produttive nei pressi dei corsi d’acqua, dall’altro), del tutto peculiare in un territorio (quello italiano) attraversato da una quantità notevolissima di corsi d’acqua, con conseguente consapevole scelta di contenere, in questo caso, l’estensione del vincolo.

  1. A fronte della conclusione cui sembrerebbe condurre l’interpretazione meramente letterale delle disposizioni innanzi richiamate, occorre tuttavia evidenziare come, insistendo sulla predetta interpretazione non mediata da considerazioni interpretative diverse, si finirebbe per produrre un vulnus alla tutela del paesaggio, affermata dall’art. 9 Cost.

E difatti, proprio in ragione della pluralità di corsi d’acqua presenti sul territorio nazionale, una ampia parte del paesaggio – quella, cioè, rappresentata dai terreni posti lungo i corsi d’acqua ma sopraelevati rispetto ad essi – finirebbe per essere sottratta ai vincoli di tutela paesaggistica.

Né sembra esservi ragione per diversificare – sotto il profilo paesaggistico – i terreni sopraelevati sul mare e sui laghi (sottoposti a vincolo) e quelli sopraelevati lungo i fiumi (che, accedendo all’interpretazione letterale innanzi evidenziata finirebbero per risultarne esclusi).

Anche l’argomento sopra evidenziato – vale a dire quello secondo il quale il legislatore avrebbe inteso operare una sorta di “compensazione” tra il diritto di proprietà e la tutela paesaggistica, in ragione dell’elevato numero di corsi d’acqua interessanti il territorio nazionale – si presta, d’altra parte, alla critica che altrettanto il legislatore non ha fatto per i terreni sopraelevati sul mare, pur in presenza di un Paese con notevole estensione costiera.

Nondimeno, potrebbe ipotizzarsi una diversa e più ampia lettura dei termini “sponda” ed “argine”, dando ad essi un significato differente da quello comunemente accolto, sia sul piano linguistico che tecnico.

  1. Il Collegio, considerato che il punto di diritto sottoposto al suo esame potrebbe determinare l’insorgere di contrasto giurisprudenziale, peraltro su una tematica particolarmente rilevante tale da costituire “questione di massima”, ritiene di deferire il ricorso all’esame dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 99, co. 1, c.p.a., al fine di chiarire la sopra delineata questione interpretativa.
  2. Formulazione dei quesiti all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato.

In conclusione si formula all’Adunanza plenaria il seguente quesito:

se, in relazione a fiumi, torrenti o corsi d’acqua cd. «minori», debbano intendersi soggette al vincolo paesaggistico ex art. 142, comma 1, lett. c), del D.Lgs. n. 42/2004 unicamente le porzioni di aree ricomprese nei 150 metri a partire dai piedi degli argini e dalle sponde, con esclusione delle aree sopraelevate.

  1. La sezione, salvo che l’Adunanza plenaria intenda decidere per intero la causa, ai sensi dell’art. 99, comma 4, c.p.a., si riserva, all’esito della restituzione degli atti, la decisione del ricorso in appello.

                                                                                                                 P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda) non definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, ne dispone il deferimento all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.

Manda alla segreteria della sezione per gli adempimenti di competenza, e, in particolare, per la trasmissione del fascicolo di causa e della presente ordinanza al segretario incaricato di assistere all’Adunanza Plenaria.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 marzo 2025 con l’intervento dei magistrati:

Oberdan Forlenza, Presidente

Giovanni Sabbato, Consigliere

Antonella Manzione, Consigliere

Francesco Guarracino, Consigliere

Maria Stella Boscarino, Consigliere, Estensore