Edilizia e urbanistica – Edificio destinato stabilmente a luogo di culto – Normativa edilizia ed urbanistica – Osservanza – Necessità – Testo integrale della sentenza
La stabile destinazione di un edificio a luogo di culto in cui praticare liberamente i riti religiosi espressione della libertà di culto ex art. 19 Costituzione, presentando un oggettivo impatto sull’ordinato sviluppo dell’assetto abitativo, deve avvenire nel rispetto integrale della disciplina urbanistica ed edilizia nella cui sfera rientra anche la certificazione di abitabilità, finalizzata a comporre i confliggenti interessi pubblici e privati.
Pubblicato il 02/04/2025
- 02823/2025REG.PROV.COLL.
- 07673/2024 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7673 del 2024, proposto dal comune di Monfalcone, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avvocato Teresa Billiani, con domicilio digitale come da p.e.c. da registri di giustizia;
contro
Circolo culturale islamico Baitus Salat, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Vincenzo Latorraca e Michela Luraghi, con domicilio digitale come da p.e.c. da registri di giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Friuli Venezia Giulia, 23 marzo 2024, n. 110, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Circolo culturale islamico Baitus Salat;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 febbraio 2025 il consigliere Alessandro Enrico Basilico e uditi per le parti gli avvocati Teresa Billiani e Vincenzo Latorraca;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
- Il comune di Monfalcone impugna la sentenza che ha accolto il ricorso proposto dal Circolo culturale islamico, odierno appellato, per l’annullamento del divieto di uso dell’immobile di sua proprietà.
- I fatti di causa rilevanti, quali emergono dalle affermazioni delle parti non specificamente contestate e comunque dagli atti e documenti del giudizio, possono essere sinteticamente ricostruiti nei termini seguenti.
2.1. Il Circolo culturale islamico è proprietario di un immobile con area esterna di pertinenza nel comune di Monfalcone.
2.2. Il 17 gennaio 2018 ha presentato la s.c.i.a. prot. 2655/A per la ristrutturazione edilizia del fabbricato, con cambio di destinazione d’uso e con la realizzazione di opere.
2.3. Con determinazione dirigenziale prot. 7232/P del 12 febbraio 2018 il comune ha chiesto d’integrare la documentazione a corredo della segnalazione, diffidando dal proseguimento dell’attività, rappresentando che l’immobile era privo dell’agibilità, dell’asseverazione relativa alla sicurezza e idoneità statica della nuova destinazione d’uso.
2.4. Con nota del 9 marzo 2018 il Circolo culturale islamico ha modificato la relazione tecnica di asseverazione, dichiarando la natura strutturale degli interventi e impegnandosi all’espletamento degli adempimenti da essa conseguenti.
2.5. Quindi, con nota del 26 aprile 2018, ha comunicato l’inizio dei lavori.
2.6. Il comune, con determinazione dirigenziale del 7 maggio 2018, ha disposto il divieto di eseguire i lavori e le opere di cui alla s.c.i.a. depositata in data 17 gennaio 2018.
Il Circolo culturale islamico ha impugnato il provvedimento dinanzi al T.a.r., il quale ha accolto il ricorso con sentenza 2 ottobre 2019, n. 410.
Tuttavia, il Consiglio di Stato, con sentenza 1 settembre 2021, n. 6138, ha riformato tale pronuncia e respinto il ricorso di primo grado, osservando che «si presenta contrario alle norme in materia di edilizia ed al generale principio di “prudenza” consentire la realizzazione di interventi, anche di modesta natura, su una struttura che non ha ancora completato il percorso di abilitazione giuridica con riferimento alle opere che la compongono, in particolar modo nel caso, come è quello qui in esame, in cui la verifica di compatibilità della struttura medesima riguarda profili di sicuro rilievo legati alla sicurezza e alla statica dell’edificio».
2.7. All’esito di una serie di sopralluoghi svolti dalla polizia locale e vista la relazione del dirigente del 7 dicembre 2023, con ordinanza dirigenziale n. 5/EP del 7 dicembre 2023 il comune di Monfalcone, accertata la presenza di «numerose persone estranee all’interno del compendio», rilevata la mancanza di agibilità e ritenuto che l’immobile, compresa l’area pertinenziale, fosse da considerarsi «un cantiere edile sospeso a tempo indeterminato», ha vietato l’uso dell’immobile e l’accesso ai soggetti non autorizzati nell’area di cantiere.
- Il Circolo ha impugnato dinanzi al T.a.r. del Friuli-Venezia Giulia l’ordinanza chiedendone l’annullamento, previa concessione di misure cautelari.
3.1. Il ricorso si fondava sui seguenti motivi: I) Violazione degli artt. 2, 3, 17,18,19, 20, 42 Cost. e dell’art. 832 c.c.. II) Violazione dell’art. 221 r.d. 1265/1934 abrogato e sostituito dall’art. 4 d.P.R. 425/1994 e dall’art. 24 c. 6 d.P.R. 380/2001. Violazione dell’art. 27 c. 8 LR 19/2009. Violazione dell’art. 89 del d.lgs. 81/2008. Violazione degli artt. 19 L. 241/1990 e 22, 23, 23 bis d.P.R. 380/2001. Eccesso di potere per sviamento del potere dalla sua funzione tipica e per travisamento dei presupposti di fatto.
3.2. Il comune si è costituito nel giudizio di primo grado chiedendo il rigetto del ricorso.
3.3. Il Tribunale, con sentenza 23 marzo 2024, n. 110, emessa ai sensi dell’art. 60 c.p.a. all’esito della camera di consiglio fissata per la trattazione dell’istanza cautelare incidentalmente proposta dal Circolo culturale, ha accolto il ricorso, annullando il provvedimento impugnato e compensando tra le parti le spese di lite.
In particolare, ha ritenuto ingiustificato il divieto di uso dell’area esterna, in particolare perché utilizzata anche per l’esercizio delle libertà di riunione, associazione e di culto, sia in quanto rispetto a essa sarebbe irrilevante la carenza di agibilità – trattandosi di un requisito riferito solo agli edifici – sia in quanto non si sarebbe potuto considerare “cantiere” un’area non più interessata da lavori.
- Il comune ha proposto appello contro la sentenza, chiedendo che ne venisse sospesa l’esecutività.
4.1. Nel giudizio di secondo grado si è costituito il Circolo culturale islamico, eccependo l’inammissibilità del gravame per difetto di “specificità” e domandandone comunque il rigetto nel merito, nonché contestando l’ammissibilità dei documenti depositati in secondo grado dall’amministrazione, per violazione del divieto di nuove produzioni in appello.
4.2. All’esito della camera di consiglio del 5 novembre 2024, con ordinanza n. 4146, emessa quello stesso giorno, l’istanza cautelare è stata accolta ai soli fini dell’art. 55, comma 10, c.p.a., con fissazione dell’udienza pubblica dell’11 febbraio 2025 per la trattazione del merito.
4.3. Nel prosieguo del giudizio le parti hanno depositato scritti difensivi, approfondendo le rispettive tesi: in particolare il comune ha depositato memorie il 10 e 11 gennaio 2025, cui ha replicato il Circolo il 21 gennaio 2025.
4.4. All’udienza pubblica dell’11 febbraio 2025 la causa è stata trattenuta in decisione.
- In via preliminare, merita rigetto l’eccezione d’inammissibilità dell’appello per difetto di specificità, in quanto il gravame si rivolge contro specifici capi della sentenza e confuta con dovizia di motivazioni il percorso argomentativo del primo giudice.
Nemmeno può essere condivisa la contestazione dell’appellato circa l’ammissibilità dei documenti depositati in appello dal comune (consistenti essenzialmente in verbali della polizia locale, fotografie e una relazione tecnica), perché essi erano strettamente funzionali a dimostrare la sussistenza del requisito del periculum, necessario per ottenere la tutela cautelare, ed entro questi limiti sono ammissibili, fermo restando che non possono influire sul giudizio di merito, dato che la legittimità del provvedimento viene valutata alla luce della situazione di fatto e di diritto esistente al momento della sua adozione.
- Nel merito, prima di esaminare i motivi di ricorso, il collegio ritiene opportuno esporre alcune considerazioni di ordine generale in merito all’uso degli immobili per il culto, tematica che risulta estremamente rilevante tanto sul piano giuridico, venendo in rilievo diritti e interessi di rango costituzionale, quanto sul piano sociale, per la conflittualità che può derivarne e che spesso si traduce in contenzioso dinanzi al giudice amministrativo.
6.1. L’esercizio del culto, in forma individuale o associata, in privato o in pubblico, è oggetto di un diritto inviolabile o, più precisamente, di una “libertà”, riconosciuta a “tutti” dall’art. 19 Cost. – nonché, in termini analoghi, dall’art. 9 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo e dall’art. 10 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – e intimamente connessa alla “pari dignità sociale” di ciascuno nonché alla necessità di assicurare le condizioni per il “pieno sviluppo della persona umana” cui fa riferimento l’art. 3 della Carta.
Anche per questo, la giurisprudenza costituzionale è da tempo consolidata nell’affermare, da un lato, che il “principio supremo” della laicità dello Stato è uno dei profili della forma di Stato delineata nella Costituzione, e dall’altro nel precisare che questo «implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale» (Corte cost., 12 aprile 1989, n. 203).
6.2. Ne deriva, tra l’altro, che le amministrazioni sono tenute a mantenere una leale collaborazione con le varie confessioni e con le associazioni mediante le quali la libertà religiosa viene esercitata, i cui rappresentanti sono a loro volta chiamati a interagire con i pubblici poteri in buona fede, come stabilito dal comma 2-bis dell’art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (inserito dal d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito in legge 11 settembre 2020, n. 120), nell’adempimento di un dovere che ha portata “bilaterale” e si rivolge tanto all’amministrazione quanto ai soggetti che a vario titolo intervengono in un dato procedimento (Cons. Stato, Ad. plen., 29 novembre 2021, n. 19 e n. 20).
Leale collaborazione e buona fede – le quali, rispetto all’agire pubblicistico dell’amministrazione, trovano fondamento nei principi d’imparzialità e buon andamento sanciti dall’art. 97 Cost. – devono orientare soprattutto l’esercizio del potere discrezionale, nell’ambito del quale l’interesse pubblico primario viene posto in relazione e bilanciato con gli altri interessi pubblici e privati a vario titolo coinvolti: così è, per esempio, rispetto alla pianificazione urbanistica, che deve essere elaborata tenendo conto del fatto che «la disponibilità di luoghi dedicati è condizione essenziale per l’effettivo esercizio della libertà di culto» (Corte cost., 24 marzo 2016, n. 63, la quale aggiunge che «il difetto di ponderazione di tutti gli interessi coinvolti potrà essere sindacato nelle sedi competenti, con lo scrupolo richiesto dal rango costituzionale degli interessi attinenti alla libertà religiosa» e che lo stesso vale per «un eventuale cattivo uso della discrezionalità programmatoria, atto a penalizzare surrettiziamente l’insediamento delle attrezzature religiose»), e che quindi sulle autorità pubbliche grava il duplice dovere, in positivo, di prevedere e mettere a disposizione spazi pubblici per le attività religiose e, in negativo, di astenersi dal frapporre ostacoli ingiustificati all’esercizio del culto nei luoghi privati e dal discriminare le confessioni nell’accesso a quelli pubblici (Corte cost., 5 dicembre 2019, n. 254, la quale comunque precisa, anche richiamando la già citata sentenza n. 63 del 2016, che divieto di discriminare «non vuol dire […] che a tutte le confessioni debba assicurarsi un’eguale porzione dei contributi o degli spazi disponibili: come è naturale allorché si distribuiscano utilità limitate, quali le sovvenzioni pubbliche o la facoltà di consumare suolo, si dovranno valutare tutti i pertinenti interessi pubblici e si dovrà dare adeguato rilievo all’entità della presenza sul territorio dell’una o dell’altra confessione, alla rispettiva consistenza e incidenza sociale e alle esigenze di culto riscontrate nella popolazione»; sul divieto di opporre «un illegittimo e insormontabile ostacolo all’esercizio della libertà di culto» anche la recente Cons. Stato, sez. VII, 27 febbraio 2025, n. 1710 relativamente alla pianificazione urbanistica).
6.3. La prospettiva è invece differente quando viene in rilievo un potere a esercizio doveroso e contenuto vincolato qual è quello di repressione degli abusi edilizi (tra le tante, Cons. Stato, sez. II, 19 agosto 2024, n. 7170 e n. 7168).
Se infatti il compimento di riti religiosi è in linea di principio libero – salvo il limite espresso del “buon costume” e quelli, che la giurisprudenza ha ricavato dal sistema e in particolare dall’art. 8, secondo comma, Cost., della tutela dell’ordine pubblico, della sicurezza e della salute, individuale e collettiva (ancora, Corte cost., 24 marzo 2016, n. 63; nonché Cons. Stato, sez. III, 20 novembre 2023, n. 9897) – la stabile destinazione di un edificio a luogo di culto presenta un impatto sull’ordinato sviluppo dell’abitato e deve quindi avvenire nel rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia, in cui trovano composizione i vari interessi pubblici e privati che si rivolgono al territorio quale terminale delle attività umane (peraltro tali discipline, come anticipato, possono a loro volta essere sottoposte al sindacato della Corte costituzionale, se di fonte legislativa, o del giudice comune, se di natura amministrativa, quando siano irragionevolmente limitative della libertà religiosa).
La libertà di culto sarebbe anzi “malintesa” se si pretendesse d’invocarla per sottrarsi al rispetto «della cornice normativa di rango primario e secondario e dei vincoli cui le attività umane di rilevanza pubblica sono astrette a salvaguardia della convivenza civile tra i consociati (subditi legum sumus, ut liberi esse possimus)» e, in particolare, per giustificare «una destinazione urbanistica di un immobile diversa da quella impressa dai pubblici poteri – con provvedimento non impugnato – nell’esercizio dell’attività conformativa in materia urbanistico-edilizia» (Cons. Stato, decreti 11 marzo 2024, n. 856 e 857; lo stesso art. 9, comma 2, della Cedu, nell’affermare «la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo» la subordina – solo – a quelle limitazioni che siano, da un lato, previste dalla legge e, dall’altro, che costituiscano «misure necessarie in una società democratica, per la sicurezza pubblica, per la protezione dell’ordine pubblico, della salute o della morale pubblica, o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui»).
È quindi necessario che la stabile e duratura destinazione di un edificio a luogo di culto sia legittima tanto sul piano formale, per effetto dell’acquisizione del titolo edilizio previsto dalla legge (con pagamento degli oneri connessi), quanto su quello sostanziale, in ragione della conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia. Rimante inteso che tali requisiti non riguardano l’ipotesi dell’uso isolato e saltuario di un edificio o di un luogo per il compimento del tutto occasionale di pratiche religiose, il quale, non comportando un significativo impatto sul territorio, non determina mutamento di destinazione dell’immobile e rientra tra le facoltà di godimento del bene che sono correlate al diritto di proprietà su di esso.
6.4. Un particolare rilievo rivestono poi quelle normative il cui rispetto è richiesto per la “agibilità” degli immobili, le quali sono volte a tutelare interessi pubblici – come la sicurezza, anche intesa quale incolumità pubblica – che non riguardano solo la collettività in generale, ma anche, anzi soprattutto, le persone che fruiscono di un determinato luogo.
- Alla luce delle considerazioni appena è possibile affrontare le questioni sollevate nel caso di specie, in cui è controverso l’uso a fini di culto dell’area esterna pertinenziale di un immobile situato a Monfalcone, che è pacificamente privo di certificato di agibilità ed è interessato da lavori: secondo il T:a.r., tuttavia, il requisito dell’agibilità riguarderebbe gli edifici e non le aree pertinenziali, mentre il cantiere non potrebbe più dirsi sussistente, essendo stati sospesi i lavori.
- Il comune censura la decisione articolando quattro motivi di appello (estesi da pagina 6 a pagina 17 del gravame).
8.1. Con il primo si deduce: «Erroneità della Sentenza del T.A.R. per il Friuli Venezia Giulia n. 00110/2024 sotto il profilo della manifesta ingiustizia, illogicità, irrazionalità e contraddittorietà. Errore in iudicando. Eccesso di potere sotto il profilo del travisamento dei fatti e del difetto assoluto dei presupposti di fatto e di diritto».
Secondo l’appellante, il T.a.r. avrebbe errato nel ritenere insussistenti i presupposti per inibire l’utilizzo dell’area esterna alla luce della sua destinazione a luogo di culto, osservando che il vigente strumento urbanistico consentirebbe di adibire a culto gli immobili solo nell’ambito della zona omogenea S “Servizi e attrezzature collettive”, e non nella zona omogenea B “Residenziale”, in cui si trova l’area per cui è causa.
8.2. Con il secondo motivo si deduce: «Erroneità della Sentenza del T.A.R. per il Friuli Venezia Giulia n. 00110/2024 sotto il profilo della manifesta ingiustizia, illogicità, irrazionalità e contraddittorietà. Errore in iudicando. Eccesso di potere sotto il profilo del travisamento dei fatti e del difetto assoluto dei presupposti di fatto e di diritto».
Secondo il comune, diversamente da quanto ritenuto dal T.a.r., il requisito dell’agibilità sarebbe riferibile all’intero immobile, comprese le aree esterne pertinenziali, pertanto nella specie la sua carenza avrebbe giustificato il divieto di uso dello spazio esterno.
8.3. Con il terzo motivo si deduce: «Erroneità della Sentenza del T.A.R. per il Friuli Venezia Giulia n. 00110/2024 sotto il profilo della manifesta ingiustizia, illogicità, irrazionalità e contraddittorietà. Errore in iudicando. Eccesso di potere sotto il profilo del travisamento dei fatti e del difetto assoluto dei presupposti di fatto e di diritto».
Secondo l’appellante, diversamente da quanto ritenuto dal T.a.r., l’immobile, compresa l’area esterna, sarebbe stato ancora interessato dai lavori, dunque un cantiere, pertanto sarebbe stato giustificato, anzi doveroso, il divieto di accesso dei terzi non addetti ai lavori all’area esterna.
8.4. Con il quarto motivo si deduce: «Erroneità della Sentenza del T.A.R. per il Friuli Venezia Giulia n. 00110/2024 sotto il profilo della manifesta ingiustizia, illogicità, irrazionalità e contraddittorietà. Errore in iudicando. Eccesso di potere sotto il profilo del travisamento dei fatti e del difetto assoluto dei presupposti di fatto e di diritto».
Secondo il comune, il T.a.r. avrebbe errato nel ritenere che il divieto di prosecuzione dei lavori oggetto della s.c.i.a. presentata il 17 gennaio 2018, intimato con la determinazione dirigenziale del 7 maggio 2018, avrebbe fatto venire meno l’esistenza del cantiere, così come non sarebbe corretto affermare, e sarebbe comunque irrilevante, che la stessa s.c.i.a. sia divenuta inefficace.
- L’appello merita di essere accolto.
9.1. In via preliminare occorre ribadire che il giudice, indeterminati casi, può derogare al dovere di esaminare tutti i motivi e risolvere la lite rigettando il ricorso – compreso il ricorso di primo grado, nei limiti dell’effetto devolutivo determinatosi con l’appello – in base a una ben individuata “ragione più liquida”, in ossequio al superiore principio di economia dei mezzi processuali in connessione con quello del rispetto della scarsità della risorsa-giustizia (Cons. Stato, Ad. Plen., 27 aprile 2015, n. 5, § 9.3.4.3., c.d. assorbimento per ragioni di economia processuale).
9.2. Da questo punto di vista, risulta decisiva l’assenza del requisito dell’agibilità, il quale, diversamente da quanto affermato dal T.a.r., riguarda tanto gli edifici, quanto le aree pertinenziali.
Tale requisito rappresenta l’evoluzione del precedente istituto della “abitabilità”, previsto dall’art. 221 del testo unico delle leggi sanitarie approvato con r.d. 27 luglio 1934, n. 1265, che veniva rilasciato, all’esito di un’ispezione «dell’ufficiale sanitario o di un ingegnere a ciò delegato», per gli «edifici o parti di essi», i quali non potevano essere – appunto – “abitati” se non risultava «che la costruzione sia stata eseguita in conformità del progetto approvato, che i muri siano convenientemente prosciugati e che non sussistano altre cause di insalubrità».
In questa parte, la norma è stata poi abrogata dal d.P.R. 22 aprile 1994, n. 425, il cui art. 4 ha ribadito la necessità della “abitabilità” degli edifici, o parti di essi, richiedendo però per il suo rilascio ulteriori elementi, quali «il certificato di collaudo, la dichiarazione presentata per l’iscrizione al catasto dell’immobile, restituita dagli uffici catastali con l’attestazione dell’avvenuta presentazione, e una dichiarazione del direttore dei lavori che deve certificare, sotto la propria responsabilità, la conformità rispetto al progetto approvato, l’avvenuta prosciugatura dei muri e la salubrità degli ambienti».
Anche quest’ultima norma, infine, ha cessato di produrre effetti con l’entrata in vigore del testo unico dell’edilizia approvato con d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, il cui art. 24, nel testo vigente alla data di adozione del provvedimento impugnato, ha mutato il nome del requisito in “agibilità” e ha stabilito che esso attiene alla «sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate secondo quanto dispone la normativa vigente, nonché la conformità dell’opera al progetto presentato».
L’agibilità, come disciplinata dal vigente t.u. edilizia, rappresenta quindi il punto di arrivo di un’evoluzione di un istituto che non è più volto solo a verificare e la sussistenza di quei requisiti, essenzialmente di natura igienico-sanitaria, cui è subordinata la possibilità di “abitare” in un edificio, dunque di occuparlo stabilmente e per periodi anche lunghi, ma è preordinato ad assicurare il rispetto di normative dettate per tutelare una serie più ampia d’interessi pubblici – come la sicurezza, anche in termini di salvaguardia dell’incolumità pubblica, e il risparmio energetico, correlato a quella tutela dell’ambiente ora assurta tra i principi costituzionali fondamentali con la modifica dell’art. 9 della Carta per opera della l. cost. 11 febbraio 2022, n. 1 – alla luce dei quali la proprietà viene conformata ai sensi dell’art. 42 Cost. (che appunto consente di definire con legge limiti a tale diritto per assicurarne la “funzione sociale”).
Si aggiunga, per completezza, che questa lettura è corroborata dall’integrazione apportata all’art. 24 del t.u. edilizia dal d.lgs. 8 novembre 2021, n. 207, secondo cui l’agibilità riguarda anche, ove previsto, il «rispetto degli obblighi di infrastrutturazione digitale» (e per questo alla s.c.i.a. presentata deve essere corredata dall’«attestazione di “edificio predisposto alla banda ultra larga”, rilasciata da un tecnico abilitato».
Si tratta di normative e di requisiti – in particolare quelli di “sicurezza”, ma, almeno in astratto, anche di risparmio energetico – che riguardano il compendio immobiliare nel suo complesso, compresa l’eventuale area esterna pertinenziale, se modificata e attrezzata per renderla fruibile dalle persone.
Tale interpretazione è confermata anche dalla lettera della disposizione, che al comma 2 stabilisce che l’agibilità consegue alla presentazione di una s.c.i.a. che è richiesta, tra l’altro, per le “nuove costruzioni”, ed è consolidato l’orientamento secondo cui in questa nozione rientra anche la realizzazione di un piazzale in cemento (Cons. Stato, sez. VI, 16 marzo 2022, n. 1957; T.a.r. Lazio, Roma, sez. II, 9 settembre 2020, n. 9393; Cass. pen., sez. III, 11 gennaio 2024, n. 7538).
Nel caso di specie, dunque, venendo in rilievo un edificio con annessa area pertinenziale, asfaltata, delimitata e in parte coperta con una tettoia, il requisito dell’agibilità riguarda l’intero compendio e la sua assenza ne impedisce l’uso, anche a tutela delle persone che vi accedono.
9.3. Fondate sono altresì le censure del comune inerenti la presenza del cantiere, di cui al terzo e al quarto motivo di appello.
A tal proposito occorre osservare che, sul piano formale, il cantiere viene aperto con l’inizio dei lavori (che nella specie è stato comunicato all’amministrazione) e rimosso con la fine dei lavori, che tuttavia a oggi non è stata dichiarata.
Sul piano sostanziale, poi, l’area esterna deve ritenersi ricompresa nel cantiere, in quanto è recintata e delimitata, presenta la cartellonistica di cantiere ed è utilizzata per depositarvi materiali di lavorazione (come dimostrato dai verbali della polizia locale del 15 settembre 2021 e del dicembre 2023 prodotti in primo grado, che di per sé sono atti pubblici e, ai sensi dell’art. 2700 c.c., fanno piena prova fino a querela di falso dei fatti che gli agenti attestano avvenuti i loro presenza, e che nella specie sono anche corredati da fotografie).
Non conduce a diverse conclusioni la circostanza che il comune abbia vietato di eseguire i lavori e le opere di cui alla s.c.i.a. presentata nel 2018, la quale preclude la legittima prosecuzione dell’intervento, ma di per sé non comporta né che i lavori siano conclusi – potendo essere ripresi una volta risolte le criticità individuate dall’amministrazione, che ha chiesto l’integrazione della documentazione della pratica edilizia (mediante, tra l’altro, deposito del collaudo statico) – né che nei fatti il cantiere sia stato tolto.
- Per le ragioni sopra esposte l’appello merita accoglimento e, in riforma della sentenza impugnata, deve essere respinto il ricorso di primo grado.
- La reiezione della domanda di annullamento proposta in primo grado in forza della “ragione più liquida” esonera il collegio dall’esaminare i restanti motivi di prime cure e comporta altresì l’assorbimento del primo motivo di appello, il cui scrutinio non apporterebbe nessun vantaggio al comune che l’ha dedotto, venendosi comunque a consolidare in via definitiva gli effetti dell’ordine da questo emesso.
- Nella novità delle questioni per cui è causa, il collegio ravvisa eccezionali motivi, ex artt. 26, comma 1, c.p.a. e 92, comma 2, c.p.c., per compensare integralmente fra le parti le spese di ambedue i gradi di giudizio, fermo restando a carico del Circolo l’onere del contributo unificato.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione II, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.
Compensa integralmente tra le parti le spese di lite di ambedue i gradi di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 febbraio 2025 con l’intervento dei magistrati:
Vito Poli, Presidente
Francesco Frigida, Consigliere
Carmelina Addesso, Consigliere
Alessandro Enrico Basilico, Consigliere, Estensore
Stefano Filippini, Consigliere